L’invito a splendere di Giuseppe Catozzella

 

di Coralba Capuani

Un paio di mesi fa, circa, facendo zapping su una programmazione televisiva avvilente, mi sono imbattuta in una trasmissione di una nota radio nazionale che veniva trasmessa anche in tv. Mi sono detta: “bene, almeno provo ad ascoltare un po’ di buona musica”. Mentre ascolto la canzone, osservo tre uomini parlottare tra loro pensando, ovvio, che siano del mestiere; anche perché uno era Linus, l’altro Savino, e il terzo, a me sconosciuto, non poteva che essere un musicista!

E invece, con mio sommo stupore – ma anche ignoranza, e poi vi spiego il perché (ndr.) –, quando finalmente la canzone termina e le voci dei tre tizi che parlottavano vengono mandate in onda, capisco che non si tratta di un cantante/dj/rapper/musicista, ma di uno scrittore!

Allora, curiosa di confrontarmi con un “collega”, resto ad ascoltare la trasmissione.

Prima di tutto il tizio dice cose interessanti, cose in cui mi riconosco, e il che mi riconsola perché se il “collega” è giunto alle mie stesse conclusioni tecniche sul modo di affrontare un romanzo, beh, allora devo essere almeno sulla buona strada, fiuuu, che sollievo!

Poi il tizio inizia ad accennare al suo ultimo romanzo, e, a sentire il modo in cui ne parla, giuro, rimango folgorata. No, mi sono detta, io questo romanzo lo devo leggere assolutamente!

È così è stato, infatti.

Ed è per questo che voglio condividere con gli amici di Letterando questa bella lettura.

Il romanzo si intitola E tu splendi, e l’autore, il “tizio” che raccontava alla radio, si chiama Giuseppe Catozzella; vi basti dire che, tra le altre cose,  ha pubblicato con Feltrinelli il romanzo best seller Non dirmi che hai paura, vincitore del Premio Strega Giovani e finalista al Premio Strega. Non proprio un esordiente quindi…

(La biografia ufficiale la potete trovare qui: http://www.giuseppecatozzella.it/biografia/)

E tu splendi narra l’estate di due bambini, Pietro e Nina, che, rimasti orfani della madre, vengono mandati a trascorrere le vacanze estive ad Arigliana, un piccolo paesino dell’entroterra lucano, luogo dal quale tanti anni prima i genitori erano partiti per “cercare fortuna” al Nord. Questa vacanza “speciale” offre all’autore lo spunto per parlare del Sud, dei problemi atavici che da sempre lo affliggono, del suo passato, dell’emigrazione dei suoi abitanti, ma non solo. Il romanzo, infatti, è anche un’occasione per riflettere sul presente, su problemi di stretta attualità come l’emigrazione da paesi extracomunitari; di popoli, cioè, che stanno ancora più a Sud del profondo Sud della Basilicata, regione nella quale si trova il paese di Arigliana.

Luogo arcaico, fossilizzato su un passato che sembra immutabile e, dove, citando un passo del romanzo di Carlo Levi, Cristo si è fermato a Eboli, “Cristo non è mai arrivato. Né vi è arrivato il tempo, né la speranza, né la ragione, né la storia”. Ebbene, in questo luogo dove a regnare, da secoli, pare essere solo un immutabile immobilismo, proprio in quell’estate avviene un episodio che sconvolgerà le esistenze non solo degli abitanti di Arigliana, ma anche dello stesso Pietro, voce narrante del romanzo. Nella torre normanna che si staglia tra le mura di pietra delle casupole di Arigliana, Pietro trova una famiglia di immigrati che, fuggiti dal loro paese, grazie anche al buon cure di don Eustachio, parroco di Arigliana, hanno trovato rifugio all’interno della torre. Sono sporchi, macilenti, impauriti, quattro ossa che non si reggono neppure in piedi, gente che non metterebbe paura a nessuno. Eppure il paese li teme. Gli ariglianesi hanno paura di loro; che gli rubino il lavoro, che si prendano le mogli/i mariti, che portino la sfortuna nelle loro case, e via dicendo.

Non sarà facile per gli stranieri ambientarsi, farsi accettare in qualche modo, ma proprio quando sembra che un compromesso sia possibile, che un cambiamento positivo possa rimettere in moto non solo le loro esistenze, ma anche quelle di tanti altri segnate dall’ingiustizia e dalla prepotenza del più forte, del furbetto di turno, del disonesto, ecco che una tragedia si abbatte sul paese. Una disgrazia che è tale e quale a quella che tanti anni prima si era accanita contro molti poveri zappaterra, tra i quali anche il nonno di Pietro, detto lu Possident.

E con la trama mi fermerei qui perché credo che non ci sia nulla di meglio di leggere il romanzo per sapere il resto delle vicende dei protagonisti. Mi soffermerei però un momento sul finale, più precisamente sul suo significato, ovvio senza svelare troppo. Il romanzo è particolare anche perché sembra contenere un doppio finale. Il primo, amaro, che è quello dei “vecchi”, dei “poveri”, degli “immigrati”, degli “ultimi”, quelli la cui ribellione sembra sempre portare al fallimento perché, sulla loro strada, saranno sempre destinati a trovare uno zi’ Rocco che li sfrutterà rendendoli ancora più poveri, ancora più umili, ancora più “ultimi”. Una maledizione che non sembra avere mai fine, destinata a ripetersi, immutabile, nel corso dei secoli. È la storia del ricco che sfrutta il povero per arricchirsi ancora di più alle sue spalle, è la parabola del disonesto, del colluso con il potere e che, quindi, in un modo o nell’altro finisce per farla sempre franca. È l’eterna lotta tra poveri che si scannano tra di loro per un tozzo di pane incolpandosi l’un l’altro di rubarsi qualcosa, che sia il lavoro, la terra, o il pane. E in questa storia di miseria gli ultimi tra gli ultimi sono sempre gli emigrati, che provengano da una nazione straniera o siano semplicemente italiani del Sud, perché, come dice con rassegnazione il nonno a Pietro: “finché in un posto ci saranno degli stranieri, sarà sempre colpa loro”.

Ma E tu splendi è anche un romanzo di formazione, un percorso di crescita e di maturazione del protagonista Pietro che non sa accettare la morte di sua madre e che la cerca di continuo nonostante la presenza costante di Canetto – il dolore che Pietro e Nina hanno ribattezzato perché assomiglia a un cucciolo che, volendo giocare, finisce per morderti e farti male. Nina a un certo punto trova la forza di respingerlo questo cane fastidioso, Pietro, invece, ha bisogno di più tempo. Ha bisogno di scontrarsi con la delusione, con la falsità delle persone come suo cugino il sindaco. Di affrontare la diversità degli stranieri, il razzismo, la prevaricazione verso i più deboli, la disonestà e la tracotanza di ’zi Rocco. Ma, soprattutto, ha bisogno di una risposta.

E, più precisamente, la risposta alla domanda che avrebbe voluto fare a sua madre prima che uscisse per l’ultima volta da casa loro per non tornare mai più. E la chiave di lettura, il finale positivo del romanzo, sta tutto in quella frase tratta da una trascrizione sbagliata di uno stralcio delle Lettere luterane di Pasolini. Un invito a trovare la forza di “splendere” nonostante tutto, nonostante il dolore e le brutture della vita. Ma è anche, o soprattutto, un invito che Catozzella sembra rivolgere direttamente a quella terra dolente che è, poi, il Sud tutto.  Un’esortazione a non seguire “i destinati a essere morti”, vale a dire i tanti zi’ Rocco, i disonesti, ma anche i delusi, chi non si ribella accettando supinamente il proprio destino di sottomissione e sfruttamento. Perché questo è proprio quello che le persone come zi’ Rocco vogliono, perché essi, sembra dirci Catozzella, “ti insegnano a non splendere”. E invece l’autore, attraverso la voce ingenua e allo stesso tempo profonda di un bambino, rivolgendosi a ciascuno di noi, ma, soprattutto, rivolgendosi a quella terra dolce e amara, piena di miserie e di saggezza, pare voler dire: “i destinati a essere morti ti insegnano a non splendere. E tu splendi, invece”.

Proprio come in Catozzella splende, nonostante tutto, l’amore per la sua terra piena di contraddizioni e di bellezza.

 

In vacanza con Andrea Vitali

Recensione del romanzo “Premiata Ditta Sorelle Ficcadenti”

di Coralba Capuani

Andrea Vitali non è uno scrittore, ma un’agenzia di viaggi.

Perché aprire un romanzo di Vitali non significa affrontare una semplice lettura che ti emoziona, ti commuove, ti fa riflettere, o, più spesso, ti fa sorridere, quando non scappare una risata di vero cuore.

No, quando si acquista un romanzo di Vitali la prima cosa da fare è iniziare a preparare la valigia. Una valigia metaforica, d’accordo, ma proprio non riesco ad associare ad altro che a quest’immagine il gesto di accomodarsi su una sedia, divano, poltrona, letto che sia, mettersi in grembo il libro di Vitali e, finalmente, aprirlo.

Si inizia!

Si parte!

E ogni volta è come rincontrare persone conosciute durante la precedente vacanza, anche se i personaggi e le storie sono diverse, se non addirittura i periodi storici. Tuttavia quell’impressione di ritorno a casa, in un ambiente domestico già visitato, è ciò che si prova ogni volta che ci si accinge ad affrontare una nuova storia nata dalla mente immaginifica di questo prolifico autore.

E ogni volta pare di sbirciare da dietro una persiana semichiusa lo svolgersi delle vicende di questi strampalati personaggi che l’autore mette in scena. Poco importa che il lettore si trovi a seguire le scarpinate della Stampina fino alla canonica di don Pastore, prevosto di Bellano (e poteva forse essere altrimenti?) a causa delle preoccupazioni che gli dà il Geremia, quel suo figliolo strambo di cui in paese si mormora gli “manchi qualche giovedì”. Oppure scrutare l’interno della canonica di quel santo uomo del don Pastore, cui ogni volta tocca consolare, dare consigli e tranquillizzare la povera Stampina. Quando non origliare i commenti di Rebecca, perpetua di Don Pastore, impicciona e convinta di vedere l’opera del diàol  ogniqualvolta in paese capita qualcosa di strano o bizzarro. E non è cosa strana e bizzarra, e quindi opera del diavolaccio malefico, che un tonto come Geremia si vada a invaghire di Giovenca Ficcadenti, merciaia dall’appariscente bellezza, comparsa da poco in paese insieme a sua sorella Zemia, piccola, secca e brutta che “a incontrarla di notte c’era da credere che i morti ogni tanto uscissero dalla tomba”? Una “scheletraglia”, la definisce l’autore con un’espressione a mio avviso geniale nella sua spietatezza.

Il lettore diventa, quindi, un abitante di Bellano, un villeggiante che fitta casa in una delle sue vivaci viuzze attraversate da questi bizzarri tipi umani, gente sopra le righe a partire dai loro inusuali nomi di battesimo: Giovenca, Stampina, Rigorina, Zemia, o Editto Giovio, il famoso “Notaro” in Como. Ma anche il poetastro Novenio, innamorato della bella Giovenca a cui dedica improponibili poesie d’amore plagiando le opere di un “collega” vagamente più famoso di lui, ovvero Gabriele D’Annunzio. Come resistere alla comicità di certe scene descritte nel romanzo, una su tutte: la dichiarazione d’amore di Novenio, pretendente di Giovenca, il quale al fine di conquistare la ragazza le declama i versi del Vate. Come restare impassibili quando il giovane, sopraffatto dall’esaltazione (o sarà forse qualcos’altro?) finisce per fuggirsene tra gli arbusti: «urlando come un ossesso, tanto che quando Giovenca aveva aperto gli occhi il Trionfa non era altro ce un puntino nero dentro al coltivo di ravizzone, agitato come uno spaventapasseri sconvolto dal vento».

Ma a ruotare attorno ai personaggi principali vi sono una miriade di personaggi minori, a volte semplici comparse, che, però, nonostante questo, Vitali si premura di descrivere in profondità condensando la loro esistenza in poche righe rendendoceli vivi, umani, fatti di carne e ossa. Perché i personaggi di Vitali non sono mai caricature, e, pur se a volte (spesso) bislacchi, non cadono mai nella macchietta conservando sempre un loro tratto umano, tanto che al lettore potrebbe tranquillamente capitare di imbattersi in una loro copia nella vita reale.  E questo lo sa bene chi abita in un piccolo paese dove ci si conosce tutti e dove ogni abitante ha quel briciolo di pazzia che i personaggi di Vitali esprimono all’ennesima potenza.

È come, in sostanza, se Vitali prendesse quel pizzico di stramberia contenuto in ognuno di noi moltiplicandolo e ingigantendolo, cosicché se in un paese “normale” magari di strambi ce n’è al massimo un paio, nel mondo fittizio dei romanzi di Vitali gli “strampalati” si trasformano in un caleidoscopio di personaggi originali e fuori dalle righe, pur tuttavia rimanendo sempre realistici. Gente, insomma, che il lettore può benissimo incontrare per strada.

Perciò ogni volta che una storia finisce, che il libro viene chiuso, il lettore è assalito da un senso di malinconia; lo stesso che ci prende alla fine di una vacanza a lungo attesa. Così, quando ce ne saliamo sul nostro bel treno che ci riporterà a casa, alla nostra grigia routine, aspettando di avvertire il fischio del capostazione che dà l’ordine di partenza alla locomotiva, mentre ci soffermiamo ancora una volta a osservare  i volti dei personaggi, venuti apposta in stazione per salutarci, ci viene il magone all’idea di dover abbandonare quelle facce, quelle esistenze divenute ormai così familiari. Anzi, in qualche modo proprio persone  “di famiglia”.

Però, a questa struggente sensazione di malinconia, al senso di perdita, si mescola, la speranza, nonché la consapevolezza, di un prossimo ritorno. Magari dovranno passare molti mesi (forse anni?) prima di tornare a concederci la nostra bella vacanza in quel di Bellano, ma di sicuro siamo certi che non si tratta di un addio, bensì di un arrivederci.

E allora, quando sarà tempo, torneremo a preparare la nostra valigia pronti per partire di nuovo alla volta di Bellano, desiderosi di affrontare un nuovo viaggio e nuove avventure, affidandoci ancora alla comprovata professionalità della nostra agenzia di fiducia: la “Premiata Ditta” agenzia viaggi Vitali, appunto!

 

Intervista a Osvaldo Neirotti

Ciao Osvaldo, benvenuto sul blog di Letterando.

Per prima cosa una curiosità: come ci hai conosciuto e perché hai scelto noi?

Ciao, innanzitutto grazie della bella opportunità. Oggi, infatti, nel calderone della comunicazione, farsi conoscere non è mica semplice!
Vi ho conosciuto tramite un amico scrittore che un anno fa, circa, aveva raccontato la sua storia tramite la vostra “rubrica”.
Presentati ai nostri lettori, chi sei e cosa fai quando smetti gli abiti di scrittore?

Mi chiamo Osvaldo Neirotti e sono alla mia prima pubblicazione. Sono tra quei “fortunati” che sono riusciti a raggiungere il cuore di un editore (Il Viandante). Gli ho inviato il progetto del Libro e del Gioco e il manoscritto “X Segreto”, lo ha apprezzato e da poco è stato presentato al Salone del libro 2018 di Torino.

Sono sposato, ho una bellissima figlia di undici anni, e contribuisco all’economia famigliare con un modesto lavoro part-time, trovato grazie ad un amico dopo che ho perso il lavoro. In realtà l’ho lasciato perché hanno smesso di pagarmi…
Quando non scrivo dipingo, scolpisco e gestisco un movimento artistico concernente tutte la arti. Sono co-fondatore di GoArtFactory, un movimento che, come mission, ha l’obiettivo di portare l’arte alla gente, di ogni forma e natura.
Come è avvenuto l’incontro con la scrittura? È stato un processo lineare, una scoperta recente o è stata una passione accantonata e poi recuperata?

Ho sempre scritto per me: aforismi, brevi racconti e qualche storia. La perdita del lavoro retribuito mi ha indirizzato verso nuove strade e ricerche, al punto che tra i vari e molteplici inutili annunci (uno è emerso in un anonimo giornale) me ne è saltato all’occhio uno in particolare. Nell’annuncio si cercava un disegnatore per realizzare un gioco di carte online e da subito mi è parso interessante, così ho creato circa 150 carte da gioco.
Tutto bellissimo tanto da sembrare un sogno fino a quando, però, il compenso è franato in una bugia. Perciò ho deciso di non concedere i diritti e le carte sono rimaste di mia proprietà. La bellezza, nella disperazione di aver perso un’occasione a quarant’anni, si è manifestata nella scrittura. Tutte le carte le ho realizzate ispirandomi a persone realmente conosciute, esse si sono incastrate in un racconto formatosi nella mia mente quando le dipingevo, pertanto non è stato difficile  completare i primi due libri.
Quanti libri hai scritto e quale genere tratti?

Tanti personaggi comportano una storia importante, pertanto ho deciso di distribuire la trama in tre libri, due dei quali già scritti e il terzo in stesura. Il primo l’ho scritto e gli ho dato il titolo “X Segreto”.
Derivando dal settore marketing mi è stato facile studiare le persone, ho creato personaggi attuali, personaggi di ogni età e ceto sociale. Racconto della vita e della società attuale attraverso un vestito fantasy, dove orchi, elfi, umani, gnomi e altre creature vivono in un unico ambiente e la bontà o la cattiveria non è data dalla natura, ma dalla propria indole come avviene nella vita reale.
Ci parli dei tuoi romanzi?

La genesi del libro è la vita stessa e le esperienze che ho acquisito. Ma se vogliamo posso indicarvi una data precisa: il 24 maggio 2015 sul ponte del Diavolo mentre osservavo la natura.

Tu sei un esordiente e spesso molti tuoi colleghi ricorrono all’autopubblicazione, tu cosa ne pensi, meglio avere alla spalle una casa editrice o chi fa da sé fa per tre? Com’è stata la tua esperienza in proposito?

Come detto precedentemente, sono uno dei fortunati che è riuscito a farsi leggere da un editore, ma se devo essere sincero credo sia indispensabile, per aspirare al successo, entrambe le alternative. L’autopubblicazione è una realtà attuale, ma a mio parere l’ultima spiaggia. Purtroppo sappiamo tutti come funziona in Italia, il mondo dell’arte (pittura, musica, scrittura …) in generale è in mano a pochi e questi pochi la gestiscono a seconda del vento, delle amicizie, della casualità, del ritorno economico, spesso escludendo la qualità. Mi sono affacciato al mondo della scrittura cercando di comprendere questa realtà confrontandomi con quella di altri paesi, Inghilterra e Stati Uniti per esempio. I libri in questi stati sono la base della cultura, del cinema, dell’illustrazione, del teatro, dell’arte, dei college, degli attori ecc., perché vige
un metodo diverso che sostiene una economia enorme, forse paragonabile al business del nostro calcio. La realtà attuale porta a dover darsi da fare, è impensabile creare un’opera e al termine pensare che si venda da sola, inoltre bisogna considerare se il creatore ha le possibilità economiche oppure no. Nel primo caso l’unica cosa che può fermare il successo è la poca qualità, nel secondo caso il vile denaro. Io ho preferito considerare una terza soluzione, crearmi l’opportunità. Arrivare ad un editore attraverso social, contatti, perseveranza e testa dura; una volta pubblicato approfondire il marketing, studiare campagne promozionali, leggere libri di comunicazione, creare eventi per sensibilizzare il pubblico, studiare, e non perdere mai di vista l’obiettivo.
Progetti futuri? Grazie per essere stato dei nostri e a presto!!!

Progetti futuri sono ben impressi nella mia lista mentale: vendere molte copie di “X Segreto” in modo da poter suscitare l’interesse di realtà editoriali e commerciali non solo italiane, pubblicare il secondo libro, pubblicare il gioco di carte e di ruolo le cui immagini sono già presenti nel web, pubblicare il terzo e conclusivo romanzo e i 20 racconti già abbozzati, che parlano dei venti personaggi protagonisti.
Per questa risposta mi sono soffermato su parole legate al mondo dell’editoria, ma di certo non tralascio la pittura, la scultura e l’espansione del movimento GoArtfactory che oggi conta circa 650 artisti che seguono queste mie idee condivise con il co-fondatore Giorgio Bologne.

Pagina ufficiale di Osvaldo Neirotti

https://www.facebook.com/Osvaldo-Neirotti-182588062469423/

X Segreto

come contattare l’autore

osvaldo.neirotti@gmail.com

“Egli si trova tra due mondi, il presente di una piccola realtà piemontese fatta di famiglia, società e l’immaginario dei racconti che spesso aiutano a scoprire verità, ma anche a nascondersi. Etrar è il mondo raccontato, l’altra faccia di noi stessi; ospita personaggi fantastici che traggono origine da miti e leggende della nostra storia. Si racconta di maschere che influenzano la vita di venti amici, una ribellione da se stessi, un racconto che parla al lettore di come trovare le proprie verità. Spesso basta un piccolo sussulto, un attimo, un battito di ali per cambiare.
Solo scopre che è rinchiuso in una prigione, scappa, corre e si nasconde; sta per uccidersi quando trova l’amicizia di un drago. Inizia a credere che al di fuori dei propri pensieri c’è una vita…”  

 

La morte delle icone pop e i falsi miti dei media

lastchristmas

di Coralba Capuani

Un altro mito degli anni Ottanta se ne è andato, e, profeticamente, proprio il giorno di Natale, festività al quale sarà per sempre legato il suo ricordo vista la popolarità di Last Christmas, diventata, sua malgrado, icona, pure lei, degli stucchevoli stereotipi legati a questa festività.
Siccome io negli anni ’80 ci sono cresciuta, avrei voluto scrivere una profondissima e serissima riflessione sull’innaturalità di queste morti, sul fatto che incominci a capire di essere vecchio quando ti guardi attorno e ti rendi conto che le persone che hanno condiviso buona parte della tua vita iniziano ad andar via: amici, conoscenti, e soprattutto icone pop. Sì, perché la morte di un personaggio famoso non è una cosa che ti lascia indifferente quando sai che molti dei tuoi ricordi sono incollati alle sue canzoni; che so, la prima infatuazione, i primi assaggi di libertà ecc. Quindi se muoiono George Michael, Prince o David Bowie, muoiono anche pezzi di vita in un certo senso. Sensazioni, emozioni, gioie e dolori fissati alle note delle loro canzoni. E non è che ti debbano piacere per forza, perché certe icone pop si imponevano a tutti, che lo si volesse o meno. Come fa, ad esempio, la generazione DJ Television, quella che ha passato le estati a guardare il Festivalbar, a non ricordare il motivetto che ti “facevano sorbire” per mesi e che, una volta fissatosi in testa, non ti scollavi più di dosso? Perciò ti di dispiace quando muore una “star”, perché sai che un pezzo di vita, un’epoca, se ne sono andate per sempre. Che non torneranno più.
Ma questo, in fondo, è un processo inevitabile, è la natura che fa il suo corso. A non essere normale è che molte icone della nostra adolescenza siano andate via, mentre quelle dei nostri genitori resistano ancora, gironzolando per i canali tv o sui palchi di mezza Europa quasi il tempo non li avesse sfiorati.
Ecco, sull’innaturalità della morte precoce delle icone della nostra adolescenza, sulla scomparsa di queste anime di carta, così leggere da volar via con un soffio di vento, avrei voluto discorrere in questo articolo. Fino a quando, cioè, non ho cambiato idea ascoltando i commenti “da comare” nei vari servizi giornalistici passati in tivù. Tralasciando il fatto di essere stata messa a parte di tutti i cavolacci intimi della buon’anima più in questi ultimi due giorni che in trent’anni della sua carriera, la cosa che mi ha lasciato basita è l’immagine quasi da “piccola fiammiferaia” che i media hanno dato di George Michael.
George sarebbe morto a causa di un infarto. No, rettifica, forse George sarebbe morto a causa della dipendenza da droghe che gli avrebbe causato l’infarto che lo avrebbe portato alla morte.
E perché il buon George avrebbe fatto uso di droghe? Ovvio, perché era un’anima in pena, sofferente, sola. Da quando la sua stella aveva iniziato a offuscarsi, poi, sarebbe ingrassato, perciò si sarebbe rintanato nella sua casa in campagna solo e isolato da tutti. Morto così: in pena e solitudine.
Però il suo corpo sarebbe stato trovato dal compagno, e i familiari, inoltre, smentiscono fermamente che il loro congiunto facesse uso di droghe. Anche perché George era una brava persona, buono e amato da tutti, un filantropo dedito agli altri, che avrebbe donato somme ingenti a favore di istituti caritatevoli e così via. E non si sarebbe smentito neanche dopo la morte, visto che parte dell’eredità sarà donata ai figli di alcuni suoi amici.
Ora, senza voler mancare di rispetto a una persona che non c’è più, mi sorgono alcuni dubbi:

1) Ma non si era detto che era un uomo solo? E allora da dove esce la lunga sfilza di amici, conoscenti, parenti e affini?
Risposta: boh!

2) Era ingrassato molto negli ultimi tempi, si vergognava, e perciò viveva lontano dai riflettori.
Risposta: ma un dietologo, no?

Spero sia palese che il mio intento non è denigrare George Michael, a cui va tutta l’umana pietas per un uomo che ha effettuato delle scelte sbagliate – la droga – pagandone, ahimè, poi, le conseguenze.
Il mio intento bensì è di tirare le orecchie a certi giornalisti che ricorrono al sensazionalismo esagerando, montando e gonfiando notizie che, invece, andrebbero date così come sono, in maniera semplice e trasparente.
E invece no, ogni volta che muore la star di turno bisogna farla passare per martire, ma perché?
Che bisogno c’è? Credono di rendercela più simpatica, o, forse, pensano di renderci più accettabili certe “leggerezze”, come imbottirsi di mix di farmaci, droghe, alcol e schifezze varie?
O vogliono solo prenderci in giro burlandosi delle “insignificanti” preoccupazioni delle nostre grame esistenze, come mutui da pagare, disoccupazione, non arrivare a fine mese e crisi economiche varie, che, vuoi mettere il paragone, sono davvero poca cosa in confronto alle sofferenze del vip di turno?
Ma la gente non è mica scema cari miei, lo sa benissimo che il vero problema del compianto George Michael era la droga, e non certo il fatto di essere solo, visto che un compagno, una famiglia e degli amici li aveva. Vogliamo poi parlare del problema legato al peso, che poi non è né più né meno di quello che devono affrontare tutti quelli che devono dimagrire. E quindi? Volete forse che il buon Michael non avesse avuto la possibilità di trovarsi un buon dietologo? Anzi!, magari quello sarebbe stato disposto pure a fargli la spesa nel mercatino bio, portargli a casa i cibi già cucinati, e, magari, pure lavargli i piatti.
Anche il discorso riguardo al declino del suo successo mi pare poco credibile visto che, se si fosse messo sotto a scrivere un album, e fosse andato a bussare alle porte giuste, nessuno gliele avrebbe chiuse in faccia quelle porte. E poi, in fondo sai che c’è, con i soldi che aveva se lo sarebbe potuto produrre da solo un disco, mica come noi miseri scrittori esordienti, che ci tocca quasi fare il porta a porta pur di vendere un paio di copie!
Il succo di questo lunghissimo articolo, dunque, è solo questo:  vada per la compassione che si deve a qualunque essere umano, soprattutto dopo la sua dipartita, ma che almeno i suoi errori possano essere d’esempio ai giovani, a far capire loro che ogni scelta ha un prezzo e che, prima o poi, il conto arriva per tutti.

 

Il coraggio di Bob

di Coralba Capuani

Il Nobel per la Letteratura assegnato a Bob Dylan, credo rappresenti un monito per chi si definisce scrittore o poeta: se quelli dell’Accademia hanno dovuto pescare tra i parolieri della musica pop, e ce ne sono di bravi, per carità, significa che non ci sono più autori capaci di trasmettere valori profondi o riflessioni originali. Significa, in breve, che ha perso la Letteratura, il mondo della parola scritta, quella che non ha bisogno della musica per esprimere la potenza che ha in sé, quella che non ha bisogno di contorno e che sta su da sola, in sintesi. E quindi abbiamo perso tutti:
1) gli scrittori: che hanno ricevuto un bello schiaffone in pieno viso
2) le case editrici: che, evidentemente, hanno perso la lucidità di giudizio e che non sono più in grado di “scovare” il talento.
3) la letteratura contemporanea: stata ridotta uno squallido Mc Donald’s dove ogni sapore viene appiattito in gusto che mescola sapori diversi facendone una brodaglia salata che sa di tutto e non sa di niente e che, peggio ancora, annulla le peculiarità della cucina locale tradizionale.
4) Ha perso la società e la cultura: che si ritrova una miriade di scrittori azzoppati ma nessun vero Autore con la “a” maiuscola, dove autore sta per letterato: persona che dedica la propria vita allo studio e alla diffusione della cultura

Insomma, senza voler crocifiggere o sminuire il talento di Dylan, vorrei che questo Nobel servisse a svegliare le coscienze addormentate di tanti “scrittori” che hanno svenduto il loro talento per una manciata di vendite in più, esattamente come le stesse case editrici che, nascondendosi dietro l’alibi del “non vende”, “non è un testo commerciale” hanno venduto l’anima al dio denaro abdicando il ruolo di scopritori di talenti.
Coraggio! Ci vuole coraggio: ecco, secondo me, quale deve essere il monito di questo premio Nobel. Bisogna che tutti ci si rimbocchi le maniche e si trovi il coraggio di osare, di dire/scrivere cose scomode, fastidiose, non commerciali, ma nuove e originali. Dove l’originalità non sta tanto nel messaggio in sé quanto nella visione personale di chi quel messaggio lancia al mondo. Questo, a mio avviso, quello che manca nella Letteratura moderna.

Il graffio di Cecile

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di Coralba Capuani

A me il rosa non piace. Non amo le commedie romantiche e non sopporto l’idea che un film, un romanzo, un testo in generale abbia al centro una storia d’amore.

Non la reggo, non so perché, ed è così da sempre. Non che non apprezzi una storia d’amore ben inserita nel contesto di un romanzo, ma per “digerirla” ho bisogno che in mezzo ci siano almeno un paio di morti violente, una guerra, una pestilenza o disgrazie inenarrabili. Quindi, se non fosse stato per l’amicizia che ho nei confronti di Annalisa-Cecile, probabilmente non mi sarebbe mai venuto in mente di compare un libro che sulla fascetta pubblicitaria della Newton Compton recava scritto la dicitura “romantico”.

Mi sono fidata. Anche perché conosco le doti da affabulatrice di Cecile, nonché l’ironia pungente già da qualche anno, da quando, per l’esattezza,  ho avuto l’occasione di leggere un estratto di un suo romanzo in gara a un pessimo concorso al quale ho partecipato. Ma così farlocco, così palesemente combinato che, anche solo nominarlo, credetemi, non vale davvero la pena (oddio che calembour involontario!). 😀

Ma soprattutto mi sono fidata di Cecile perché adoro i deliziosi siparietti familiari che pubblica sulla sua pagina personale di Facebook: un vero spasso! Soprattutto le perle della sua adorabile nonnina, della quale io sono fan e sostenitrice accanita: a proposito, a quando un libro con la supernonna protagonista?

Quindi, dicevo, mi sono fidata e appena è uscito il romanzo Non mi piaci ma ti amo l’ho acquistato. Poi, come sempre, l’ho lasciato abbandonato in libreria insieme a tanti romanzi che mi dico sempre dovrei leggere, ma la cui lettura viene rimandata all’infinito.

Ecco, la settimana scorsa ho deciso che fosse arrivato il momento di iniziare a leggere un paio di quei testi “abbandonati” cominciando proprio dal romanzo di Cecile.

La storia è semplice: Sandy e Thomas si conoscono da sempre. E da sempre non si sopportano. Costretti a condividere le vacanze a causa dell’amicizia che lega le rispettive famiglie, crescendo, si perdono di vista per poi rincontrarsi a causa di un evento inaspettato: vale a dire la morte del nonno di Thomas che nel testamento “obbliga” il nipote a mettere la testa a posto e accasarsi. E chi sceglie quel  buontempone del nonno? Esatto, proprio l’odiata Sandy. Da questo momento prende il via una serie di intrighi e macchinazioni da parte dell’uno e dell’altra fino al sospirato lieto (?) fine? Chissà, lascio a voi scoprirlo.

Questa in breve la trama. Per quanto riguarda la recensione vera e propria inizio con un mea culpa, sì, devo ammetterlo, da un romanzo rosa mi sarei aspettata una sequenza interminabile di scene d’amore, di parole smielate, sguardi languidi, baci, bacini, bacetti, coccole e coccoline e ciccì e coccoccò. E, invece, con mia grande sorpresa, e maximo gaudio, i due protagonisti passano quasi tutto il tempo a litigare. E di brutto! Meravigliosi sono i siparietti e i battibecchi tra Sandy e Thomas, spassose le battute e genialoidi le metafore – nelle quali ho riconosciuto lo stile inconfondibile di Annalisa-Cecile.  Ho adorato, poi, la leggera punta di cattiveria di certe battute, come quella indirizzata alla raccomandata di turno che soffia il lavoro alla protagonista. Ecco come l’autrice descrive i meriti della ragazza:

 

“Lo scopo non era di darle il tempo di sistemarsi. Già, non si trattava di un contrattino di sei anni, ma di un lavoro a tempo indeterminato come professoressa, più il mio posto di ricercatrice per arrotondare. Il paparino non voleva trovarle un marito per confinare i suoi errori genetici al nipotame, bensì fare in modo che la sua adorata e impedita figliola si occupasse della preparazione di migliaia di studenti, per definizione creta plasmabile e pagante, così da uniformare la nostra élite culturale ai livelli di ottusità di quelli che, come lei, hanno bisogno di Wikipedia per farsi strada nella vita”.

Non posso citare i tanti passaggi in cui l’autrice mostra il suo graffio, ma lascio al lettore il piacere di scovarli in una sorta di caccia al tesoro dove, i piccoli oggettini preziosi, non se ne stanno affatto nascosti ma anzi, non fanno altro che balzare di continuo davanti agli occhi del lettore sorprendendolo ogni volta; potrei mai dimenticare il paragone con il clamidoforo troncato? Sì, lo so, anch’io non sapevo cosa accidenti fosse, perciò, dico, non è forse originalità questa? A quale scrittrice sana di mente, infatti, verrebbe mai in testa di fare un paragone usando l’immagine di un clamidoforo?!

Ma a parte i bizzarri accostamenti di immagini, i sorprendenti paragoni, le iperboli decisamente  pazzoidi di cui il testo è disseminato,  tra i meriti dell’autrice vi è anche una certa classe nel narrare (so che alla parola “classe” Cecile si rotolerà sul pavimento), ma è vero, non mi aspettavo tanta eleganza nel raccontare una storia d’amore e, pure, diciamolo, di attrazione e di sesso. Né mi sarei aspettata una totale assenza di volgarità: manco una parolaccia ci ha messo! Niente. Anzi, mi è piaciuto il modo con cui l’autrice racconta la storia e le scene d’amore e di sesso (perché qualcuna ce n’è!) E lo fa con classe (e smettila di sghignazzare!), senza scendere in volgarità dando sfogo a certe perverse fantasie sadomaso tanto in voga oggigiorno, ma anzi, le scene sono tutte abbastanza caste. Sensuali quel tanto che basta a ottenere sul lettore l’effetto desiderato: il suo coinvolgimento emotivo. E questo per me è un grande merito, perché dimostra che l’autrice non ha bisogno di forzare la mano per ottenere l’attenzione del lettore. Non deve cedere a certi facili meccanismi commerciali per rendere godibile il testo.

Per questo alla fine mi sono ritrovata a fare il tifo per Sandy e Thomas, a soffrire per loro e con loro. Insomma: in questa storia d’amore ci sono caduta con tutte le scarpe. E viste le premesse citate sopra direi che è tutto merito delle abilità narrative dell’autrice. Non c’è altro: Cecile Bertod è una brava scrittrice. Ha talento ed è originale. Ha uno stile personalissimo, un graffio tutto suo che riconosci in ogni cosa che scrive, persino in un post buttato a caso sulla bacheca di un social network.

Quindi che dire? Un libro e un’autrice che vi consiglio di cuore perché, nonostante alcuni dubbi che le passano a tratti per la sua irrequieta mente, Annalisa-Cecile è proprio tagliata per questo mestiere.

E quindi vai Ceciglia, e che le stelle siano con te! Ops, mi sa che ci deve essere stata un’interferenza da parte della nostra astrologa di fiducia… 😉

 

 

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Medea a Nereto: chi è il pazzo?

locandina

di Coralba Capuani

Si dice che con la cultura non si mangia. Si dice che la cultura non è per tutti, perciò certe forme d’arte non funzionano in televisione. Il pubblico, si sa, non capisce e perciò bisogna adattarsi ai suoi gusti, non gli si può proporre il teatro impegnato, figurarsi quello greco! La musica classica? Va bene giusto a Capodanno o per qualche occasione rara e speciale (poca, pochissima per carità, anzi, meno ce n’è meglio è).

Queste sono più o meno le scuse che da anni ci vengono rifilate per giustificare  un imbarbarimento ormai imperante, in televisione, come in altre sedi.

La cultura non riempie le saccocce quindi vai con spettacoli di labilissimo spessore culturale, spesso infarciti di volgarità, luoghi comuni e scopiazzature varie. Ma il tutto tritato e sminuzzato per renderlo digeribile allo spettatore medio, quello che fa coppia fissa con il divano e non capisce un tubo (catodico).

Ma esiste davvero questo spettatore medio o non è, piuttosto, la scusa di certi dirigenti mediocri che, per scusare la propria incapacità, si aggrappano a questi luoghi comuni pur di non sforzare la loro materia grigia, ormai arrugginita da anni di lauti stipendi e benefit sicuri?

Il pubblico non capisce, al pubblico va dato ciò che vuole, il pubblico è sovrano.

Ma siamo davvero sicuri che il pubblico voglia ciò che gli viene propinato, che davvero non sia in grado di capire qualcosa che, semplicemente, non conosce?

Non credo, anzi, non penso proprio. E la dimostrazione l’ho avuta ieri sera (per la verità un’ulteriore conferma) assistendo alla magistrale rappresentazione della Medea di Seneca a Nereto, minuscolo paesino di poco più di cinquemila anime. Perché sì, ci sono stati dei pazzi incoscienti che hanno avuto il coraggio di proporre un testo classico, non proprio alla portata di tutti, in un paesino del teramano che non ha nemmeno un teatro! Neanche uno piccolo piccolo – la rappresentazione si è tenuta in una saletta convegni superaffollata, praticamente un forno! Ma nessuno che si sia azzardato ad andare via, a sventolarsi, a fare il benché minimo rumore. Zitti: silenzio tombale. La stessa assenza di parole che si verifica di fronte a un evento prodigioso. O al talento.

Perché il talento azzittisce, paralizza, rapisce, ti porta via dalla tua vita giusto il tempo di un’esibizione, pochi minuti vissuti tra cielo e terra, tanto che poi tornare giù è difficile. Ed è proprio questo quello che ho provato assistendo alla rappresentazione della Medea del Maestro Paolo Magelli, interpretata dalla strabiliante Valentina Banci.

magelli

È bastato poco, un paio di pannelli neri come la pece, un rialzo, qualche candela, il buio e lei: Valentina-Medea. È stata lei sola a riempire una scena scarna arredandola con la forza della parola, con la duttilità della sua voce, la fisicità dei suoi gesti, tanto da far “recitare” anche le ombre delle sue braccia proiettate sul muro.

E il pubblico ha capito. Quel pubblico di presunti spettatori medi che si bevono tutto quello che gli si dà, hanno capito. Perciò sono rimasti in silenzio tutto il tempo. Rapiti dalla potenza del talento e della bellezza, portati via in un’altra dimensione giusto una manciata di minuti – il tempo di una rappresentazione.

Ed è forse in questa dimensione che devono vivere i “pazzi” che hanno avuto il coraggio di portare un testo così impegnato in un paesino di provincia, dove si suppone non si possa apprezzare l’Arte con la “a” maiuscola. E invece no, scommessa vinta. E quindi mi viene da fare una considerazione a questo punto: che i veri pazzi, gli incoscienti, siano proprio quelli che ostinatamente continuano a ripeterci che con la cultura non si mangia, ché la cultura non riempie le saccocce o le panze.

Perché, si sa, il pubblico non capisce, e il pubblico è sovrano…

Un libro che sa di “buono”.

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di Coralba Capuani

Lorena Marcelli è una brava scrittrice, c’è poco da dire su questo. Avevo letto il suo primo romanzo e già mi ero innamorata della sua scrittura ricca e corposa, nonché dell’intensa capacità descrittiva – e sensoriale – capace di rendere in maniera vividissima colori, profumi e sensazioni tattili.

Nella collina dei girasoli Lorena abbandona le verdi alture della sua amata Irlanda per fare ritorno “a casa”, su altre colline che, questa volta, sono quelle della campagna abruzzese dove il giallo intenso dei girasoli e del grano maturo vengono macchiati qua e là da piccole oasi rosse; i papaveri che annunciano l’arrivo dell’estate.

La vita che Lorena ci racconta in questo romanzo è la vita di una famiglia all’antica, allargata si potrebbe dire se non ricordasse troppo altre tipologie familiari che nulla, però, hanno a che fare con la famiglia Diamante che rispecchia le famiglie patriarcali tipiche del meridione composte da numerosi nipoti, nonni e zie nubili.

Al centro delle vicende vi è la storia di questo nucleo familiare composto da: nonni contadini con una figlia zitella a carico, quattro nipoti femmine, figlie del figlio maschio sposato con una donna incapace di fare la madre e la moglie. Questa in sintesi l’ossatura della trama sulla quale l’autrice imbastisce una rete di ricordi (credo personali) legati all’infanzia nella terra natia e che, trasfigurata dal ricordo, diventa una specie di Eldorado, uno struggente Paradiso Terrestre ormai perduto. La masseria dei nonni diventa un’oasi di pace per Ambra, la protagonista, un luogo dove sperimentare l’affetto e l’armonia, al contrario del nucleo familiare originario in cui regnano le liti tra consorti, nonché la freddezza dei rapporti tra la madre e le sue figlie, ma anche tra le stesse sorelle. Le quattro figlie della Terra, Topazio, Perla, Giada e Ambra, non sono abituate alle manifestazioni d’affetto e crescono l’una contro l’altra, incapaci di amarsi o anche solo di comprendersi; Topazio, persa nel suo cinico egoismo che la porta ad abbandonare la scomoda famiglia adescando il primo sciocco che le capita a tiro, Perla, ragazza vanesia, invidiosa e ritratto della madre. Solo Ambra e Giada sembrano provare affetto l’una per l’altra, ma è un affetto algido, incapace di manifestarsi attraverso il contatto fisico. Contatto fisico che Ambra trova solo nella zia Elia, la zitella-madre, l’unica in grado di manifestare affetto e di ricoprire il ruolo materno a cui Lucia, la madre “biologica” di Ambra, non aspira e anzi rifiuta in maniera categorica fino alla fine. Così la casa dei nonni per Ambra diventa il luogo del cuore, il luogo di una vita semplice scandita dai ritmi immutabili della Natura – come lo scorrere delle stagioni o il lavoro nei campi. Una vita a misura d’uomo, autentica, che sa di buono, di pulito. Ed è proprio il sapore di buono, insieme alle descrizioni di questo paesaggio del cuore, di questo tempo senza tempo, la parte che ho amato di più. Forse perché da abruzzese riesco a condividere con l’autrice quel tempo antico spazzato via dalla modernità ma che, nonostante tutto, è riuscito a sopravvivere nei cuori di chi l’ha sperimentato in prima persona; un tempo, quindi, che deve esserci rimasto indelebilmente dentro a entrambe.

Tra i personaggi ho adorato la piccola Ambra, dolce e ribelle, ma anche Elia, la madre che non è neanche stata sposa. Ho amato la compostezza e la solidità dei nonni che incarnano i valori veri che Ambra non riesce a trovare nella famiglia d’origine (soprattutto nella figura materna), valori tradizionali di un Abruzzo dal cuore “forte e gentile”, dove forte sta per fortezza d’animo, dignità e serietà.

Mi è piaciuto “Fava”, l’amico del cuore di Ambra, l’uomo fedele che ama disinteressatamente, così come ho trovato affascinante la figura di Killian, richiamo irresistibile all’amata Irlanda a cui l’autrice non sa rinunciare neppure in questo romanzo. Ma nonostante queste due figure maschili, le uniche insieme a quella paterna e del nonno a essere davvero pregnanti a livello della trama, per il resto gli altri personaggi maschili sono per lo più ombre prive di carattere, figure deboli che, come burattini, si lasciano manovrare dalle loro mogli per buona parte del romanzo. Un romanzo che è un potente ritratto femminile, e non sempre lusinghiero per noi donne. Se infatti da una parte ci sono la saggezza e la dolcezza di Elia, la ribellione e la sensibilità di Ambra, la fermezza e la pacatezza della nonna, dall’altro vi sono anche figure fortemente negative: Topazio, Perla e la loro madre Lucia, tre pezzi di un unico puzzle che compongono una femminilità frivola, fredda, cinica e calcolatrice.

Un romanzo moderno che sa d’antico, un viaggio nei luoghi del cuore per rivalutare il valore della memoria.

 

 

Klea: tra fantasy e menzogne

foto valentino

Letterando è lieta di presentare ai suoi lettori la nuova fatica letteraria del nostro amico Valentino Eugeni. Continuate a seguirci se volete sapere qualcosa in più su quest’eclettico scrittore.

Henke è un giovane studente di fisica. Henke è malato, è narcolettico, si addormenta nei momenti peggiori, e sogna. Annabeth è la sua migliore amica, da sempre, ma non può raccontargli di Klea, della prigione in cui è rinchiusa. Per questo sceglie di mentirgli ogni giorno, anche quando Klea si avvia al supplizio che il vescovo ha preparato per lei.

Sono queste le premesse di “Klea”, primo racconto breve in ebook di Valentino Eugeni, già autore dello Urban fantasy “La voce di Nero” (Montecovello editore, 2015). Disponibile su tutte le maggiori librerie online (questo il link Amazon), si tratta di un paranormal fantasy in cui l’inquietudine monta capitolo per capitolo. Henke non è l’unico a essere ossessionato dalle sue visioni, ma ciò che scoprirà in merito a quelle immagini oniriche affonda in un passato così doloroso che tutti attorno a lui hanno scelto di mentirgli.

“Klea”, pur non essendo l’inizio di una saga, è parte di un nuovo progetto editoriale dello scrittore fermano che promette di stupire: un’antologia di storie brevi che i lettori potranno comporre nel tempo e che garantisce contenuti speciali ai fan più fedeli.

Come si legge sul blog ufficiale, infatti, Eugeni annuncia la pubblicazione di altri 11 racconti, che seguiranno il primo a cadenza semi-regolare. Alla pubblicazione dell’ultimo racconto, chi li avrà collezionati tutti (producendo prova di acquisto), ne riceverà un tredicesimo in esclusiva e un’illustrazione originale che rappresenta la “copertina” della raccolta così ultimata. Un modo per rinverdire la tradizione delle pubblicazioni a fascicoli nell’era del digitale, in cui il classico raccoglitore viene sostituito dal vostro ereader.

Valentino Eugeni nasce nel 1975. Cultore e consumatore compulsivo di storie, narratore ed esploratore del fantastico. I suoi racconti sono stati selezionati in vari premi letterari e pubblicati nelle antologie di Limana Umanìta e Isola Illyon. “Parthan ci lasciò vivere” è nella cinquina finalista del premio Crysalide Mondadori e viene pubblicato in Effemme, l’almanacco di Fantasy Magazine (Primavera 2014). Il suo primo romanzo “La voce di Nero”, si classifica Top100 su Ilmiolibro.it.

Questi i link dove seguire l’autore:

Blog ufficiale (http://valentinoeugeni.it/)

Facebook (http://valentinoeugeni.it/)

Twitter (https://twitter.com/valentinoeugeni)

Goodreads (http://www.goodreads.com/user/show/49118859-valentino-eugeni)

 

 

Quo(rum) vadis?

Riflessione amara sul fallimento del referendum sulle trivelle.

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di Coralba Capuani

Gli italiani non si smentiscono mai, sono sempre il solito popolo di caproni. Questo è stato il primo pensiero appena venuta a conoscenza del risultato del referendum di domenica scorsa. All’italiano medio importa solo del calcio, dell’uscita domenicale e delle proprie bagattelle familiari, il resto è roba degli altri e lui, da bravo italiano medio, se ne frega.

L’italiano medio pensa che andare a votare sia solo una grossa scocciatura che gli intralcia il programmino domenicale pianificato durante tutta la settimana lavorativa: dormita fino alle dieci, lauto pranzo, vistitina allo stadio per assistere alla partita della squadruccia locale, passeggiatina veloce giusto per accontentare la prole, e soprattutto la consorte che sennò romperà ogni santo giorno a venire della settimana successiva. Infine, dopo una cena, passerà la sera spaparanzato sul divano a vedere la trasmissione svuota cervelli, quella che non impegna e non fa riflettere finché si andrà tutti a nanna in attesa di ricominciare il tran tran del lunedì.

L’italiano medio mica lo sa che c’è stata gente che ha combattuto e perso la vita per dargli quel diritto che lui considera solo una seccatura, un affaruccio da niente, ché è già un peso andare a votare per le politiche, comunali, regionali, nazionali, ma quello è un peso che gli hanno insegnato che non si può scrollare di dosso, però il referendum no, cacchio, pure quello no! A che serve il referendum?, si chiede l’italiano medio, solo a spillare soldi agli italiani, si risponde. E poi vuoi mettere tutti quei quesiti di cui lui non capisce un’acca e manco gli interessa informarsi per cercare di capirci qualcosa almeno? Perciò no, per il referendum l’italiano medio a votare non ci va, se ne frega.

Però non crediate che io stia parlando di gente ignorante, persone prive di un titolo di studio o semplicemente vecchietti un po’ rimbambiti dall’età. No, io mi riferisco a soggetti-tipo, uguali e spiccicati a quello che ieri, domandando se fosse andato a votare, mi ha risposto così: «Alla televisione hanno detto che non bisognava andarci, e poi sono cinque anni che non voto». Il tutto accompagnato da una scrollata di spalle e un arricciamento di labbra.

Ecco, questo è l’italiano medio, quello che si limita a curare il proprio orticello, quello che veste abiti firmati, ha l’i-phone, naviga in internet, chatta, tagga, ma non è poi molto diverso dall’uomo di Neanderthal. Un Neanderthal tecnologicamente evoluto, senz’altro, ma culturalmente quello di allora, quello che si interessa dei propri bisogni primari senza considerare la comunità. Che lui è parte di una comunità più ampia che non è solo la sua famiglia, il paesello nel quale vive, né la regione, bensì una comunità che lo fa italiano, europeo, e anche cittadino del mondo. Un individuo che non capisce che anche lui, seppur neandertaliano nell’intelletto o nella coscienza civica o, peggio, in entrambi i casi, ha degli obblighi morali verso la comunità italiana, europea e anche, in fin dei conti, mondiale. Pure se lui è un minuscolo tassello, una pulce, un neutrone piccolo piccolo, ma che, come l’invisibile neutrone, ha un proprio peso specifico, occupa uno spazio nel mondo,  e che, in certi casi, proprio come il neutrone, può diventare una minaccia per sé e per gli altri.

A me fanno paura queste persone che non si fanno domande, prive di curiosità verso la vita e verso il destino degli altri, quelli che pensano solo alla propria individualità senza curasi della collettività. Mi fanno paura perché sono facilmente manovrabili e, con il loro disinteresse, fanno perdere peso alla comunità tutta che, poco a poco, si alleggerisce di elementi perdendo il potere di contare. Perché chi non sceglie, in fondo, fa sempre una scelta, il suo disinteresse, infatti, fa in modo che la voce degli altri sia meno udibile e, quindi, condanna tutta la comunità al silenzio.

E non si tratta, come dicevo sopra, di ignoranza pura e semplice, di mancanza di cultura, ma di un fattore che denominerei come un’incoscienza culturale, o, se preferite, un’ignoranza della coscienza. Non si tratta di avere titoli di studio, di essere plurilaureati e via dicendo, ma di un’esigenza che viene da dentro e che ti spinge a non accontentarti di ciò che ti viene detto e a intraprendere una tua ricerca personale, e vi posso dire che questo non dipende dal titolo di studio ma da una predisposizione individuale. Faccio l’esempio di due miei compaesani, persone molto diverse, ma unite entrambe da una passione verso la conoscenza. La prima è un’estetista, una di quelle figure professionali che nella fiction Rai “Come fai sbagli” (e mai titolo fu più azzeccato!) suscita la reazione sdegnata di una delle protagoniste alla sola idea che sua figlia possa intraprendere questo mestiere, forse perché i dirigenti Rai considerano l’estetista come prototipo dell’ignorante. Beh, che vi devo dire, sarò stata fortunata, ma non solo la mia estetista suona il violino (appreso da adulta e per passione personale, non certo per farne una carriera), ma legge e si interessa di tutto tanto che mi è capitato di discorrere con lei persino di filosofia greca (solo per questioni di spazio tralascio il caso di un’altra estetista, mia carissima amica nonché ottima scrittrice e lettrice famelica, molto più della sottoscritta…)

Ma tornando ai miei compaesani, il secondo è un tipo strambo, uno che ha idee un po’ rivoluzionarie, ma che, nonostante non condivida i suoi punti di vista, non si accontenta della pappa pronta che ci propinano, ma si ingegna a ricercare i testi più bizzarri e non convenzionali pur di farsi un’idea propria. Magari a volte passa da un argomento all’altro senza continuità di logica o senza spiegare all’interlocutore i vari passaggi intermedi (se li dia per scontati o non li conosca non saprei dire), ma è una persona che ha fatto della ricerca la sua vita. E secondo me è proprio questa la vera cultura: una continua ricerca che ti porta a farti domande che non si esauriscono con delle semplici risposte ma che, anzi, una volta trovata la risposta ti suggeriscono la domanda successiva in un moto perpetuo di domanda e ricerca. La cultura è non accontentarsi di ciò che si vede o ci viene detto, ma approfondire e decidere con la propria testa, scegliere, magari sbagliando, ma scegliere. Perché, ricordiamoci sempre, che anche chi si mette in un angolo sperando che gli altri decidano per lui, delegando agli altri anche le proprie responsabilità civiche, in realtà finisce sempre per fare una scelta che oltre ad avere delle conseguenze per lui stesso ne avrà anche per gli altri. E ricordatevi che, a volte, la sua non-scelta può diventare pericolosa, perché toglie o diminuisce il potere decisionale degli altri, indebolendo, in ultima analisi, anche la democrazia. E non è un caso che i più affezionati al voto siano i più vecchi, persone semplici che magari hanno solo la quinta elementare ma che conoscono il valore della libertà e della possibilità di decidere, proprio perché hanno sperimentato sulla propria pelle che la democrazia è un dono prezioso, un dono che ci è stato regalato da chi ci ha preceduto e che, spesso, ha pagato con la vita. Proprio adesso che si avvicina il 25 aprile, dedichiamo qualche minuto delle nostre giornate oberate di impegni a riflettere sul valore di questo dono che ci è stato affidato solo in prestito e che dovremmo restituire alle generazioni che seguiranno. Non facciamo in modo, quindi, che questo dono si perda per strada, ma lottiamo, come la generazione che ci ha preceduto, per conservare il prezioso dono della possibilità di scelta e della democrazia.

L’arcobaleno torna ai bambini

 

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Ciao e benvenuta sul blog di Letterando, per prima cosa una curiosità, come ci hai conosciuto e perché hai scelto noi?

Ciao grazie per la possibilità che mi state dando, girando per il web, per farmi conoscere come blogger e illustratrice mi sono incuriosita al vostro sito e vi ho contattato. È stata una pura casualità.

Presentati ai nostri lettori, chi è Mariangela e cosa fai quando smetti gli abiti di scrittrice?

Mi chiamo Mariangela Caccia e sono un’illustratrice e una blogger, scrivo su un sito di cinema e mi occupo della parte kids, faccio recensioni e cerco di dare consigli ai genitori, visto che sono anch’io una mamma di una bambina di 6 anni di nome Nicole.

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Come è avvenuto l’incontro con la scrittura? È stato un processo lineare, una scoperta recente o è stata una passione accantonata e poi recuperata?

È stata una passione accantonata e poi recuperata, mi è sempre piaciuto scrivere per i bambini e raccontare storie, ho messo insieme il mio lavoro di blogger e di illustratrice e ho creato un libro App per bambini con il titolo “La Famiglia Arcobaleno”, anni fa tenevo una rubrica sempre per bambini sul giornale “La Cronaca di Piacenza”.

Come mai questo titolo singolare per un libro dedicato ai bambini? Sai con i tempi che corrono quando si parla di “arcobaleno“ si pensa a un unico argomento. Io stessa sono caduta in errore prima di dare una sbirciata al link d’acquisto del tuo libro 😀 (che trovate qui: https://itunes.apple.com/it/book/la-famiglia-arcobaleno/id1049110105?mt=11&ign-mpt=uo%3D4)

Sì, hai ragione, quando parliamo di famiglia  arcobaleno ci vengono in mente le famiglie con coppie omosessuali. Io per il libro non mi sono basata su questo argomento, ho semplicemente creato una famiglia allegra con voglia di fare e insegnare ai bambini i numeri le lettere i colori e tanto altro in modo efficace ma semplice, perciò ho pensato a colori allegri e solari, tutto qui.

Quanti libri hai scritto e quale genere tratti?

Scrivo libri per bambini, con delle parti interattive per aggiungere alla lettura il divertimento del gioco, della curiosità e della scoperta. Un altro libro scritto che uscirà a breve è sulla paura del buio e come aiutare i bambini a superarla. Mi piace molto il mondo dei bambini, perché mi da la possibilità di viaggiare con la fantasia e far uscire la bambina che c’è in me. Ho sempre scritto per bambini, all’inizio, creando storie su misura per il bambino stesso, dove lui o lei diventavano i protagonisti della storia stessa. Poi con l’evolversi anche della tecnologia ho provato a creare dei libri interattivi unendo l’utile al dilettevole. “La famiglia Arcobaleno” è un libro interattivo arricchito da magiche animazioni. La storia, emozionante, accompagna il bambino in un viaggio alla scoperta dei colori, dei numeri, delle lettere, delle note musicali, stimolando la fantasia e incoraggiando la creatività. Attraverso il gioco i bambini impareranno a conoscere ciò che li circonda. Potranno, con un semplice tocco, fare magie e giocare con mamma e papà, far suonare la sveglia dormigliona ed imparare i numeri, svegliare le tazze ballerine con i biscotti che si tuffano nel latte, mentre il treno fa ciuf, ciuf; guardare il coniglio salterino mentre tenta di mangiare la signora carota, e scoprire come corre il signor bruco giù per la collina, fino a far scappare il signore del buio.

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Tu sei un’esordiente e spesso molti tuoi colleghi ricorrono all’autopubblicazione, tu cosa ne pensi, meglio avere alla spalle una casa editrice o chi fa da sé fa per tre? Com’è stata la tua esperienza in proposito?

Ho avuto tutte e due le esperienze, il primo libro “Nily vince la paura del buio”, scritto con una psicologa dell’infanzia, è stato pubblicato da una casa editrice, ma purtroppo l’esperienza non ha avuto esiti positivi, forse perché la casa editrice stessa non era specializzata per la fascia kids.

Con il libro “La famiglia Arcobaleno” invece abbiamo deciso per l’autopubblicazione, e sembra che il tutto stia procedendo nel migliore dei modi. Anche se non è stato facile perché il mondo web è pieno di libri gratuiti e non per bambini.

Progetti futuri?

Tra i progetti futuri ho due libri nel cassetto, due testi che sto scrivendo con una professionista del mestiere (logopedista) per aiutare i bambini con difficoltà di linguaggio e avvicinare i più piccoli alla lettura con molta semplicità. Un altro libro è invece sempre sulla paura del buio e come cercare di risolverla con delle strategie abbinate alla storia.

Grazie per essere stato dei nostri e a presto!!!

Dove seguire Mariangela http://kids.screenweek.it/

 

 

 

Lo spirito investigativo di Roberto Blandino

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Ciao e benvenuto/a sul blog di Letterando, per prima cosa una curiosità, come ci hai conosciuto e perché hai scelto noi?

Vi ho conosciuti attraverso i social network e in un certo senso il destino ha voluto che le nostre strade si incrociassero…

Presentati ai nostri lettori, chi è Roberto Blandino e cosa fai quando smetti gli abiti di scrittore?

Mi chiamo Roberto Blandino, 43 anni, torinese, vivo e lavoro a Biella. Una figlia di 4 anni. Passione per la scrittura da sempre, ma ho cominciato per gioco qualche anno fa. Insomma, padre, marito, lavoratore e tante altre cose, come tutti. Scrivere è una delle molte passioni che coltivo, con tenacia e umiltà. Forse perché ne ho bisogno, come valvola di sfogo, nonostante il poco tempo a disposizione.

Come è avvenuto l’incontro con la scrittura? È stato un processo lineare, una scoperta recente o è stata una passione accantonata e poi recuperata?

Mi è sempre piaciuto scrivere. Una dote naturale che ho però abbandonato subito dopo gli studi, nonostante sia stato l’unico studente del mio istituto superiore ad avere 10 in componimento. Alcuni anni fa, causa le lunghe notti insonni per la nascita di mia figlia, si è risvegliata la passione e allora, di getto, ho scritto il mio primo libro.

Quanti libri hai scritto e quale genere tratti?

Ho scritto cinque romanzi e due saggi, uno sull’Astrologia e uno sull’esoterismo in genere.

Ci parli dei tuoi romanzi?

I miei romanzi raccontano le avventure e le indagini di un ex membro dei servizi segreti vaticani, Gabriel Delacroix, colpito da gravi crisi esistenziali dopo la tragica scomparsa della moglie. Archeologo e storico dell’arte, Gabriel ha un oscuro passato che viene via via narrato lungo il dipanarsi delle sue avventure.

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Nello specifico Lo Spirito del Male è l’episodio pilota di una serie di romanzi che ruotano intorno alle indagini di Gabriel Delacroix, ricercatore universitario ed ex agente del Servizio di Informazione del Vaticano, il SIV, di cui era uno dei pochissimi membri laici. Dopo la tragica scomparsa della moglie, Gabriel si è ritirato progressivamente a vita privata, dividendosi tra i suoi incarichi presso i Dipartimenti di Orientalistica e di Scienze antropologiche, storiche e archeologiche dell’Università di Torino e il ruolo di genitore. Abbandonato poco più che neonato alle porte del Matteo Ricci Institute di Macao, Gabriel viene adottato dal Padre Gesuita Antoine Delacroix, che gli dà il suo cognome e lo educa come suo successore alla guida del SIV, organizzazione nella quale Gabriel militerà poi per oltre venti anni. L’occasione di rimettersi in gioco si presenta sotto le vesti di suo cognato, il Colonnello dell’Arma Alessandro De Angelis, membro effettivo dell’AISI, il quale ha ricevuto l’incarico di fermare un misterioso assassino, che si è auto appellato come “Il Demiurgo”, che ha rapito due delle massime cariche dei Servizi Segreti italiani. Dopo aver inviato al Generale Andreis, Direttore dell’AISI, le prove dell’avvenuto assassinio di uno dei due funzionari rapiti, il Demiurgo minaccia l’uccisione del secondo entro le 48 ore successive, a meno che non gli vengano fornite le coordinate delle leggendarie Grotte Alchemiche di Torino. Il Colonnello De Angelis, coadiuvato da due colleghi statunitensi, il Maggiore Ted Newmar e il Tenente John Repetti, si rivolge quindi all’unico uomo che crede possa aiutarlo nella ricerca, suo cognato Gabriel, appunto. Gabriel si metterà quindi alla testa del gruppo per intraprendere una strenua ricerca attraverso i punti chiave della Torino esoterica, fino all’inaspettato confronto finale con il misterioso Demiurgo e le creature del buio che egli domina…

Tu sei un esordiente e spesso molti tuoi colleghi ricorrono all’autopubblicazione, tu cosa ne pensi, meglio avere alla spalle una casa editrice o chi fa da sé fa per tre? Com’è stata la tua esperienza in proposito?

Anche io ho autopubblicato i miei romanzi, prima di cedere i diritti de Lo Spirito del Male a Leone Editore per 10 anni, l’ho autopubblicato con il titolo de Il maestro del buio e con un po’ di fortuna sono stato al primo posto di Amazon per dodici settimane consecutive, davanti a mostri sacri come King e Cooper. Dopo aver venduto migliaia di ebook le case editrici hanno cominciato a notarmi. Ho quindi firmato con Leone Editore.  Autopubblicare è una grande avventura, ma è anche un’arma a doppio taglio. In Italia il 57% degli italiani non legge nemmeno un libro all’anno. In Francia si legge 4 volte di più, per esempio. Tutti vogliono scrivere però. In pratica, vi sono quasi più aspiranti scrittori che lettori, e questo è singolare visto che il primo requisito per un aspirante scrittore è quello di essere un avido lettore… Ma l’editoria vera rimane quella cartacea, almeno in Italia, e non autopubblicata. Il self a mio modo di vedere le cose dovrebbe essere solo un punto di partenza, anche se pubblicare con una casa editrice, ancorché ben distribuita, richiede moltissimi sforzi ugualmente.

Progetti futuri?

Proseguire le avventure di Gabriel Delacroix ed espandere il suo mondo. Ho quasi ultimato la trama del quinto romanzo che lo vede protagonista anche se prima dovranno essere edite le sue precedenti avventure. In pratica posso lavorare con tranquillità.

Grazie per essere stato dei nostri e a presto!!!

Grazie a voi per l’attenzione.

Per seguire Roberto clicca qui

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Basta con le dichiarazioni “petalose”: un po’ di buonsenso please!

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Svegliatemi!!! No, dico, adesso non è ora che qualcuno mi svegli? Eh sì, perché a me pare di essere piombata in una novella di Pirandello che, per chissà quale strana combinazione, sia stata mescolata ai romanzi di Kafka che, a loro volta, si sono fusi con il teatro dell’assurdo. Più vado avanti, infatti, più mi convinco che deve essere questa la spiegazione. Altrimenti come si spiegherebbe che da qualche tempo la gente ha iniziato a straparlare? Gente che stimavo e reputavo intelligente e che poff, tutto d’un tratto si è messa a sparare cavolate come niente fosse. L’ultima giusto oggi. La Carrà che sul sito de La Repubblica chiede ai lettori se per caso è venuta su male, lei che è cresciuta con due donne. Peccato che la Raffa nazionale non dica che si tratti della madre e della nonna, e che, quindi, le unioni civili non c’entrano un cacchio (si può scrivere “cacchio”?)

Mi ero ripromessa di stare zitta, giuro, anche perché su questo argomento ho espresso ampiamente la mia opinione, ma quando leggi dichiarazioni simili come fai a stare zitta? Tacere sarebbe da idioti. Perciò parlo, e chi non gradisce non legga questo lunghissimo pistolotto (come dice la socia Monica).

Nessuno si offenda se dichiaro di non apprezzare le unioni civili né, tantomeno, le leggi che tutelano queste unioni. Non ho nulla contro i gay, le lesbiche, i divorziati, i risposati e chi più ne ha più ne metta. Non condivido le loro idee ma non ho nulla contro di loro. Per quanto mi riguarda possono fare quello che vogliono: fidanzarsi, darsi alle orge, allo scambio di coppie, al buddismo, allo yoga, alla meditazione o quello che cavolo vogliono. Ciò che mi aspetterei però è che non abbiano la pretesa di “scimmiottare” il matrimonio. Uso un termine forte, lo so, ma in questi tempi di ipocrisia credo che esprimere le proprie opinioni in maniera netta  e diretta sia il modo migliore. Il matrimonio, per me che sono alla giurassica più che all’antica, è uno e indissolubile. Pensate che considero persino il matrimonio in Comune come “inferiore” rispetto a quello in chiesa. Ma questa è una mia personalissima opinione, per carità, meglio un matrimonio vero in Comune che un matrimonio in Chiesa fatto da una coppia che poi, nel corso della vita, non ci rimetterà più piede.

Tornando a noi, l’unione affettiva di due individui è giusta e sacrosanta e nessuno, che la condivida o meno, può denigrarla. Per dirla terra terra l’affetto è una cosa personalissima e nessuno può metterci becco. Altra cosa è il riconoscimento da parte dello Stato. È questo che trovo stupido. Perché con tanti problemi che ha il nostro paese, il Governo deve perdere tanto tempo per fare una legge ad hoc per una minoranza della popolazione? A che pro?

Se queste coppie di fatto possono vivere liberamente su che caspita di argomenti si dovrebbe legiferare? Per il riconoscimento di un amore doc e no made in China? Perché vogliono sposarsi? Perché ci sono dei figli di mezzo? Per la pensione? Per soldi?

Allora, io che sono piuttosto pragmatica la vedo così:

1 – l’amore non ha bisogno del riconoscimento dello Stato. Altra cosa se è la Chiesa nel caso di una coppia di credenti (ovviamente etero!)

2 – il matrimonio. Tasto dolente. Sarò cattiva, stronza o quello che volete voi, ma queste coppie, soprattutto se formate da persone dello stesso sesso non possono equiparare la loro unione al matrimonio tra un uomo e una donna. Semplicemente perché la loro unione è “altra cosa” rispetto all’unione di un uomo e di una donna, punto. Poi dentro “altra cosa” potete metterci quello che volete, aggettivi positivi o negativi, petalosi e non! (che orribile aggettivo ho usato oibò L)

3 – per i figli? Allora, rileggete le avvertenze del punto 2 relative alla stronzaggine dell’articolista ma se si tratta di adottare figli altrui o , peggio, di farseli fare su ordinazione, allora io dico no, non e no! i bambini non sono oggetti e non si fanno su commissione. Se i figli invece sono del partner beh, allora lasciate che vi dica due paroline cari genitori. Ma se voi sapevate della vostra sessualità, perché caspita ve ne andare in giro a fare figli! E non venite a raccontarmi la favola che vi siete accorti solo dopo di essere gay e lesbiche, che è come sentire il famoso tizio che dichiarava di avere una casa a sua insaputa. Perciò, per prima cosa vi tirerei le orecchie per essere stati così superficiali ed egoisti ad aver messo al mondo un bambino sapendo dei vostri gusti sessuali. Ma siccome mò il bambino ce l’avrete, non vi si può mica togliere. Non sono così stronza, anche se, a essere cattiva per davvero meritereste che vi venga tolto e affidato a un’altra famiglia fino al compimento del diciottesimo anno d’età. Poi solo da allora dovrebbe decidere se darvi una possibilità come genitore. Ma siccome cattiva sì, ma crudele no, penso che la cosa più giusta da fare sarebbe affidare il pargolo ai nonni paterni o materni che siano – sarà il giudice a stabilire in base all’età al reddito ecc. chi sia più consono – e voi, genitori immaturi, potreste sempre continuare a vederlo e a fare il padre o la madre. Poi, semmai, saranno cacchi vostri se il pargolo, una volta cresciuto, vi liquiderà con una bella pedata nel fondoschiena.

E questa era la prima parte. Sistemata la parte seria della questione passo alla Fase 2: la pubblicità.

Ho trovato davvero obbrobrioso il continuo martellamento mediatico a favore delle unioni civili. Capisco e comprendo i diretti interessanti che, nella fattispecie, sono stati molto più corretti e civili di certi etero vip che, con i loro sbandieramenti technicolor-sanremesi, hanno dimostrato tutta la pochezza della loro materia grigia, nella quale una sola nota risuona: viva l’ammmoreee!!! E vabbè, passi per chi è direttamente interessato e tira l’acqua al suo mulino, passi per chi è davvero convinto e, da filantropo, si batte per la causa. Basta che non sia solo quella però! Tipo la Mannoia per esempio. Nella sua bacheca trovi di tutto: post che ti spiegano in maniera razionale, e non con frasette adolescenziali del “vivalammmore”, perché è a favore delle unioni civili, ma anche post di denuncia per l’indifferenza che l’Unione Europea riserva agli immigrati, oppure denunce sul fenomeno del femminicidio ecc. ecc. Insomma, Fiorella è una che si è sempre occupata di problematiche sociali, si può non essere  d’accordo con lei, ma non si può certo accusarla di seguire l’opinione corrente o le mode del momento.

Altra cosa, invece, lasciatemelo dire, davvero vomitevole, è vedere personaggi tipo la Pausino o Ramazzotti che, lautamente pagati dal servizio pubblico, si mettono a esibire le loro opinioni quando in altri casi di cronaca (gente che si suicida per la mancanza di lavoro, le morti nella terra dei fuochi, le donne uccise o deturpate dall’acido, le ingiustizie verso i disabili che non possono neanche prendere un pullman perché non sono provvisti dell’apposito predellino, i trecento morti nel mare di fronte a Lampedusa e tante altre cose orribili) non hanno detto neanche una parola. Neanche su Twitter. Allora tu, cantante di amorazzi adolescenziali, pagata e strapagata con il canone di noi cittadini, come cavolo ti permetti di piazzarti sul palco dell’Ariston a fare la sbandieratrice della Quintana di Ascoli? Chi te l’ha chiesto? Ma che vuoi? Chi ti conosce? Pensa a cantare ’ste quattro canzoncine gne gne gne e non rompere gli zibedei allo spettatore. E, soprattutto, se proprio vuoi fare la sbandieratrice, fallo nel tuo concerto. E  infine vergognati! Per l’indifferenza e l’insensibilità che mostri nei confronti di altri problemi che, questi sì, ledono la dignità di alcuni cittadini che lo Stato non si degna neppure di pensare..

 

 

Mauro Cesaretti: il videopoeta anconetano.

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Concludiamo l’anno presentandovi Mauro Cesaretti, un esordiente, a nostro avviso, molto originale. In un mondo che va di fretta e dove solo la parola “poesia” sembra un termine anacronistico che rimanda a un’atmosfera ottocentesca, non solo sceglie di essere poeta, ma, addirittura, per promuoversi si inventa una strana arte, la “Body Poetry” mescolando la parola scritta con la recitazione e il ballo creando una sorta di moderno videoclip poetico davvero accattivante. Perciò, cari amici di Letterando, quale modo migliore per finire il 2015 se non con un tocco di originalità? 😉

Per prima cosa vorrei che ti presentassi ai nostri lettori: chi è Mauro Cesaretti nella vita di tutti i giorni? Parlami di te, cosa fai, dove vivi, cosa ti piace fare oltre a scrivere poesie ecc.

Mauro Cesaretti è un ragazzo di 19 anni, trasferitosi a Milano per l’università, ma nato in Ancona. Principalmente la mia passione è scrivere, ma mi cimento in varie attività artistiche: dal pianoforte alla pittura passando anche per il cinema ed altre attività. Per me l’arte è una commistione di varie conoscenze e abilità e per comprenderla al meglio c’è bisogno di provare tutte le sue sfaccettature ed aprire gli orizzonti del proprio cuore.

Hai esordito giovanissimo e in un campo, quello poetico, da decenni rimasto un po’ ai margini. Come mai, quindi, la scelta della poesia?

In verità, non avrei mai pensato di affacciarmi nella poesia, perché tutto è nato per caso quando ero alle medie. Inizialmente non avevo nemmeno l’intenzione di proseguire in quel campo, né di raffinare la mia tecnica, poi ho deciso di utilizzare questa strada come esternazione dei miei sentimenti più profondi e come una “palestra di scrittura”, imparando ad esprimermi enfaticamente con poche parole.

 

A quale poeta ti ispiri e come definiresti il tuo stile poetico?

 

È una domanda che mi viene spesso chiesta, ma alla quale non rispondo. Inizialmente dicevo Dante e Leopardi, poi leggendo sempre di più mi rendo conto che ogni autore mi regala davvero tanto e quindi non esistono ispirazioni, perché io sono io e cerco di trovare il mio unico stile.

 

In questo mondo di libri mordi e fuggi, dove la letteratura si avvicina sempre più al modello fast food, secondo te quale può essere il ruolo della poesia? E, soprattutto, c’è ancora posto per la poesia nel mondo d’oggi?

 

La poesia è ovunque e anche se non si chiama più poesia, se viene chiamata con altri nomi, rimane sempre sotto gli occhi di tutti: dalle metafore convincenti delle campagne pubblicitarie alle frasi di canzoni famose o orazioni del politico di grido in piazza. Per seguire, invece, il discorso della velocità, non ho fatto come Marinetti che abolì aggettivi, avverbi ecc., io ho pensato di ridurre il numero di versi, un po’ sulla scia ungarettiana, creando una poesia istantanea e immaginifica che sia rapida da capire e facilmente imprimibile nella mente, ma con profondi significati celati dietro ad ogni parola o figura retorica.

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Hai iniziato a recitare con il Teatro Stabile delle Marche a sei anni, hai studiato pianoforte e canto e, nell’autunno nel 2013, dopo la pubblicazione il libro “Se è Vita, lo sarà per sempre” edito dalla Montag, hai iniziato un tour letterario in giro per l’Italia insieme al pianista/cantautore Alessandro Pellegrini. Come mai questo  interesse verso altre forme d’arte e per lo spettacolo in particolare?

Perché è il modo più diretto per arrivare al pubblico! Sento ogni giorno il bisogno di portare messaggi carichi di poesia e arte, e credo che dobbiamo smetterla di vedere lo scrittore come un essere isolato che non si fa vedere. Il contatto con le persone è fondamentale! Chi scrive dovrebbe seguire due principi: uno che è quello di dare l’opportunità alla gente di riflettere su temi profondi del loro vivere e l’altro di dilettare. Lo scrittore, se è tale, non dovrebbe che essere maieutico. Lo scrittore, prima di tutto, è un lavoro per il sociale.

 

Ho notato che ti dai molto da fare per promuoverti, in particolare, a mio avviso, utilizzi dei mezzi molto moderni, come la creazione di un canale specifico su youtube per divulgare il progetto della “Body Poetry” (che a me è piaciuta davvero molto). Come è nato il progetto?

 

Il progetto è nato nella mia prima presentazione come una sperimentazione, riutilizzando l’unione di danza-musica-poesia inventata dai greci circa duemila anni fa. Questo mi ha fatto pensare alle grandi potenzialità di un progetto del genere nella società di oggi e di come la poesia non si sia mai strettamente legata alla danza, disciplina artistica di raffinata bellezza. Da ciò, parte prima un’iniziativa youtube e poi la creazione di una nuova disciplina di danza. Tale attività è stata brevettata con tanto di logo nell’agosto 2014. A settembre 2015 abbiamo iniziato ad insegnarla, ma, a causa di una scarsa pubblicità, il corso si è concluso per mancanza di iscritti. Il progetto continua e a gennaio uscirà la Body Poetry Hip Hop e un’iniziativa di video poesia chiamata Istanti. Il nostro più grande sogno è quello di essere sostenuti dal direttore di qualche scuola di danza, per poter avviare un buon corso di Body Poetry.

 

Diversamente da quanto accade per la maggior parte di video postati su youtube, i tuoi video sono di qualità professionale, chi se ne occupa?

 

Io dirigo gran parte del lavoro, ma ogni ruolo è fondamentale dai cameramen, che permettono la realizzazione del clip, ai musicisti, soffermandoci ovviamente su ballerini e attori senza i quali non vi sarebbe l’azione. Contattare tutti, scegliere le scenografie, i messaggi principali da trasmettere e tante altre cose, non è facile, ma non mi arrendo mai perché voglio trasmettere un’opera di qualità.

 

Come è nata la collaborazione con Luca Marchetti, il ballerino che compare nei  video?

 

Eravamo nella stessa scuola, quando ho proposto a Luca Marchetti il progetto e lui entusiasta ha accettato. Certo, il video “Io e te”, fu la nostra puntata 0, poi come abbiamo visto l’interesse degli altri, allora ci siamo sbizzarriti e perfezionati studiando anche il nostro pubblico.

 

Il ricavato delle vendite dell’antologia “12° edizione Autori e amici di Marzia Carocci” è stato devoluto alla lega del Filo d’Oro, nell’agosto del 2014 hai partecipato a una serata di beneficenza in favore della Siria organizzata dall’associazione “Nati per amare insieme”, come mai questo filo che ti lega al mondo della solidarietà?

 

Credo che tutto ciò che ci viene dato, ogni abilità ed ogni conoscenza, debba essere trasmessa. Prima dei soldi, che permettono di perfezionare ovviamente determinate cose o investire su altri progetti, serve amare, amare il prossimo. La cultura ormai o è marketing o è solidarietà e quindi io spero sempre che le persone concedano ai miei progetti di andare avanti ogni qualvolta li incontrino, perché il mio fine ultimo è più grande, è quello della condivisione di frammenti di vita per un benessere di sapienza!

 

Nonostante la giovane età hai ricevuto molti prestigiosi riconoscimenti a livello nazionale e non solo, ti va di parlarcene?

 

Beh, più che “prestigiosi riconoscimenti”, per me sono soddisfazioni che mi fanno capire che sto inseguendo la strada giusta. Essere scelto per delle antologie, o essere chiamato tra i blasonati esperti in eventi in tutta Italia, oppure essere chiamato a fare delle critiche o ricevere regali da persone che mi stimano mi fa molto piacere e penso di essere riuscito a trasmettere i miei messaggi.

 

Quali sono i tuoi progetti futuri, stai lavorando a qualcosa in particolare?

 

È uscito il secondo libro, “Se è Poesia, lo sarà per sempre”, ad ottobre, e lo sto già presentando in giro per l’Italia. cover 2

Usciranno, come detto prima, quelle due iniziative su Youtube a partire da Gennaio e ci saranno altre cose di cui però non voglio svelare niente. Per maggiori informazioni, per propormi iniziative, ecc. scrivetemi sui social (Facebook, Twitter e Linkedin) o sulla mia email poetacesaretti@gmail.com

Cliccando su questo link potrete vedere Fine della notte, una video-poesia di Mauro Cesaretti https://www.youtube.com/watch?v=xg5Kegf3LoA

Qui invece potrete scaricare il pdf e leggere la poesia Una notte priva di sensi Una-notte-priva-di-sensi.Mauro_Cesaretti

Contro l’odio vince “l’accoglienza”.

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Dopo i tragici avvenimenti di Parigi avrei voluto scrivere un articolo pieno di rabbia. Rabbia per queste “cosine miserrime” che pensano di riscattare la loro vita grigia vestendo i panni di “martiri”, senza sapere che martire è colui che si fa martirizzare e muore in nome di una fede negata, e non chi martirizza e dà la morte in nome di un Dio che, se potesse, o volesse, lo incenerirebbe all’istante per aver bestemmiato il suo nome.

Ma non intendo cadere nel loro gioco e quindi scriverò un articolo sull’accoglienza. Non mi si fraintenda, non che in questo momento voglia sostenere di aprire le frontiere che sono già da un pezzo belle che spalancate, ma voglio intendere “accoglienza” nel senso più ampio del termine. Accoglienza come accettazione e rispetto reciproco, anche e soprattutto quando non la si pensa allo stesso modo, quando, cioè, sarebbe facile cedere all’intolleranza e sostenere che la propria cultura o religione siano superiori (leggi migliori, veri ecc.) rispetto a quella degli altri.

Accoglienza per me è cercare di comprendere chi non parla la tua lingua, chi non crede nel tuo Dio, o non crede affatto, chi, in breve, non la pensa come te.

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Ma si badi bene, questo non vuol dire che una religione valga l’altra, che un modo di pensare valga l’altro, no, anzi, questo è quanto più lontano dall’accoglienza.

Perché per accogliere chi è diverso da te devi prima di tutto sapere chi sei tu, conoscere le tue radici e non lasciarti sradicare dal primo pensiero che ti capita di incrociare per strada. Per questo, lasciatemelo dire, credo che la nostra cultura europea stia morendo. Non solo decimata poco alla volta da questa gentaglia che vorrebbe cancellare con un colpo di spugna millenni di storia, di conquiste sociali, culturali, civili e politiche, mettere il bavaglio alla stampa, uccidere la satira, cancellare i diritti, eliminare la libertà, far soccombere la pace.  E tutto questo allo scopo di imporre la loro non-cultura, la loro non-religione, il loro non-sapere.

Purtroppo però non sono solo loro i colpevoli della morte della nostra società, altrettanto colpevole è chi nega il problema, chi pensa che ci sia ancora tempo e volta le spalle alle grida delle donne jazide rapite e stuprate, ai bambini costretti a diventare guerriglieri, agli uomini sgozzati perché colpevoli di non aver voluto rinnegare la propria fede per scegliere un Dio che dio non è; ché l’Allah cui inneggiano questi imbecilli non ha nulla a che fare con la divinità e forse, anzi, di sicuro, si vergognerà di finire sulle loro bocche.

Il mio grido “vergogna” è anche e soprattutto rivolto a chi in nome di un falso politically correct propone un multiculturalismo che in realtà è un minestrone insipido dove si mescolano pensieri e concetti che nulla hanno a che fare tra di loro e che così combinati perdono la loro forza originaria.

Come non pensare ad esempio all’eliminazione dei alcuni simboli religiosi (presepe, canzoncine e simboli legati al Natale ecc.) in nome di un presunto rispetto della sensibilità altrui?

Chi non ha sentito parlare della scelta di una preside di una scuola di annullare una visita a un museo perché nei quadri erano raffigurati simboli religiosi?

E questo sarebbe rispetto? Chiudere gli occhi di fronte a ciò che è diverso da noi? Il non sapere è rispetto? Ignorare gli usi e costumi di altri popoli è forse rispetto?

Far finta che non esistano le diversità?

Questa è la riflessione con cui vorrei chiudere questo articolo: cos’è davvero il multiculturalismo, inglobare e fagocitare le diverse culture per farne un blob informe senza che le varie componenti siano riconoscibili, mettere la testa sotto la sabbia e far finta che le differenze non esistano o, piuttosto, tenere gli occhi aperti verso il mondo, guardare, ascoltare e provare a capire ciò che è altro da noi?

La meilleur façon  de survivre qui ajoute une dimension de plus à la vie,

c’est d’apprendre à vivre avec les autres, a les écouter;

la tolerance ne signifie pas simplement de tolérer les autres

mais il y va de les connaître, de les comprendre,

de les respecter et peut-être même de les admirer.

Frederico Mayor

(Direttore generale dell’Unesco 1987-1999)

Loredana Conti e i colori del suo “mondo di mezzo”: tra rosa e giallo.

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Scheda sintetica

Titolo: I Nomi delle Rose Selvatiche
Autore: Loredana Conti
Editore: Kindle Direct Publishing, 2015
ASIN: B012778NGG
Genere: romantic suspanse

Link d’acquisto:

http://www.amazon.it/gp/product/B012778NGG?keywords=i%20nomi%20delle%20rose%20selvatiche&qid=1442915420&ref_=sr_1_1&sr=8-1

Sinossi
Claudia e Luca.
Giovane e selvatica, lei, al suo primo impiego come fotografa in un prestigioso giornale. Cronista investigativo, lui, ha fatto della ricerca della verità la sua missione.
Divisi dall’età e dall’esperienza, un’attrazione incontrastabile li riconduce, dopo ogni scontro, l’uno nelle braccia dell’altra, a rischio della loro stessa vita. Luca, suo malgrado, trascinerà Claudia, nelle sue indagini sul “mondo di mezzo”, nel buio dei segreti, degli informatori, delle cronache di Mafia capitale.
Ma una rosa selvatica non si può possedere. Si può godere della sua bellezza soltanto lasciandola attaccata alla sua pianta; soltanto rinunciando ad essa. Così, combattuta tra la volontà di proseguire sulla strada che ha scelto per sé e quella che il destino gli spalanca davanti, Claudia dovrà scegliere…
A volte il destino ha soltanto bisogno di essere aiutato.

Estratto
Claudia si sentiva sull’orlo di un precipizio: qualcosa la avvolgeva, una normalità che non poteva esistere. Seducente, bella. Forse più bella dell’avventura di cui voleva ricoprire la sua vita. Il canto della sirena? Sì, Luca era una sirena. Da cui tenersi a debita distanza.
(…)
Ma lo desiderava? Quanto sforzo prendersi in giro! Lei desiderava soprattutto stare con lui. Possibilmente ogni secondo. Tutte le sue battaglie interiori per l’indipendenza le parvero all’improvviso delle vere ipocrisie. Stava bene con lui, cominciava a sentirsi adulta, importante. Sapeva che poteva imparare molto.

Biografia

Imprenditrice romana, Loredana Conti è riuscita a far convivere insieme un gatto bianco, un cane nero, un amato marito. E questo spiega anche un po’ la genesi dei suoi personaggi così contrastanti, che finiscono sempre per amarsi.
D’altronde si è formata sui libri di Rudolf Steiner e Aivanhov, dai quali ha preso ispirazione per le pillole di saggezza che si trovano spesso a corollario dei suoi libri.
Ha già pubblicato, sempre in formato ebook su Kindle Store di Amazon, la serie “Laura: L’avventura dei sentimenti nell’età di mezzo”.
“I nomi delle rose selvatiche” è il suo terzo romanzo.

Per saperne di più sull’autrice

Comunicato stampa:

http://www.informazione.it/c/05835807-409E-4A02-8B38-ABB869FB6E6F/Amore-e-Mafia-capitale-ne-I-nomi-delle-Rose-Selvatiche-il-romance-suspense-che-racconta-anche-l-attualita

Goodreads:

https://www.goodreads.com/book/show/26511829-i-nomi-delle-rose-selvatiche?from_search=true&search_version=service

Pinterest gallery:

Le avventure romantiche di Laura Bellini

Biografia

foto lauraLaura Bellini nasce qualche decennio fa a San Piero in Bagno, un paesino adorabile dell’Appennino Tosco-Romagnolo. Vive in una casa molto affollata insieme a due cani e un gatto. Scrive per passione e legge per amore. Le sue pubblicazioni sono tutte disponibili su Amazon, in formato ebook o cartaceo. I suoi precedenti romanzi sono: “Il coraggio dell’amore” (2009), “Lontano da te” (2010), Ancora tu” (2010), “I disegni imprevedibili del destino” (2011) e “Il mondo dopo te” (2012) “Il gioco dei ricordi” (2013), “Quel nome portato dal vento” (2014), A-Mors (2015). L’eco del tuo respiro (2015)

L’eco del tuo respiro

Sinossi

Maggio 1383 Aliénor Dumont è rassegnata a sposare Adam Moreau, ma l’incontro con il destino cambierà le sorti di un intero regno mettendo in gioco le vite delle persone a lei più care. C’è solo un modo per evitare che chi ama soccomba e Aliénor non esita a sacrificare se stessa pur di donare un futuro alla sua famiglia.

Diciotto anni più tardi Arwen, erede al trono, percorre la strada che dall’assolata capitale conduce al freddo nord, pronta a conoscere il suo promesso sposo per coronare il sogno del padre di vedere le famiglie Moreau e Dumont unirsi. Lungo la strada però, due occhi violetti le rapiscono il cuore. Ismael e Arwen, due cuori destinati ad appartenersi. Il loro amore però nasce sotto una cattiva stella. I due conoscono solo parte del passate del regno in cui vivono. Arwen è promessa al fratello di Ismael, loro erediteranno lo scettro che un tempo apparteneva a una famiglia scomparsa nella furia della guerra che ha devastato il regno anni prima della loro nascita. Una guerra scatenata dall’amore, l’unico sentimento in grado di cambiare le sorti di un intero popolo. E sarà l’amore a guidare le scelte dei due ragazzi. Essi si amano e si perdono, ma niente sarà in grado di minare il sentimento che li lega. La forza dell’amore travolge i giovani ragazzi innescando una lotta dall’esito incerto contro il destino.

In questo romanzo si racconta il coraggio di un amore che riesce a resistere alla vita, che abbatte ogni ostacolo pur di guadagnarsi il diritto a essere vissuto. Si narra il sacrificio, perché non c’è gesto di amore più grande.eco

Estratti

Arwen sentì il cuore stringersi, se avesse potuto seguire il suo istinto, si sarebbe alzata e l’avrebbe abbracciato così forte da togliergli il respiro.

Le mancava. Nessuna notte con Robert avrebbe mai potuto sopperire la sua assenza o darle più piacere di quanto ne provava solo respirando l’odore di Ismael anche da lontano.

Arwen pensava di svenire, il dolore che quella confessione le fece esplodere nel petto era insopportabile. Avrebbe preferito morire in quello stesso momento piuttosto che comprendere la portata di quella dichiarazione. Aveva il respiro corto e faticava a mettere a fuoco le immagini. Abel le si avvicinò toccandole un braccio che lei scansò in malo modo. Non sopportava la vicinanza di quell’uomo.

«Io lo amo con tutta me stessa, Abel. Lo amo tanto da poter rinunciare a lui se questo significa salvare la sua vita.»

«Non andartene» lo pregò la principessa ignorando la presenza di Abel.

«Devo» rispose con un sorriso amaro. «Ma quando l’inverno sarà finito tornerò.»

«Ismael» pronunciò quel nome sottovoce sfiorandogli la mano con le dita. «Io ti amo.»

Lui restò immobile con il cuore che sussultava nel suo petto, se le avesse risposto non sarebbe più stato in grado di lasciarla andare. D’altro canto non poteva non farlo, lui amava Arwen con tutto se stesso. Le strinse le mani e incurante della presenza del padre la attirò a sé per baciarla.

«Ti amo anche io Arwen» ammise con la fronte poggiata alla sua. «Ti amo e ti prometto che tornerò.»

Dove acquistare il libro

 http://www.amazon.it/Leco-del-respiro-Laura-Bellini-ebook/dp/B014T2XKJW/ref=sr_1_1?ie=UTF8&qid=1443772491&sr=8-1&keywords=l%27eco+del+tuo+respiro

Quel nome portato dal vento

Sinossi

Ieri: la famiglia McTavish, nobile e influente stirpe del regno di Seaworld, viene sterminata da un nemico misterioso e sopravvivono soltanto i due fratelli Diarmaid e Duncan che, una volta fuggiti, vengono protetti e salvati dalle creature fatate dei boschi. Oggi: Maeve è l’erede dei Grahm e sta per andare in sposa a suo cugino Logan Frey, l’arrogante erede del nord del regno. Tuttavia, Maeve non può nascondere l’attrazione e il sentimento che la legano a Ryan, soldato semplice agli ordini di Lord Grahm. La differenza di status impedisce la loro unione e i due non possono che rassegnarsi al loro destino. È proprio il destino, però, a cambiare le carte in tavola quando Lord Grahm viene assassinato, Maeve rapita e Ryan accusato di omicidio. Sarà allora che il passato travolgerà il presente con le sue spire e riporterà in superficie il nome che i nemici avevano tentato invano di cancellare: quello della famiglia McTavish.

Quel nome portato dal vento è l’affresco eterogeneo di un regno in cui pace e guerra si fondono e i confini tra bene e male si assottigliano. Maeve, eroina forte e indimenticabile, capirà che l’amore non ha un unico nome e che non lo si può definire e, attraverso di esso, troverà il coraggio per affrontare il dolore e per affermare se stessa fino all’imprevedibile, sconvolgente finale.

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Mio padre ha ragione, dovrei considerarmi fortunata, non desiderare ciò che non potrò mai ottenere. Fra meno di un mese sposerò uno dei più ambiti ragazzi del Regno, le nostre casate governeranno i due terzi di Seaworld, i nostri figli erediteranno tutto questo e io non ho il diritto di lamentarmi.

Proprio mentre sto chiudendo le pesanti tende in velluto rosso, Ryan alza lo sguardo verso me, i suoi occhi mi tengono incollata alla sua figura. Abbasso piano le palpebre e una lacrima scende veloce sulle mie guance.

Fra pochi giorni non lo vedrò più e allora dimenticherò il suo viso, sorriderò di questa infatuazione e il mio cuore smetterà di fare male.

Lui ride, lo stelo di erba con cui mi ha solleticato poco prima infilato in bocca.

«Mi fai una promessa?» Chiede voltandosi su un fianco in modo che io non possa eludere i suoi occhi.

Sorrido. «Non posso prometterti qualcosa che non so.»

«Dona la tua verginità a chi vuoi, fallo con il tuo futuro marito o con l’uomo che dici di amare, ma poi fai l’amore con me.»

Mi si secca la gola, non trovo le parole per rispondergli. Mi stendo accanto a lui e gli accarezzo i capelli, le nostre labbra sono vicine, ma lui non si muove. Allora lo faccio io, le poso con cautela sulle sue, faccio scorrere la punta della lingua su quei petali di rosa, le mordicchio e d’improvviso mi trovo sopra di lui; la sua mano che mi trattiene la nuca, le nostre bocche incollate in un bacio che sembra non avere fine.

Vorrei che tutto questo durasse per sempre. Mi fermerei in questo spiazzo erboso con Jack fino alla fine dei miei giorni, gli darei dei figli; ma non è la vita che lui vuole. Mi troverei sola dopo qualche anno ad attendere un suo ritorno con l’incertezza di non rivederlo mai più. È questo il bello di Jack, la sua totale e irrefrenabile voglia di libertà.

«È un sì?» Mi domanda senza smettere di baciarmi.

«Vedremo» gli rispondo sorridendo.

Sono felice. Accanto a lui dimentico ogni cosa, i problemi non esistono e io non sono più Maeve Grahm, erede delle terre di mio padre. Non so più chi sia Diarmaid, meno che mai Logan Frey e non conosco il motivo della mia fuga da casa. Qui, fra le sue braccia io sono semplicemente Maeve e questo mi riempie l’animo di vita.

Dove acquistare il romanzo

http://www.amazon.it/Quel-nome-portato-dal-vento/dp/8897810403

Paola Ferrero: tra danza, canto, pittura e scrittura.

Paola Ferrero

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Biografia

Nata a Torino nel 1969 sotto il segno del Leone, ma concepita a New York per uno strano disegno del destino, mi è capitata in sorte una famiglia con autore. Ho sempre amato la lettura e la scrittura di rimando. Come anche la danza, il canto e la pittura.

Dopo aver riempito pagine e hard disk di lavori di ogni genere, ho pubblicato la mia prima raccolta di poesie “Parole d’amore insano” con Liberodiscrivere, editore genovese free – raccolta precedentemente selezionata da Il Filo, con cui non ho accettato di pagare per pubblicare – nel 2009.

Oltre a questo romanzo breve sono autrice di un secondo lavoro semifinalista al torneo di GEMS 2013, una romantica storia fantascientifica, e di un terzo romanzo di narrativa-drammatica che era in finale al “Cinquantesimo Marcelli”. Sto lavorando alla seconda raccolta di poesie, ho finito il quarto romanzo di cui sto curando l’editing, ho progetti per altri romanzi e gestisco due blog.

A seguire questo romanzo dovrebbero venire altri due dello stesso genere, il primo dedicato ai sentimenti e a un imprevisto abuso sessuale, il secondo alla malattia e morte della madre della protagonista.

Di tutt’altro genere gli altri progetti. Denominatore comune è solo l’ampio spazio dato ai sentimenti e al cambiamento.

Dipingo ancora. Amo la cucina, gli animali e guardare il cielo. Leggo sempre e di tutto, scrivo sempre e ovunque.

Romanzi

Gli Attimi in cui Dio è musica

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Questo mio è un romanzo breve, circa 212mila caratteri, narrato in prima persona da una diciassettenne che vive nella provincia di Torino negli anni ’80.

La sua vita viaggia su due binari. Da una parte c’è la quotidianità di una famiglia distrutta, con una madre abbandonata e una sorella che pare un’estranea; lavorano duro per pagare debiti e usurai, perse nelle nebbie della pianura contadina, schiave di un minimarket che procura loro il minimo indispensabile. Dall’altra parte c’è il suo sogno di fare la ballerina e di vivere una vita diversa, c’è il suo tragitto quotidiano in treno fino a Torino, dove studia e compie i primi passi verso una carriera difficile ed effimera.

Nella sua storia ci sono amici con cui condivide la pendolarità, altre persone con cui sogna di sfondare, altre ancora con cui intreccia relazioni solo in parte sentimentali. Ciò che conta è la musica e la possessione che lei sperimenta sul palco. C’è un’audizione per il primo spettacolo importante, c’è la fatica delle prove e la magia del debutto. Ci sono tutti gli attimi che lei fotografa con cura, la sua vita.

I capitoli non hanno un titolo o, meglio, lo hanno tutti uguale. Tre puntini di sospensione che vogliono sottolineare “l’istantanea” di ogni momento vissuto in questa avventura. Tante polaroid che compongono un mondo in cui lei deve vivere la sua adolescenza, il suo sogno nel momento in cui la vita le permette almeno di tentare di realizzarlo.

Ad accompagnare la sua avventura c’è una colonna sonora, venti brani che riportano a quegli anni e che potrebbero essere usati nelle eventuali presentazioni, creando eventi live unici e irripetibili.

Il genere è narrativa, può essere visto come memoir più che come romanzo di formazione. Ad apprezzare maggiormente il testo, finora, è stato un pubblico femminile, (anche di persone del settore dell’editoria) prevalentemente adulto.

Il romanzo ha partecipato alla scorsa edizione del Premio Calvino. Punto di forza, secondo il comitato di lettura, è la leggerezza che sfiora l’edonismo. La ripetitività descritta nell’alternarsi tra una vita e l’altra, in un certo qual modo voluta appunto per sottolineare il sentito della protagonista, sembra invece il punto debole.

Essendo fortemente autobiografico, il materiale non mi è mancato.

Iniziato come un esercizio per affrontare la pagina vuota – scrivendo la prima cosa che mi veniva in mente – ha subito preso forma come un tributo alla danza e a ciò che ha significato nella mia vita, con tutti gli episodi “puri” che ho vissuto nel tentativo di realizzare quel sogno, sopravvivendo a tutto il resto. I personaggi di contorno sono stati rimescolati tra loro onde evitare che qualcuno pensasse di ritrovarcisi. Così anche i tempi e i luoghi sono romanzati, ma veri.

Scheda libro

Gli Attimi in cui Dio è musica, Lettere Animate 2014

Formato ebook, a partire da 1,99€

Formato cartaceo, prezzo di copertina 10€

Acquistabile

http://www.amazon.it/Gli-attimi-cui-Dio-musica-ebook/dp/B00IJ36AXQ/ref=pd_rhf_gw_p_img_14?ie=UTF8&refRID=1X6FCBWHYTDY39KQ1ZJG

Racconti

La caccia

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All’interno di un privè, Wendy, da abile cacciatrice, sta cercando qualcuno. Mentre vaga tra uno scenario e l’altro, nell’eccitazione che le ruota intorno, riesce a individuarlo e ad attirare la sua attenzione. Lui è Michael, il vampiro che sta cacciando e che deve eliminare. Ma la notte avrà dei risvolti inaspettati, perché Wendy cadrà nel più appagante fallimento della sua carriera.

Racconto erotico di circa 20 pagine, il primo di una serie, incentrato su una setta di cacciatori di vampiri e le loro missioni non sempre riuscite.

Scheda

La caccia, collana “Carnet erotique” per Lettere Animate, 2015

Formato ebook, offerta estiva a 0,49€

Acquistabile

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L’altra donna

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L’incontro tra Loretta e Laura fa scattare la rabbia di Loretta, donna tradita per l’ennesima volta . Eppure Laura non sembra reagire all’aggressione, tanto da rimanere vittima di un incidente. Da quel momento per Loretta e per Andrea inizia un incubo. L’assenza della giovane amante non migliora le cose tra loro, ognuno preso dai propri fantasmi, incapaci di ritrovare l’armonia che c’era in precedenza. Nel silenzio vanno avanti, consumandosi entrambi. Le colpe, l’amore, le solitudini che insieme accompagnano e dividono la coppia. Con un piccolo colpo di scena finale. Storia d’amore e di fantasmi, linguaggio esplicito e introspezione.

Un racconto di 20 pagine che unisce la ghost story al thriller psicologico.

Scheda

L’altra donna, collana “I nuovi brevissimi” per Lettere Animate, 2015

In ebook, offerta estiva a 0,49€ su tutte le piattaforme.

Acquistabile

http://www.amazon.it/Laltra-donna-I-Nuovi-Brevissimi-ebook/dp/B00XM8YLCU/ref=pd_rhf_gw_p_img_14?ie=UTF8&refRID=0ZP57RXSC5RA38ZT1NVH

Altre informazioni utili

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Dieci cose da tenere presenti quando si scrive una scena di sesso

Bottega di narrazione

Corsi di scrittura creativa Il bando 2015-2016 1. Assicuratevi (parlate con l’editore, col tipografo, con la cartiera, con la legatoria) che le caratteristiche fisiche del libro nel quale apparirà la scena di sesso permettano di reggerlo con una mano sola per un tempo sufficiente.

2. Siate coerenti nel registro linguistico. Se scrivete “Egli infisse l’obelisco nel bosco sacro”, poi potrete scrivere anche “Egli piantò l’aratro nel solco della Madre Terra”; ma non potrete scrivere “Lui le infilò il coso nella cosa”.

3. Le scene di sesso non sono compatibili con l’ironia. Se scrivete “Beppe aveva un’eiaculazione così precoce che fu assunto all’ufficio Previsioni del tempo”, nessun lettore poi vi prenderà sul serio quando porterete Beppe a letto con la biondona dei suoi sogni (al massimo, vi accuseranno di aver rubato la battuta a Woodie Allen, o l’idea al saggio di Isaac Asimov sulle proprietà endocroniche della tiotimolina risublimata).

4. Non siate autobiografici. Il vostro…

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Maria Lidia Petrulli e l’infanzia.

Biografia

Nata a Roma il 08/04/1957, residente a Quartu Sant’Elena (CA).

Medico psichiatra e psicoterapeuta.

Appassionata di storia e mitologia celtica e medievale.

Bibliografia

Viaggio ad Avalon, Pietro Chegai editore, Firenze, 2002

Fara e il suo Cappello, Il Foglio Letterario Ed., 2009

La Realtà e il suo Enigma, 0111Edizioni, 2009

Il Buio Oltre Lo Specchio, 0111 Edizioni, 2010

Il Volto Segreto di Gaia-La Cerca, Edizioni Il Ciliegio, 2013

Il Volto Segreto di Gaia- L’Equilibrio e la Luce, Edizioni Il Ciliegio, 2014

Emilie Sanslieu, Edizioni Il Ciliegio, 2014

Classificata tra i 10 finalisti del concorso letterario Linguaggi NeoKulturali con il romanzo Le Chiavi Del Tempo

2° classificata al premio letterario Città di Dolianova 2014, con la raccolta Frammenti Dimenticati

4° classificata al premio letterario Camuni Graffiti Narrativa, con il romanzo Il Volo Della Libellula

1° classificata premio Il Litorale 2015 col racconto LA BAMBINA CHE VOLEVA ESSERE TRASPARENTE

cover La bambina che voleva essere trasparente

LA BAMBINA CHE VOLEVA ESSERE TRASPARENTE

ANTOLOGIA

PREFAZIONE DELL’AUTRICE

Nulla di quel che viviamo va perduto. Un’immagine, un odore, una parola sussurrata e appena udita, tutto va a finire nel calderone della memoria, fra gli ologrammi che si imprimono come tanti puzzle scomposti. Finché un evento anche banale, un pensiero, una scena rievocata, fa scattare una delle tante serrature, e allora tutto torna, ci svolazza intorno, si depone ai nostri piedi e l’immagine, l’esperienza originale si propone sotto una veste del tutto nuova. Imprevedibile.

Nascono così questi racconti, dove passato, presente e futuro stringono fra loro un’alleanza, elementi fondamentali del tempo che non trascorre come pensiamo, un tempo capace di fermarsi e di aspettarci. Finché ce ne sia bisogno.

Maria Lidia Petrulli

ESTRATTO 

Quando divento trasparente, posso finalmente rilassarmi e dedicarmi alla mia passione: osservare. Mi piace osservare tutto, da un paesaggio alle scene per la strada, ma soprattutto mi interessa spiare gli adulti. Perché sono speciali, una fonte continua di sorprese. Mi incuriosiscono le smorfie sulle loro facce mentre discutono e tentano di imporre le loro idee, o di dimostrare quanto queste siano migliori delle altre, perché i grandi non lo sanno, ma le smorfie mostrano quello che pensano e che provano davvero, anche quando mentono e credono che gli altri non se ne accorgano. In effetti, non credo che siano molti gli adulti capaci di leggere il significato delle smorfie. E poi mi piace tantissimo vedere come arrotolano la lingua nella bocca, la maniera che hanno di impostare le labbra se devono annunciare qualcosa che credono importante, come accavallano la gamba, come la rimettono giù per accavallare l’altra. Mi diverte il modo con cui schizzano gli occhi a sinistra e a destra per accertarsi che gli altri li stiano guardando, non importa chi, basta che ci sia qualcuno che lo faccia. La mimica degli adulti è un’opera teatrale. Io me la godo tutta, come se fossi al cinema. È stato grazie alle mie osservazioni se sono giunta a una verità indiscutibile: gli adulti detestano passare inosservati, per loro essere trasparenti è il peggio che gli possa capitare. Significa non esistere.

L’IRIS ALBINO (estratto)

L’indaco degli iris di mare punteggiava la sabbia bianca, si intrecciava con i tentacoli polposi di quelle che lei chiamava rose del deserto, e Alisanna si chinò a osservare i loro steli impettiti come soldatini, che terminavano con quella corolla che ricordava una corona. Fra i tanti, ce n’era uno diverso, un piccolo iris albino. Sembrava così fragile e alieno. Alisanna lo sfiorò con le dita e pensò che avrebbe potuto sfilarlo facilmente dalla sua alcova fatta di granelli e cristalli di quarzo, le radici non avrebbero opposto resistenza e lei l’avrebbe messo a seccare fra due fogli di carta assorbente, per poi infilarlo fra le pagine di un libro. Invece lo lasciò dov’era.

Quell’iris solitario in mezzo all’indaco, era la perla rara che doveva ispirare i sogni, il vento che doveva soffiare via i momenti che stagnano, ma che nessuno dovrà mai trovare o cercare di arrestare, imprigionare o imbrigliare, re del suo reame di cose preziose e singolari, quelle che apprendono la bellezza della diversità.

Alisanna si allontanò saltellando e canticchiando una canzoncina, verso l’orizzonte e con il pallone recuperato in mano. Correva sulla riva, schizzando con i piedi nudi la spuma della risacca, senza mai perdere di vista il cormorano che galleggiava sulle acque quiete, né il cirro bianco che la seguiva come un aquilone.

Un aquilone. Un paio d’ali con cui fare a gara con le aquile, una scheggia di colore lanciata nell’azzurro per indicare la sua presenza: “Sono qui, esisto anch’io, sono un punticino, una girandola, una corolla d’iris, e ho il mio regno, si trova in fondo al mare, laggiù, nella città dimenticata dove nascono le sirene”.

I BAMBINI DELLA LUNA (estratto)

Io non ho capito perché ci odino tanto da volerci distruggere, non ci eravamo mai incontrati prima di allora. Qualcuno mi ha detto “perché siamo diversi”, ma io non ho visto nessuna differenza fra noi e loro. Non capisco il significato di parole come “etnia”.

Ricordo che non riuscivo più a muovermi, di aver pensato che non ero io a decidere, che per me avrebbe deciso il destino. Per un momento ho cessato di esistere.

Poi lei mi ha strappato al caos, la mia barca senza rotta, il mio timone, mi ha conteso con la morte e non ha lasciato la presa, tenace come solo le madri sanno essere, e non si è più guardata indietro, forte della scintilla di vita accesa nel suo ventre. Il suo cuore singhiozzava i piccoli fiori che le erano stati strappati e l’amore che li aveva generati, ormai ridotti in frammenti di carne senza più forma, senza un corpo da seppellire e poi piangere; ma lei ha girato le spalle al dolore, non gli ha permesso di strapparle il futuro, oltre al passato. Si è aggrappata alla mia mano, virgulto che teme di perdere l’unica bussola che gli è rimasta, e al germoglio annidato nelle sue viscere. È andata avanti.

http://www.ibs.it/code/9788864663012/petrulli-m-lidia/bambina-che-volava-essere.html

Nadia Boccacci e le “altre” sfumature di grigio

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I colori che ho dentro

Autrice: Nadia Boccacci

Casa editrice: Butterfly Edizioni

Pagine: 176

Costo: 12,90 €

Link:

http://www.amazon.it/I-colori-che-ho-dentro-ebook/dp/B00QXUYWZ0

https://autoributterflyedizioni.wordpress.com/nadia-boccacci/

Sinossi

Grigio: l’incertezza di Gemma e i dubbi a proposito di Marco, il ragazzo che ama ma che la tradisce. Giallo: ia di Gemma e i dubbi a proposito di Marco, il ragazzo che ama ma che la tradisce. l caldo ricordo di tata Armida, l’odore del tè e dei biscotti, le fiabe con le quali allietava una Gemma bambina. E poi il blu cupo dell’addio a Marco e il rosso tumultuoso di un nuovo incontro: quello con Pierre, artista pieno di talento ma anche di segreti. Sul fondo, le tinte accese di un’assenza che ha segnato la vita di Gemma e che ancora brucia come una ferita aperta: l’allontanamento di sua madre e il continuo ondeggiare tra nero e bianco, rancore e perdono.

Con una narrazione che è poesia dei colori, Nadia Boccacci ci insegna che siamo i soli padroni di noi stessi e che solo noi possiamo decidere se lasciarci trasportare dalla corrente o se vivere tutte le nostre sfumature, anche quelle più cupe. In fondo, come Gemma scoprirà, niente è nero per sempre: bisogna solo trovare, nel fondo di sé, il coraggio di vivere a colori.

Estratto – Grigio

Oggi mi sento terribilmente e inesorabilmente grigia.

Grigia come la nebbia, come il cielo d’autunno e come le nuvole gonfie di pioggia.

Perdura in me la sensazione di questa tinta triste e indefinita, informe, eppure miscela di due estremi formidabili e unici, il bianco e nero.  Sono grigia e senza forza. Trasparente agli occhi del mondo, sola e spenta in mezzo alla folla ridente, insipida e insulsa, priva di slancio e di entusiasmo.

Grigia come l’acqua del mare in una giornata senza sole, che si tinge del cielo plumbeo e minaccioso riflettendo passivamente i colori dell’esterno. Grigia come la mia anima stanca, senza più impulsi di vita, tristemente abbandonata a una malinconia senza pari.

Ho visto Marco da lontano, in facoltà.

Sono sicura che i suoi occhi siano caduti su di me, anche se per un solo attimo fugace, ma poi sono fuggiti oltre, insensibili ai miei, che erano invece accesi e attenti.

La gente mi passa accanto indifferente, sfuggo senza volerlo alla sua attenzione, sono insipida, grondante di una mediocrità indefinita che mi rende invisibile a ogni sguardo.

Nessun colore vivo dipinge la mia essenza, in questo momento devastante, e il grigiore inesorabile mi pervade.

Non riesco a far emergere alcuna tinta vivace dalle profondità della mia anima, e continuo a riflettere il grigio plumbeo che mi circonda, come l’acqua del mare trasparente che ruba i colori al cielo.

Sono frutto di un’illusione ottica i suoi toni azzurri e scintillanti nelle giornate soleggiate, come il suo nero cupo nella notte.

Non è il mare, non è la sua acqua, ad avere quei colori. No, è il cielo. Ed io mi sento nello stesso modo, grigia o luminosa, brillante o plumbea, nera o bianca in rapporto agli eventi esterni.

Tutto dipende da lui, da ciò che mi ha fatto, da come mi ha trattato. Gioisco o muoio di dolore in relazione ai suoi movimenti, ai suoi sguardi, ai suoi sorrisi. L’arco disegnato dalle sue labbra è responsabile del mio umore. E oggi sono grigia di lui.

Biografia artistica dell’autrice

Nadia Boccacci è nata il 17.08 1968 a Colle di Val d’Elsa ( Si ) , dove vive tuttora.  Laureata in Lingue e letterature straniere, insegna italiano e inglese in una scuola primaria e tiene corsi di scrittura creativa nelle scuole secondarie.

Ha pubblicato tre romanzi  ( “Uno sguardo perso nel vuoto”, Albatros, “ In viaggio con te”, Butterfly  Edizioni, “I colori che ho dentro”, Butterfly Edizioni  ) e racconti in antologie diverse, fra cui “ Come se non fosse amore”, “ Ali di farfalla” e “Se c’è un’età”, che hanno ricevuto numerosi consensi di pubblico e di critica.

Ha studiato dizione e recitazione: ha fatto parte di compagnie teatrali interpretando personaggi di diverso spessore, ha partecipato a eventi di vario tipo e  a trasmissioni radiofoniche e televisive, in qualità di scrittrice e  “lettrice espressiva”.

“ In viaggio con te” ha vinto nel 2013 il diploma di merito nel prestigioso Premio Alberoandronico.

Attualmente sta scrivendo il suo quarto romanzo.

L’età più bella di Barbara Bolzan

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Romanzo: Rya – La figlia di Temarin

Autrice: Barbara Bolzan

Casa editrice: Butterfly Edizioni, Correggio, 2014

Pagine: 292

Costo: 15 €

Link di acquisto:

http://www.blomming.com/mm/ShopButterflyEdizioni/items/rya-la-figlia-di-temarin?page=1&view_type=thumbnail

Booktrailer:

https://www.youtube.com/watch?v=Th7NiXh9igw

Sinossi

Foresta di Mejixana. Una ragazza, ferita e sporca di sangue, è accasciata sull’argine del fiume. Nemi, il capo dei ribelli di Mejixana, la prende tra le sue braccia e la porta con sé al villaggio. Ancora non sa che la ragazza che ha salvato è Rya, sorella minore della regina di Temarin e moglie del sovrano di Idrethia. Sarà lei stessa a svelare la sua identità a Nemi e a proporgli un accordo che le permetta di ricongiungersi col marito. I due si mettono in viaggio ma il pericolo e l’ombra di Niken, vecchia conoscenza di Nemi e criminale ricercato, incombono su di loro e giungeranno a intralciare il loro cammino.

Estratto

(Alsisia dice sempre che, in un mondo dove sono gli altri a decidere per noi, è ben raro che ci sia concesso il lusso di sbagliare. È indicativamente vero. Se non altro, è stato vero per lei.

Vorrei aggiungere: gli altri possono anche decidere per noi, ma non manovrano del tutto le nostre esistenze. E questo è stato vero per me.

Credo che, a condurmi qui, sia stata la mia incapacità di lasciare che il destino seguisse una strada già tracciata in precedenza. Il lusso di sbagliare mi è stato concesso. Diciamo pure che me lo sono accaparrato a viva forza, e non senza danno. Più volte. A differenza di Alsisia che, in vita sua, ha commesso un solo errore. Ma è stato sufficiente.

Eppure, non prova rimorso. Non è toccata dal senso di colpa. La sua coscienza è pulita. Me lo ha ripetuto talmente tante volte che ho finito per crederle. Niente la tormenta e, di notte, dorme tranquilla, conscia del fatto che, comunque vada, le cose si risolveranno per il meglio.

Perfino in questo momento! È certa che, forse già stasera, lei e suo marito Strevj potranno ritrovarsi, sedersi davanti al fuoco e ridere di tutto questo.

Vorrei avere la sua sicurezza. Per tutta la vita non ho desiderato che di assomigliarle in tutto.

Ma siamo diverse. Indiscutibilmente diverse. E questo ha segnato le nostre vite.)

All’inizio di tutto, c’è un uomo. C’è sempre un uomo.

Nemi si faceva largo tra gli arbusti, procedendo sul terreno sconnesso e limaccioso. L’acquazzone lo costringeva ad avanzare a testa china, col vento che gli sferzava il volto e rendeva le gocce di pioggia pungenti come spine.

Nonostante tutto, le sue labbra accennavano a tratti un sorriso.

Tornava a casa.

La ragazza lo seguiva inerme, lasciandosi guidare. Era scalza e barcollava. Già due volte, inciampando, era caduta a terra. In entrambe le occasioni, era rimasta lì, immobile, nel fango. Ora Nemi la trascinava dietro di sé tenendola saldamente per il polso, strattonandola di tanto in tanto.

“Siamo quasi arrivati!” le gridò, sfidando l’ululato del vento.

“Ancora un piccolo sforzo.”

Lei rimase in silenzio.

Lei ero io.

Romanzo: L’età più bella 11692999_10207407484494598_2071816299_n

Autrice: Barbara Bolzan

Editore: Butterfly Edizioni, Correggio, 2014

Pagine: 230

Costo: 14,00 €

Link di acquisto 

http://www.blomming.com/mm/ShopButterflyEdizioni/items/let%C3%A0-pi%C3%B9-bella

Booktrailer:

(a cura di Red Velvet Graphics)

https://www.youtube.com/watch?v=5XMwzTi8RKM

Sinossi

Caterina è una sedicenne come tante: studia, esce con il suo ragazzo Maurizio, partecipa alle feste degli amici. La sua vita cambia improvvisamente quando, dopo un’interrogazione, sviene e cade, battendo la testa. Quello è solo il primo di una lunga serie di episodi simili: il cuore che batte più forte, il calore nel viso, la caduta. Inizia così, per Caterina, un inferno fatto di ospedali, esami invasivi, infermiere pettegole, dolore e, soprattutto, incertezza. Emarginata dai compagni, amata ossessivamente da Maurizio, Caterina dovrà affrontare la diffidenza dei medici e la malizia di chi crede che ogni suo malessere sia pura finzione. Con una prosa piena, intensa e ricca di preziose citazioni letterarie, Barbara Bolzan traccia il profilo di un’adolescenza vissuta nell’incertezza e nella paura, sulla quale troneggia una malattia poco conosciuta e ancor meno compresa: l’epilessia.

Estratto

La realtà è che ci sente normali. Ma non sempre.
La realtà è che spesso va tutto bene. Ma non sempre.
Può essere a causa di una patologia, di una disposizione d’animo, o semplicemente di un malessere passeggero. A te che stai leggendo vorrei dire anche: non c’è nessun fantasma che non venga prima o poi chiamato col proprio nome e quindi sconfitto. Anzi, vorrei dirti che proprio non c’è nessun fantasma. C’è una persona – tu –, e non sei un’unità solitaria nello spazio cosmico. Le persone sono sempre un lieto fine.
Tutti abbiamo il nostro personale Calvario da attraversare.
Uscire e camminare per il purgatorio, credimi, non è facile.
Ma fattibile.
Niente rappresenta davvero un ostacolo insormontabile.
Dopotutto, si può sempre volare. Come un’aquila o come una farfalla.
L’importante è volare.
Sempre.

Biografia

Barbara Bolzan è di Milano, tiene corsi di scrittura creativa nei licei e, attualmente, collabora come editor e illustratrice con diverse realtà editoriali. I suoi volumi hanno ottenuto importanti riconoscimenti letterari. Rya – La figlia di Temarin è il primo capitolo della Saga di Rya, romanzo storico-fantastico al quale è molto legata. Con L’età più bella affronta l’ostico problema dell’accettazione (e superamento?) di una patologia socialmente invalidante come l’epilessia. L’ultimo romanzo (un giallo ambientato nel mondo dell’arte e che si rifà a un reale fatto di cronaca) è Il furto dei Munch (La Corte Editore, Torino, 2015).

Per seguire l’autrice:

pagina facebook di Rya – La figlia di Temarin

https://www.facebook.com/pages/Rya-La-figlia-di-Temarin/204826353035184

pagina autore (facebook):

https://www.facebook.com/pages/Barbara-Bolzan/424507624361323

Blog:

http://www.lavetrinadellabolzan.blogspot.it/    

Angela Castiello ci accompagna per mano attraverso il “mondo del silenzio”

foto angela

Ciao e benvenuto/a sul blog di Letterando, per prima cosa una curiosità, come ci hai conosciuto e perché hai scelto noi?

Ciao e grazie a voi del blog per avermi accolta 🙂 Come vi ho trovato è stata una fortuna e un caso: ovunque si parli di libri, di nuove uscite, di consigli… ecco, io ci sono! Spulciando sul vostro blog e su facebook ho scoperto e riscoperto libri interessanti. Poi Coralba, un giorno, ha risposto gentilmente a un mio post e adesso eccomi qui 🙂

Presentati ai nostri lettori, chi è (nome e cognome) e cosa fai quando smetti gli abiti di scrittore (scrittrice)?

Mi chiamo Angela Castiello, sono nata a Praia a Mare un paesino in provincia di Cosenza, ormai ben 34 anni fa. Leggo sin da quando ero bambina e uno dei miei sogni è sempre stato quello di scrivere. Non credendo, però, di esserne capace, mi sono totalmente buttata nella lettura, arrivando a leggere quasi un libro ogni due giorni. Approfitto di ogni momento libero per immergermi in storie e conoscere nuovi personaggi. Le mie passioni sono tre: la lettura (ovviamente, non potrei farne a meno), gli animali (innamoratissima del mio gatto ma di tutti gli animali) e la Lis, la Lingua dei Segni Italiana. Sto seguendo un corso per poter lavorare con i bambini sordi: questo vedo nel mio futuro.

Come è avvenuto l’incontro con la scrittura? È stato un processo lineare, una scoperta recente o è stata una passione accantonata e poi recuperata?

Come dicevo, ho sempre desiderato scrivere un libro ma allo stesso tempo non credevo di esserne capace. Poi un giorno è nato in me il desiderio (più forte, se possibile) di parlare della Lis, questo in seguito a un episodio successo: ero alla posta, in fila, e ho notato che a due sportelli dopo il mio un impiegato era in difficoltà perché non riusciva a capire di quale servizio avesse bisogno un signore che era sordo. Allora, spazientito, ha chiamato un suo collega per disfarsi di quel “problema”. Così, un po’ anche per rabbia, ho iniziato a raccontare una storia per far capire che non è impossibile approcciarsi una persona che non sente.

Quanti libri hai scritto e quale genere tratti?

Oltre a questo libro, ho scritto una piccola antologia divisa in quattro raccontini sul mondo animale, insieme a una mia carissima amica e autrice. Poi un altro libro che ancora non ho terminato, ma è quasi alla fine 🙂 Non so se lo pubblicherò.

Ci parli dei tuoi romanzi? (genesi, breve sinossi di un paio di righe e messaggio che volevi dare)

Le tue mani mi parlano d’amore è un romanzo rosa a tratti anche informativo sul mondo della sordità. cover castielloHo usato la storia d’amore per raccontare quanto a volte ci facciamo prendere dal timore di non saper affrontare una persona che solo apparentemente ci sembra “diversa” ma che di diverso non ha assolutamente nulla. Il protagonista, William, è un ragazzo che si porta dentro una sofferenza legata all’abbandono del padre, e più va avanti e più crede che la colpa della sua fuga sia dovuta a lui. Trova conforto nei suoi amici ma quando arriva la notte, il senso di solitudine lo attanaglia a tal punto da non voler passare il tempo chiuso fra le quattro mura di casa sua, così passa da una donna all’altra. Fino al giorno in cui incontra Tina, una dolcissima ragazza sorda, di cui si innamora perdutamente e la quale gli farà capire il valore del perdono e gli farà conoscere un nuovo modo di comunicare e ascoltare: con le mani e con gli occhi. Con questo libro, il messaggio è quello di invitare le persone a conoscere qualcosa di importante, a far sapere loro che quella che parlano i sordi è una vera LINGUA, al pari di tutte le altre. Invitarle, insomma, a scoprirla e a sorprendersi di quanto possa essere efficiente.

Gli animali… si amano!, invece, è composto da quattro simpatici raccontini sull’amore e l’amicizia. I protagonisti sono: farfalle, una tenera storia d’amore; uccellini, amore e avventura; delfini e squali, amicizia e amore; un riccio e un coniglietto, un amore nato, perso e ritrovato tra due specie di animali diversi. Qui, io e la mia amica, Jessica Maccario, abbiamo voluto raccontare l’amore sotto ogni forma.

Tu sei un esordiente e spesso molti tuoi colleghi ricorrono all’autopubblicazione, tu cosa ne pensi, meglio avere alla spalle una casa editrice o chi fa da sé fa per tre? Com’è stata la tua esperienza in proposito?

Ammiro tutti gli autori self, perché oltre al lavoro dietro ogni loro opera, c’è anche un’enorme fatica per farsi conoscere e sono soddisfatta per loro quando vedo che gli sforzi sono ripagati come è giusto che siano. Dimostrano di credere fortemente in loro stessi e fanno benissimo perché tutte le storie che ho letto sono ben scritte e mi colpiscono nel profondo. Io ho provato subito con la Butterfly Edizioni perché, essendo nuova e non conoscendo questo campo, ho pensato che l’aiuto di una CE mi potesse servire. Sono stata fortunata ma se il libro non fosse stato accettato, data l’importanza e il messaggio che volevo mandare, avrei provato anche io la strada dell’autopubblicazione.

Progetti futuri?

Progetti futuri tanti ma niente di certo. Sto scrivendo Prenditi cura di me (il titolo per ora è provvisorio), sempre genere rosa ma stavolta la storia non tratta di sordi. Molti mi hanno chiesto di continuare la storia di Tina e William ma non so se scriverò ancora su di loro. Mi piacerebbe però parlare di nuovo della Lis, della figura dell’Assistente alla Comunicazione, una figura importantissima per l’educazione dei bambini sordi. Non lo so, per ora è tutto nella mia mente 🙂

Grazie per essere stato dei nostri e a presto!!!

LINK LIBRO

http://www.amazon.it/tue-mani-parlano-damore-ebook/dp/B00ZH29S5O/ref=sr_1_1?ie=UTF8&qid=1436355140&sr=8-1&keywords=le+tue+mani+mi+parlano+d%27amore

LINK ANTOLOGIA

http://www.amazon.it/Gli-animali-amano-Jessica-Maccario-ebook/dp/B010GVNZYK/ref=sr_1_2?s=digital-text&ie=UTF8&qid=1436355210&sr=1-2

L’autrice Deborah De Lorenzi ci apre le pagine del suo Libro della Vita

Titolo: Il libro della vita

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Autrice: Deborah De Lorenzi

Pagine: 250

Formati e prezzi:

Kindle (2,99 €)

Libro, copertina flessibile (14,98 €)

Link d’acquisto:

http://www.amazon.it/libro-della-vita-Debora-Lorenzi/dp/150551262X/ref=tmm_pap_title_0

Quarta di copertina:

Faith Laveau lavora presso un giornale del Connecticut. E proprio mentre sta stilando un suo articolo accade ancora quella cosa imprevista e incontrollabile. Qualcuno di invisibile, ma non irraggiungibile, pronuncia il suo nome. È un richiamo forte e insistente. Pungente e terribilmente meraviglioso. Questa volta però Faith non resiste e si precipita, nel mezzo di un tornado, al suo piccolo, misterioso villaggio, avvolto dagli arcani della profonda provincia di New Orleans. Qui, insieme con l’inseparabile gemella Stephanie, si trova a scoprire (o riscoprire?) un mondo fatto di vere e proprie arti magiche, le più antiche, le più potenti. Qui l’antica lotta tra bene e male, illuminata dalla seducente luce del Woodoo, si colora di tutte le tinte dell’amore, della passione, del desiderio e della vita. Un baule e un libro sono le colonne su cui si poggia il palcoscenico di una storia decisamente ben orchestrata, capace di offrire improvvise e inaspettate impennate narrative che non lasciano spazio neppure al respiro. Libro squisitamente al femminile (anche Glen, l’antagonista, è una “fascinosa quanto temibile” donna), mette in luce il coraggio, l’intelligenza, la piacevolezza della protagonista. Dal finale inimmaginabile, tutta l’opera è sapientemente condita da un’ironia profonda, tagliente, intelligente. Questo è il quarto romanzo di Debora De Lorenzi. E siamo certi che, come gli altri, sarà un sicuro successo.

Estratto:

Un suono, un profilo, una fragranza, e allora la mia mente corre rapida a cercare lui. Non può trovarlo che tra i ricordi e, nel riconoscerne il dramma, torna a cercarlo lì, nel passato, tra le immagini indelebili che accompagnano ogni mio momento di solitudine, di vuoto, proprio come mi sta accadendo ora. Il mio diario è superfluo, quel che mi serve riesumare è ben impresso dentro me, ben fissato nella mia anima, come l’ultimo istante che abbiamo trascorso insieme, ignari che non ci sarebbe stato un dopo.

Pagina personale

https://www.facebook.com/DeboraDeLorenziWriter?fref=ts&__mref=message_bubble

Pubblicazioni
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Una copertina da “brividi”: Rosalba Vangelista e il suo soft thriller

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Ciao e benvenuta sul blog di Letterando, per prima cosa una curiosità, come ci hai conosciuto e perché hai scelto noi?

Come primissima cosa ciao a tutti! Grazie per avermi dato modo di essere qui su Letterando! La nostra è stata una conoscenza dettata dal fato se così posso definirla. Seguo già il vostro blog, e come per magia Coralba ha notato un mio post su di un gruppo di lettura di facebook e ci siamo ‘conosciute’ (per dirla tutta mi sono innamorata della copertina del romanzo che trovo davvero stupenda, da lì la curiosità, le chiacchiere ed eccoci qua – ndr) Sono davvero onorata di essere qui e felice per la fiducia che mi date parlando di me e del mio romanzo.

cover Rosalba

Presentati ai nostri lettori, chi è (nome e cognome) e cosa fai quando smetti gli abiti di scrittore (scrittrice)?

Mi presento, sono Rosalba Vangelista, ho da poco compiuto 35 anni, sono una lettrice compulsiva e da qualche mese anche un’autrice in self publishing con il mio romanzo Le Ossa del Lago.

Sono nata e vivo a Genova, amo la natura e gli animali e mi batto come posso per l’educazione alla lettura. Nella vita di tutti i giorni sono una segretaria in uno studio medico ormai da 14 anni, amo viaggiare e visitare le librerie e le biblioteche antiche. Ho un volpino nano di nome Ronny che porto sempre con me, il mio punto debole… bevo troppi caffè come la protagonista del mio romanzo 🙂

Come è avvenuto l’incontro con la scrittura? È stato un processo lineare, una scoperta recente o è stata una passione accantonata e poi recuperata?

Credo sia stato un processo lento e nascosto. Scrivo da appena un anno e mezzo, ho sempre letto tantissimo ma ultimamente dentro di me sentivo che qualcosa stava cercando di emergere. La mia passione nel leggere si stava trasformando nella voglia e nel bisogno di creare, di scrivere qualcosa di mio.

Quanti libri hai scritto e quale genere tratti?

Ho scritto un libro e mezzo, nel senso che oltre a Le Ossa del Lago che definisco un soft thriller, sto completando un paranormal romance dal titolo Alejandro.

Ci parli dei tuoi romanzi? (genesi, breve sinossi di un paio di righe e messaggio che volevi dare)

Le Ossa del Lago è un thriller psicologico e riflessivo. È la storia dell’omicidio di un bimbo di 5 anni i cui resti vengono rinvenuti in fondo ad un lago ( il Silver Lake ) di una pacifica ed accogliente cittadina del New Hampshire. Intorno a questo orribile crimine emergeranno le storie personali dei personaggi e della protagonista di questa storia, Kate Anderson, giovane poliziotta da poco trasferitasi a Silver Lake per suo volere dopo un evento ‘particolare’ della sua vita. Si scopriranno forti vicende personali, segreti vecchi e nascosti dalle apparenze e discriminazioni. È una storia forte ma allo stesso tempo delicata, ho cercato di trattare l’argomento con rispetto, con tatto proprio perché si parla di infanticidio. I bambini e l’amore per essi sono la colonna portante di questa storia, volevo scrivere qualcosa che facesse riflettere, volevo mettere il lettore di fronte a delle domande importanti. Alejandro invece è un paranormal romance ambientato nella prima parte nella Cornovaglia del 1595 e nella seconda in Inghilterra nel 2012.

È una storia di amore e morte, la storia di una maledizione che dura da 417 anni… Di più non posso svelarvi visto che è in fase di stesura, ma la copertina è già pronta ( sempre creata dalla bravissima Aranel B. ) e visibile sul mio profilo pubblico facebook.

Tu sei un esordiente e spesso molti tuoi colleghi ricorrono all’autopubblicazione, tu cosa ne pensi, meglio avere alla spalle una casa editrice o chi fa da sé fa per tre? Com’è stata la tua esperienza in proposito?

Io sono un’autrice in self publishing, ho scelto questa via dopo essermi documentata in merito e devo dire che mi trovo benissimo con il mio editore. Ho una buona distribuzione, un buon servizio ed un ottimo prodotto. L’unica cosa è non aver avuto i servizi di una grande casa editrice tradizionale e quindi sono completamente ‘esposta’. Sono consapevole di non avere una forma perfetta nel mio romanzo, ma credo che così sia una lettura ‘genuina’, sono io al 100% mettendoci completamente la faccia e mettendomi completamente in gioco, nel bene e nel male. Non reputo comunque giuste le critiche che vengono spesso fatte al self publishing, etichettandoci come un prodotto di bassa qualità, ho letto scrittori in self eccellenti.

Progetti futuri?

Come progetti futuri ho la pubblicazione di Alejandro e poi chi lo sa… mi hanno già chiesto in parecchi un proseguo de Le Ossa del Lago con i due protagonisti Kate e Steve. Credo che ci penserò su, mi sono affezionata a loro come è successo a parecchi lettori, sarebbe bello scrivere ancora di loro, e di Silver Lake che porto sempre con me nel cuore…

Grazie per essere stata dei nostri e a presto!!!

Le “tentazioni” di Argeta Brozi

Continuano le nostre segnalazioni di lettura. Oggi vi suggeriamo di dare un’occhiata a questo romanzo; anche perché Argeta è la mia editrice, anzi “editora”, così, giusto per restare in tema… 😉

Titolo: Tentazioni

Autore: Argeta Brozi

copertina Argeta

Casa editrice: Newton Compton

Data pubblicazione: 2 luglio 2015

Prezzo: 4,90 €

e-book: 3,99 €

Sinossi: Ylenia ha venticinque anni ed è già profondamente delusa dagli uomini. Non crede più nell’amore e non ha alcuna fiducia nel genere maschile. Proprio per questo decide insieme alla sua amica Laura di prendersi una rivincita: sedurre i fidanzati delle ragazze che si rivolgono a lei per mettere alla prova la fedeltà dei loro uomini. Comincia tutto come un gioco eccitante, condito da un pizzico di pericolo e spregiudicatezza, ma Ylenia non tarda a rendersi conto che chi scherza col fuoco rischia di bruciarsi… E poi c’è Brian. Un incontro casuale, praticamente amore a prima vista. Ylenia tenta con tutte le proprie forze di ignorare i suoi sentimenti, per evitare l’ennesima delusione, ma l’attrazione è tale che non riesce a resistergli. E proprio quando le sue difese cominciano ad abbassarsi, anche lui, come tutti gli altri, si rivela un ragazzo da cui è meglio stare alla larga. Ylenia è a pezzi, ma c’è ancora un sogno a tenerla viva, ad aiutarla a continuare a sperare: New York…

Biografia: Argeta Brozi è nata il 12 aprile dell’85 sotto il segno dell’ariete, a 8 anni la sua passione per la lettura la fa avvicinare al mondo della scrittura. A 9 anni sa già cosa vuole fare da “grande”: la scrittrice. Comincia ben presto: a 9 anni scrive le prime poesie e i primi romanzi (anche se mai terminati). A 15 anni pubblica sotto pseudonimo su Top Girl. A 17 anni ha già un vasto repertorio: circa 800 poesie e qualche racconto breve. Decide di lanciarsi nei primi concorsi letterari senza raccontare a nessuno di questa sua passione. Risulta vincitrice dal primo concorso. In seguito farà altri concorsi letterari ottenendo sempre buoni risultati, classificandosi ai primi posti e pubblicando le sue innumerevoli poesie e racconti in varie antologie. A 19 anni, nel giro di un anno, ha scritto 120 racconti brevi. A 23 anni termina 3 romanzi e ne inizia altri 4. E’ laureata in Psicologia e si occupa di editoria dal 2007. Il suo libro d’esordio “Prendimi l’anima” (Gruppo Albatros il Filo, 2007) ha ricevuto grandi consensi di pubblico ed è arrivato alla 6° ristampa. Del 2009 è il suo secondo libro “Quell’emozione dietro l’angolo del cuore” (Montedit), terzo classificato a un concorso. Con Butterfly Edizioni ha pubblicato il romanzo “Al di là di te”. Con la Newton Compton ha pubblicato “Tentazioni”, un romance che ha scalato le classifiche raggiungendo diverse migliaia di lettori. Ha tenuto per un anno una rubrica “Nuvole di scrittura” sul giornale tosco-emiliano, distribuito in 15000 copie sul territorio. E’ appassionata anche di fotografia. Da aprile 2012 fino al 2014 ha condotto il programma radiofonico “Carezze d’inchiostro” su C-You.TV, un programma dedicato alla cultura e al mondo dei libri.

Link Ufficiale: http://www.newtoncompton.com/libro/tentazioni

Il silenzio dell’amore di Rujada Atzori

Oggi inauguriamo una nuova rubrica dedicata agli esordienti: perché Letterando non dorme mai! Non sono poche le pagine virtuali che questo blog dedica agli scrittori esordienti, ma ci è sembrato giusto creare uno spazio facilmente fruibile, dove il lettore può trovare tutti i riferimenti di cui ha bisogno in modo snello e immediato.

Iniziamo con Il silenzio dell’amore di Rujada Atzori.

copertina Rujada

Modalità pubblicazione: autopubblicato

Data pubblicazione: 18 giugno 2015

Pagine: 93

Prezzo: 0,99 cent

Altre informazioni: a breve anche in cartaceo

Sinossi:

«Magari riesco a farti dimenticare Stefano…» sussurra accanto alle mie labbra. Abbasso lo sguardo soffermandomi sulla sua bocca, ho una voglia incredibile di sentirla sul mio corpo. «Non c’è riuscito nessuno, non ci riuscirai nemmeno tu…»

Niky è innamorata da sempre del suo migliore amico, Stefano, ma per paura di rovinare la loro amicizia tace. Il silenzio dell’amore ha il costo della sofferenza. Prigioniera dei suoi sentimenti cerca di soffocarli, prima in relazioni sbagliate e poi con il sesso occasionale. In una notte di passione conosce un uomo misterioso che vuole abbattere i suoi silenzi scavalcando il muro dietro cui si difende. Niky si troverà a fidarsi di uno sconosciuto dal fascino magnetico. Può l’amore di sempre, puro e incondizionato, venire offuscato dalla passione? Rujada Atzori ci parla dei silenzi dell’amore, quelli che si bloccano nel cuore tacendo verità che potrebbero cambiare il corso del nostro destino. Per ricordarci che anche i silenzi hanno un suono…il suono dell’amore.

Estratto:

Mi lascio andare a un pianto liberatorio, forse. Ma non libera niente. Mi sento male. Vorrei non averlo mai amato così tanto, vorrei non essermi mai innamorata di lui, vorrei non essere così debole. Non sono mai riuscita a dimenticarlo, è sempre stato nel mio cuore, dal primo giorno. Chissà se mi passerà mai, chissà se un giorno ci penserò e sorriderò di questo amore, chissà se riuscirò mai ad andare avanti. Credevo che l’amore rendesse felici, liberi. Credevo che l’amore fossero sorrisi ogni mattina. Credevo che l’amore fosse mangiare senza paura di ingrassare. Credevo che l’amore fosse magia. Credevo che l’amore fosse ridere a crepapelle, sentirsi sempre a un metro da terra. Credevo che l’amore riuscisse a fare tutto, anche le cose più improbabili. Credevo che l’amore fosse guardarsi e capirsi senza tante spiegazioni. Credevo che l’amore guarisse ogni male. Credevo che l’amore facesse scoppiare il cuore di emozioni. L’amore non è niente di tutto questo. L’amore è bastardo. T’illude, ti spegne. Mi asciugo con rabbia le lacrime e prendo la bottiglia di vino bevendo un lungo sorso. Non m’importa cosa succederà dopo, non m’importa se mi sentirò così male da vomitare tutta la notte, voglio solo che questo dolore, questo vuoto che sento all’altezza del petto, questo vuoto che mi squarcia il cuore in mille pezzi, sparisca. Voglio solo che sparisca. Tutto. Ricordi, risate, abbracci, baci, sguardi, carezze, parole non dette. Voglio che sparisca tutto dalla mia mente, dai miei ricordi.

Biografia:

Rujada Atzori è nata il 27.02.1990 e abita in Sardegna. The secret una scommessa d’amore è il suo primo romanzo pubblicato con la Butterfly Edizioni il 25 agosto 2014. Nell’aprile del 2015 decide di autopubblicarsi mettendo online il suo racconto: Un cameriere solo mio nella mia vita (im)perfetta, che in un mese e mezzo è stato acquistato da più di duemila persone. A giugno esce con un nuovo racconto: Il silenzio dell’amore, entrando subito nella classifica dei top 100 di Amazon.

Link per l’acquisto:

Il silenzio dell’amore: http://www.amazon.it/Il-silenzio-dellamore-Rujada-Atzori-ebook/dp/B00ZO77HGY/ref=sr_1_1?s=digital-text&ie=UTF8&qid=1434605902&sr=1-1&keywords=il+silenzio+dell%27amore

The secret una scommessa d’amore: http://www.amazon.it/The-Secret-Digital-Emotions-scommessa-ebook/dp/B00N07R0JE/ref=pd_rhf_dp_p_img_4 ( per ora solo ebook)

Un cameriere solo mio nella mia vita (im)perfetta (ebook e cartaceo): http://www.amazon.it/Un-cameriere-solo-mio-perfetta-ebook/dp/B00VIJTYEA/ref=pd_rhf_dp_p_img_4

Incontri letterari: Anna Genovese Kalcich

AFRODISIA

Prima di cominciare con l’intervista dedicata all’esordiente di oggi, è necessario fare una breve premessa. Ho conosciuto Anna durante la prima edizione di TempoLibro, una manifestazione dedicata alla scrittura, agli editori, agli scrittori e, ovviamente, ai libri.

Mi ha fatto subito una buona impressione già dal modo in cui si è presentata: semplice, diretta e senza filtri. Poi, quando ho visto la passione con cui ha illustrato al pubblico il suo romanzo storico, ho deciso “al volo” che doveva stare sulle pagine virtuali di Letterando.  E perciò eccola qui, ve la presento, anzi, le ho chiesto di presentarsi da sola attraverso il brano che segue. Leggetelo insieme all’intervista e poi, cari amici di Letterando, mi direte se non ci ho visto lungo 😉  

N. B. l’insolito colore rosso scelto per l’intervista è stato espressamente richiesto da lei perché dice che “porta fortuna”. E noi lo speriamo proprio! 🙂

Scrivere per me

Tanto tempo fa, ormai veramente tanto tempo fa, c’era una bambina cicciottella, antipatica e, come si direbbe oggi, asociale, che detestava i suoi simili e ne era ricambiata. Per uno strano caso riusciva ad amarli profondamente solo quando li vedeva spalmati su una pagina. Si rifugiava nelle righe dei libri per sfuggire agli uomini in carne e ossa.

Qualche anno dopo c’era una ragazza cicciottella e piuttosto antipatica e, come si direbbe oggi, asociale, che detestava i suoi simili. Per ovviare a questo problema, si rifugiava nelle pagine dei libri, ma piano piano cominciò a odiare anche gli uomini “ tra le righe”: le vite descritte da altri la infastidivano ormai quasi come quelle reali.

Il problema si era fatto molto serio: il suo unico rifugio, dove trovava un po’ di pace, non riusciva più a darle sollievo. Così, senza quasi pensarci, prese una penna e… il mondo cominciò ad andare magnificamente, perchè era lei a crearlo. Il suo potere era immenso: di vita e di morte, di uccidere e amare, di far piovere e nevicare. Scrivere era l’unico posto dove tutto era come avrebbe voluto che fosse e lei era felice solo lì, perchè scrivere è un luogo dell’anima.

Anna Genovese Kalcich 

Ciao e benvenuta sul blog di Letterando, per prima cosa una curiosità, come ci hai conosciuto e perché hai scelto noi?

Prima di tutto grazie dell’ospitalità. Vi ho conosciuto, anzi la (intendo Coralba) ho conosciuta alla presentazione del mio libro Afrodisia al festival della letteratura di Nereto. Parlando parlando eccomi qui.

 Presentati ai nostri lettori, chi sei (nome e cognome) e cosa fai quando smetti gli abiti di scrittrice?

Mi chiamo Anna Genovese e per definirmi quando scrivo ho aggiunto il cognome Kalcich, così giusto per far capire che sono due (soltanto?) persone diverse.  Nella vita “borghese” sono una prof. di lettere in una scuola secondaria di I grado. Adoro questo lavoro perchè mi permette di stare a stretto contatto con l’anima del mondo: i ragazzi. In realtà quando arrivano in prima sono ancora bambini, ma nei tre anni di scuola assisto al miracolo della loro trasformazione. È un momento splendido e difficile per ogni essere umano: accompagnarli in questo percorso è un privilegio raro. Potrei parlare ancora molto tempo di questo, ma l’aurea concinnitas che mi hanno insegnato me lo impedisce. Kalcich è il cognome di mio marito, prima che qualcuno obbligasse la sua famiglia a “italianizzarlo”, ma questa è un’altra storia…

Come è avvenuto l’incontro con la scrittura? È stato un processo lineare, una scoperta recente o è stata una passione accantonata e poi recuperata?

Il mio incontro con la scrittura l’ho spiegato in Scrivereperme, pubblicato tra queste pagine. Posso aggiungere che quello che non prevedevo è il “dopo”. Certo, non sono Ken Follet, ma le presentazioni, partecipazioni a premi, incontri in cui devo parlare di me e di quello che ho scritto mi mettono in difficoltà: non ci sono ancora abituata.  È pur vero che parlando, incontro dopo incontro conosco un po’ meglio la straniera che sono per me stessa e il libro che ho scritto, che non credevo avesse così tante cose dentro. L’incontro con la scrittura è avvenuto, seppur di riflesso, anche per le persone a me più vicine. Per quello che riguarda mio marito ne parlerò in un’altra situazione: si presterebbe molto bene per una sit-com anni ‘80. A mia figlia, invece, avevo fatto una promessa per farle digerire la sfortuna di avere una mamma che invece di preparare torte e organizzare merende passa il suo tempo china a scrivere cose a lei incomprensibili, rispondendo con grugniti alle sue richieste di attenzione. In un momento di massima protesta le dissi: “ Quando mamma venderà un po’ di copie ti comprerà la Dreamhouse (casa di una nota marca di bambole), che tanto desideri…” La mia bimba (9 anni) si è rassegnata.

Quanti libri hai scritto e quale genere tratti? Ci parli dei tuoi romanzi? (genesi, breve sinossi di un paio di righe e messaggio che volevi dare)

Il mio “genere” è il romanzo storico. Afrodisia è il mio primo romanzo finito. Il titolo Afrodisia si presta a qualche equivoco: anche la copertina (bellissima, per me) diciamo che non aiuta. La mia mamma è una signora perbene di 78 anni (la più tremenda parolaccia che ho sentito uscire dalla sua bocca è “cretino”) e quando ha visto libro e titolo, abbassando la voce, mi ha chiesto preoccupatissima: “Mica avrai scritto un libro porno?” La risposta è tra le sue pagine. Ovviamente non ve la dico. A chi può interessare la sinossi si trova sulla pagina facebook del libro: www.facebook.com/Afrodisia2014, oppure si può andare sul sito dell’Editore Solfanelli.

Quasi insieme a questo ne stavo scrivendo un altro, che sarebbe dovuto essere il secondo, ma nel frattempo ho trovato una storia più appassionante e i personaggi che mi chiamavano, così non ho potuto fare a meno di seguirli. Nella cartella del mio pc ho tanti files già denominati, con storie che stanno nascendo in epoche diverse e tanti volti da descrivere e tante vite da raccontare, ma stanno aspettando con pazienza. Ogni tanto li raggiungo e faccio loro visita, come si fa con i vecchi amici, aggiungendo qualcosa per costruire un mondo verosimile attorno a loro. Non c’è fretta…

Tu sei un esordiente e spesso molti tuoi colleghi ricorrono all’autopubblicazione, tu cosa ne pensi, meglio avere alle spalle una casa editrice o chi fa da sé fa per tre? Com’è stata la tua esperienza in proposito?

Autopubblicazione no, soprattutto perchè una casa editrice offre un servizio essenziale: un editor. Ricordando il rosso sangue delle mie bozze quando mi sono tornate indietro per la prima volta e gli ottimi spunti che l’editor ha dato per definire alcune questioni di Afrodisia, penso che sia irrinunciabile uno sguardo professionale e non indulgente sul lavoro che sta nascendo (gli amici sono sempre molto generosi e gentili). Inoltre sono pigra e non troppo portata per l’autopromozione, già faccio molta fatica così con i preziosi consigli del mio Editore (che ringrazio di avermi dato questa opportunità); non oso immaginare cosa potrebbe essere senza, quindi decisamente autopubblicazione no.

Progetti futuri?

Progetti futuri? Ovviamente comprare la Dreamhouse!

 

Il viaggio attraverso la “lunga notte” di Lamia Berrada-Berca

romanzo cop

di Coralba Capuani

Ieri sera mi è capitato di assistere alla presentazione di un libro molto particolare, un testo complesso, di non facile lettura, un “non-romanzo” con dei “non-protagonisti”, così come la stessa autrice l’ha definito.

Il testo si mostra originale già dalla Lamia-Berrada-Berca_1127disposizione grafica che può essere letta come un insieme di singoli momenti poetici miranti a indicare l’alternanza tra parole e silenzi. Il tema dominante è la mancanza di libertà e, allo stesso tempo, un invito a lottare contro tutte le forme di oppressione.

Con C’è una stessa notte per tutti, l’autrice franco-marocchina Lamia Berrada-Berca “si tuffa nel mezzo di una lunga notte, laddove s’infilano la disperazione umana e la dismisura delle cose, per tentare di intravedere quello che continua a salvare la nostra umanità, nonostante tutto, in un mondo che troppo spesso la nega”. (http://www.edizionidifelice.it/2015/77-pav4-berca.htm).

La “trama” si potrebbe riassumere così: si tratta della storia di tre personaggi che si muovono al di là dello spazio e del tempo, in un corpo a corpo perverso tra luce e buio: il becchino che seppellisce i morti e ne ingoia il dolore e, di contro, la moglie ostetrica che preleva la vita, portando i bambini alla luce. Sopra di loro, come un macabro avvoltoio, il dittatore/sciacallo che schiaccia tutti, beandosi del buio sul quale regna.

Devo dire che già dalle prime informazioni ricevute durante la serata di ieri, mi è parso un testo molto coraggioso, un tentativo di allontanarsi dalla massa per dire qualcosa di diverso e pregnante. E mi fa ancor più piacere che questo messaggio provenga da una donna. Come ho fatto notare alla stessa autrice durante l’intervento del pubblico, il nostro mondo, che sembra democratico e libero, non è mai stato così oppresso come adesso. Soprattutto noi donne, a cui è stata data una libertà all’apparenza completa, siamo invece più schiave di quanto siamo mai state in passato. È come se, in pratica, attraverso la concessione di una liberà sessuale completa, ci venisse dato “il contentino”, mentre in realtà questa presunta libertà rimane solo sulla carta. Si può forse chiamare libertà questa? E cosa dire delle tante vittime di violenze e soprusi, per descrivere i quali si è dovuti ricorrere alla coniazione di un neologismo (femminicidio)? Per non parlare delle discriminazioni ancora presenti nel “moderno occidente”; basti pensare alla diversità di trattamento economico ricevuto dalle lavoratrici rispetto agli uomini, solo per fare un esempio.

Il mondo di cui parla Berrada-Berca è proprio come il nostro, un mondo all’apparenza libero ma inconsapevole, e quindi in realtà schiavo di ciò che lo sciacallo vuol far credere. Questo perché la libertà senza coscienza non è libertà e un uomo privo della coscienza è come un sacco vuoto, senz’ anima. In un mondo basato su una dittatura mascherata ci è data la possibilità di agire, di parlare, di scrivere, ma si tratta di concessioni “guidate” dall’alto che, però, non hanno nulla a che fare con la vera libertà. La Berca ci dice, in sostanza, che in tutte le dittature, mascherate e non, il dittatore/sciacallo si ciba della nostra vera essenza riconsegnandoci dei corpi vuoti che, sì, agiscono, vivono, ma che non hanno coscienza di agire, di pensare e di vivere, e, pertanto, è come se fossero già morti.

Come avrete avuto modo di capire da queste poche righe, la densità semantica del testo è notevole e non sempre di facile fruizione, anche perché il testo è basato su una serie di ossimori: vita/morte; luce/buio; speranza/disperazione. Elementi ulteriormente complicati dal fatto che spesso questi aspetti contraddittori sono in realtà facce di una stessa medaglia. La fossa che il becchino scava, ad esempio, seppellisce la vita, la speranza, i progetti, i sogni, la creatività, ma da questo pozzo nero si può risalire in un certo senso. Anche la stessa vanga che scava nell’abisso può avere una funzione opposta, quella di disseppellire il contenuto (simbolico) della fossa per riportarlo alla luce. Perciò il messaggio finale è positivo: tutti dobbiamo attraversare la nostra notte, il momento di buio che è la presa di coscienza del Sé, per poi arrivare all’alba salvifica.

Come ho già accennato sopra, ho letto questa metafora come un messaggio indirizzato soprattutto a noi donne perché, a mio avviso, se mai ci sarà una primavera dell’umanità, così come poeticamente ha descritto Tito Rubini, questa potrà avvenire solo attraverso le donne; da sempre legate alla forza generatrice della Terra.

Un’altra riflessione, invece, riguarda il potere salvifico della parola, a cui l’autrice consegna un ruolo centrale (il protagonista legge un libro che tiene nascosto sotto il letto e mentre lo legge è come se scrivesse la sua storia). Anche in questo caso mi è parso di leggere tra le righe un ulteriore messaggio indirizzato al mondo culturale che, come un po’ tutti gli aspetti della società moderna si è deteriorato.

In un mondo culturale dove predomina il mercato, il numero di copie vendute piuttosto che il valore culturale e letterario di ciò che viene proposto, ho apprezzato lo sforzo dell’autrice di dire altro, di spingere i lettori  a riflettere e a intraprendere quel viaggio attraverso la notte che può sì spaventarci, ma che, allo stesso tempo, può portarci alla scoperta del nostro vero io; a lasciare l’apparenza per l’esistenza. E questo, mi permetto di dire, è un messaggio rivolto soprattutto alla scrittura femminile, da troppo tempo ridotta a mero intrattenimento. Non so quanto questo aspetto ci venga imposto dall’alto, o quanto noi stesse siamo colpevoli, in quanto ci siamo fatte rinchiudere di nuovo nei vecchi cliché ottocenteschi che negavano alle donne la possibilità di trattare temi seri come la politica e la filosofia, relegandole al massimo ai romanzetti d’amore. A questo proposito mi viene in mente la figura di  Mary Wollstonecraft, la madre di Mary Shelley, che sulla scia della rivendicazione dei diritti dell’uomo avvenuta a seguito della Rivoluzione francese, nel 1792 pubblicò La rivendicazione dei diritti delle donne. Il saggio suscitò un vero e proprio vespaio e l’autrice fu oggetto di critiche veramente malevoli (si mise in dubbio anche la femminilità dell’autrice), e questo solo perché aveva osato trattare temi che per una donna, secondo la mentalità dell’epoca, non erano “consoni”.

Ecco, io credo che noi scrittrici dovremmo raggiungere quella consapevolezza del Sé, riscoprendo la nostra vera essenza e abbandonando definitivamente l’apparenza (il sacco vuoto), anche per rispetto verso queste donne, le quali hanno dovuto lottare per creare un posticino anche per noi in un mondo culturale predominato dagli uomini.

Luciana Benotto: come nasce una scrittrice

foto Luciana Benotto

Luciana Benotto, autrice de Il duca e il cortigiano ci parla di come è nata in lei la passione della scrittura. Allora Lucia, io e i lettori di Letterando siamo curiosi, dicci pure.

Onestamente non è facile raccontare qualcosa di sé, mi sembra di peccare un po’ di gigioneria, ma se proprio devo… comincerò da lontano.
Premesso che prima si legge e poi si scrive, confesso che l’amore per la lettura mi è stato inculcato da mia madre, la quale ogni sera, per farmi addormentare, pazientemente mi raccontava una fiaba o una favola; poi, quando ho imparato a leggere ho continuato a farlo da me, prima con quelle edizioni per bambini in cui le storie erano solo delle didascalie sotto a bei disegni colorati, e crescendo, prendendo a prestito libri dalla bibliotechina scolastica, grazie ai quali mi nutrivo avidamente delle storie dei cavalieri della famosa tavola rotonda di Re Artù e di quelle dei paladini di Carlo Magno. Il sabato, ovvero il giorno in cui mia la maestra, che oltre al suo mestiere faceva pure quello della scrittrice per ragazzi, li dava in prestito, per me era il momento più lieto della settimana. Ormai il vizio di leggere era inesorabilmente attecchito in me, come l’edera sulle pareti di vetusti palazzi nobiliari.
A nove anni, ho cominciato a tenere un diario, al quale narravo le mie giornate come fosse un amico con cui confidarsi, diario che negli anni ha avuto, a onor del vero, vari fratelli, che ora dormono tutti insieme nell’angolo più recondito di un armadio.
Ma il vero cimento con la scrittura è iniziato quando avevo trent’anni. Prima lo ritenevo prematuro perché non avevo letto abbastanza libri: personalmente credo infatti, che solo dopo aver letto i grandi della letteratura si possa con umiltà accostarsi al mestiere dello scrittore: una professione che richiede oltre alla creatività, conoscenze tecniche. Immaginate uno che voglia dipingere un affresco perché ha in mente un soggetto meraviglioso, ma non sa come tenere in mano i pennelli, come amalgamare i colori, come preparare il muro affinché il dipinto possa durare nel tempo. Cosa potrà mai uscire dalla sua mano?
Il battesimo col pubblico l’ho avuto grazie ai concorsi letterari. Già il primo testo che ho inviato è stato premiato, con mia grande meraviglia. Sono andata avanti così per anni, semplicemente per divertimento, d’altronde io un lavoro ce l’avevo e ce l’ho, (insegno letteratura e storia alle superiori e inoltre sono giornalista pubblicista); insomma, ho vinto di tutto, dalla penna stilografica a notti d’albergo, dal denaro alle pubblicazioni gratuite. E proprio in seguito a ciò, un giorno mi sono vista pubblicato un romanzetto giallo rosa che è finito nei bookstores on line. Incredula e con un po’ di autostima in più, ho quindi cominciato ad inviare i miei lavori a delle case editrici, ma chiedevano denaro, così ho optato per il self publishing, riscuotendo, a parer mio, un accettabile successo. E sarei andata avanti così per divertimento chissà per quanto tempo, se il caso non mi avesse fatto divenire amica di una nuova scrittrice la quale, un uggioso pomeriggio primaverile, davanti ad una tazza di tè mi ha detto: “Ma perché invece che farlo solo per gioco non fai la scrittrice per davvero?” Le sue parole mi avevano lasciata perplessa, ma poi ci ho pensato su e ho seguito il suo consiglio, ovvero: “cercati un agente letterario e fai il salto”. E così è stato. Da pochi giorni è uscito un mio romanzo storico intitolato: Il Duca e il Cortigiano. Imprese d’arme e d’amore, che ora si trova nelle librerie reali e in quelle on line. Sono ancora incredula, tanto che non posso fare a meno di domandarmi: sarà mica un incantesimo fatto apposta per me dalla Fata Viviana che tanto ammiravo da bambina?

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Sinossi

«Cesare Borgia, detto il Valentino, figlio del pontefice Alessandro VI, nel 1499, grazie a una bolla papale che dichiarava decaduti dai loro feudi i signori di Pesaro, Imola, Forlì, Faenza, Urbino e Camerino, dava l’avvio a una serie di cruente spedizioni alla conquista di questi domini che gli avrebbero permesso di crearsi uno Stato tutto suo nell’Italia Centrale.»
In pieno Rinascimento si ripercorrono le vicende legate ai nomi della famiglia dei Borgia, alla conquista dei feudi dell’Italia Centrale, e a quella dei Montefeltro, duchi di Urbino, strenui oppositori alle mire di supremazia ordite dal papato. Ai continui giochi di potere, i contrasti, le strategie di espansione territoriale e i dettagliati resoconti dei fatti accaduti durante l’Italia di inizio Cinquecento, resiste l’ideale di giustizia e di un amor cortese che fa sperare in un futuro per cui valga la pena combattere. Circostanze, queste, che permettono a don Ferrante d’Aragona – figlio illegittimo di Alfonso I di Napoli e amico fidato di Guidobaldo da Montefeltro – e ad Aura Middelburg, giovane ceramista, di incontrarsi e innamorarsi. Una storia romantica nata dalla speranza di potersi ritrovare e che possa, questa, essere vissuta nonostante le circostanze sfavorevoli ai due. L’estrema attenzione alla verità storica e il frequente uso di aneddoti fanno de Il Duca e il Cortigiano un virtuoso esempio di romanzo storico che fotografa e restituisce al lettore un quadro fedele dell’Italia dell’epoca.

 

Attraverso le sbarre: intervista a Jenny Rizzo

libro jenny

Ciao e benvenuta sul blog di Letterando, per prima cosa una curiosità, come ci hai conosciuto e perché hai scelto noi?

Seguo la vostra pagina facebook e circa due anni fa avete già pubblicizzato il mio primo saggio. Felice del risultato, sono rimasta sempre con voi ed ora è giunta l’ora di parlarvi del mio secondo libro.

Presentati ai nostri lettori, chi è Jenny Rizzo e cosa fai quando smetti gli abiti di scrittrice?

Mi chiamo Jenny, Jenny Rizzo. Giurista per titolo, criminologa per passione, scrittrice per diletto. Il contatto col mondo carcerario, dovuto al mio lavoro, ha sviluppato in me la volontà di voler portare fuori da quelle mura grigie e immense, la voce del detenuto. Che non necessariamente chiede pietà o perdono. Il mio fine è quello di rendere partecipe la società di un aspetto che è intrinseco alla nostra vita di tutti i giorni: la criminalità. Il detenuto che vive all’interno di una cella di qualche metro quadrato un giorno potrà essere il nostro vicino di casa. Quindi, perché non iniziare a prendere coscienza di un mondo che esiste, nonostante lo si voglia tenere lontano…? Eccomi. Sono qui per questo. Per raccontarvi il bello e il brutto della vita carceraria. Lo faccio con occhi a volte innamorati, a volte impietositi, a volte pieni di lacrime. Lo faccio anche con rabbia, verso un mondo cocciuto e ottuso che non vuole capire che investire in progetti di reinserimento sociale per detenuti, significa investire sulla certezza e sicurezza dei cittadini fuori da quel mondo. Voglio che tutti capiscano che io non aiuto il rapinatore o lo spacciatore ad avere una vita migliore dentro. Aiuto me stessa, e tutti noi, ad avere una vita migliore fuori. Ma la mia voce, da sola, è una goccia nell’oceano.

Come è avvenuto l’incontro con la scrittura? È stato un processo lineare, una scoperta recente o è stata una passione accantonata e poi recuperata?

Una passione riaffiorata, facendo di necessità virtù. Rimasta senza uno straccio di soldo, mi sono reinventata un mestiere, partendo da quello che già sapevo fare. Ho unito, quindi, il mio essere criminologa e la mia conoscenza del mondo “carcere”, alla passione per la  scrittura. Da qui nasce la volontà di diventare una vera scrittrice.

Quanti libri hai scritto e quale genere tratti?

I miei due libri “Oltre il pensiero delle sbarre” e “Concorso di colpe” sono dei saggi che raccontano il mondo del carcere attraverso gli occhi di chi lo ha vissuto o lo vive tutt’ora: detenuti, ex detenuti, familiari, operatori penitenziari…  sto già preparando il terzo.

Ci parli dei tuoi romanzi? (genesi, breve sinossi di un paio di righe e messaggio che volevi dare)

Come dicevo poc’anzi, il mio fine è quello di sviluppare una coscienza sul mondo carcere nel lettore, portandolo a riflettere sul servizio offerto, sulle mancanze, sui risultati di una pena detentiva che dovrebbe volgere alla rieducazione. Il tutto attraverso storie e racconti di detenuti che ho in prima persona conosciuto. Le storie sono a volte alleggerite, a volte marcatamente intense. I nomi dei protagonisti sono tutti fittizi, per non arrecare danni al loro percorso, positivo o negativo che sia. Molte storie riguardano bambini: figli di donne detenute, madri ingrate che hanno il diritto di vivere coi propri figli, anche se in una cella; figli di padri un po’ sprovveduti, che vivono fuori, con i nonni o con la sola madre, in attesa che il padre torni a casa da un lungo viaggio di lavoro; ragazzini costretti a vivere la criminalità sulla loro pelle, perché quello gli viene insegnato… Altre storie poi raccontano di madri che si rendono conto di arrecare un danno irreparabile al proprio figlio, ma non hanno gli strumenti per poter fare altro se non rubare. Poi ci sono gli strafottenti e i superbi, che passano la vita a rubare e spacciare, come se quella fosse la loro unica capacità. Le storie si intersecano, dalle più leggere alle più inascoltabili perché quel pugno nello stomaco nel sentire certi racconti, lo senti forte, troppo.

Tu sei un’esordiente e spesso molti tuoi colleghi ricorrono all’auto-pubblicazione, tu cosa ne pensi, meglio avere alle spalle una casa editrice o chi fa da sé fa per tre? Com’è stata la tua esperienza in proposito?

Auto-pubblicazione, per scelta. Purtroppo fino ad ora le case editrici mi hanno tutte chiesto soldi per pubblicare, quindi preferisco fare da me. Certo, una casa editrice che curi marketing e circolazione dei libri sarebbe utile. Non demordo, continuo a scrivere e cercare.

Progetti futuri?

Il terzo saggio nel cassetto… e magari il mio primo romanzo 😉

Grazie per essere stata dei nostri e a presto!!!

Potete  acquistare il libro di Jenny direttamente su Amazon, basta cliccare il seguente link

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se invece volete seguirla su Facebook ecco dove trovarla

https://www.facebook.com/pages/Concorso-di-Colpe/1585298408420225

Lorena Marcelli e l’enigma del Premio Marcelli.

copertina enigma

di Coralba Capuani

Ho conosciuto Lorena in occasione della giornata di premiazione indetta dalla casa editrice Marcelli. Un freddo pomeriggio di ottobre dedicato alla proclamazione dei testi più meritevoli inframmezzato da intervalli musicali e di intrattenimento vario.

Ricordo che la sala era piena e che la premiazione, alla quale intervennero scrittori di tutta Italia, durò parecchie ore. A fine serata infatti eravamo tutti bolliti e il ciarlare allegro delle prime ore si era trasformato in una silenziosa fila di gente delusa e stanca. Non so se le polemiche furono sollevate dalla sera stessa, ma sta di fatto che quando accesi il mio portatile, fra i partecipanti già si parlava di presunti brogli. In un’Italia zeppa di raccomandati e truffatori, infatti, non fu strano per molti ipotizzare una presunta parentela tra i due Marcelli (la vincitrice Lorena e Paolo Marcelli, proprietario dell’omonima casa editrice). Da quel momento in poi apriti cielo! Insulti, malignità sull’autrice e sull’editore, colpevole di aver tirato su una macchina stratosferica solo per far vincere “la parente” di turno.

Ebbene, dopo aver conosciuto di persona Lorena (sono stata io stessa a volerla a TempoLibro, una manifestazione indetta per celebrare la giornata internazionale del libro), dopo aver assistito alla presentazione del suo romanzo e, soprattutto, dopo averlo letto attentamente, vi posso confessare che…ebbene sì, broglio ci fu!

Ma non per quello che si è detto riguardo la presunta – ma inesistente – parentela tra i due, quanto per il fatto che se il premio prevedeva la premiazione di un esordiente (ma lo prevedeva???), allora siamo stati tutti imbrogliati perché Lorena non è affatto un’esordiente, ma una professionista attenta e curata della scrittura.

Nel suo romanzo, L’enigma del Battista, non vi è un solo cedimento. La trama regge su un’impalcatura solidissima e inattaccabile. Lorena è allo stesso tempo un muratore della parola (i mattoncini sui quali costruisce le fondamenta del testo, nonché le colonne e i muri portanti sono tirati su a regola d’arte), ma anche un architetto (la combinazione delle diverse parti dà luogo a un’alternanza perfetta e originale), e, infine, anche un designer (le metafore, le immagini, le descrizioni usate abbelliscono l’ambiente-romanzo in cui è calato il lettore). Insomma, per dirla breve, Lorena Marcelli è brava. Non solo riesce a muoversi in tempi molto diversi tra loro, si va per esempio dalla Galilea del 35 dopo Cristo all’Irlanda del XIII e XIV secolo per ritornare al presente, ma l’autrice riesce anche a spaziare tra luoghi lontanissimi e diversissimi tra loro (Irlanda, Scozia, Galilea e Italia) riuscendo a descriverli tutti in maniera davvero suggestiva e realistica. E non solo! L’autrice si muove agilmente anche tra generi letterari diversi (romanzo storico, thriller e romanzo moderno). E tutto questo senza un cedimento, perfetta in ogni tempo e luogo decida di ambientare la storia.

Ecco, la storia, vi accenno solo brevemente alla trama perché vorrei che foste voi ad assaporarla in prima persona attraverso la lettura di questo bellissimo romanzo.

La vita tranquilla di Alessia Lamb viene sconvolta dalla scoperta del testamento della nonna; Alessia ha un compito da portare a termine. Ma come fare e a chi credere? Nella ricerca della verità e “della Luce” sarà aiutata dalla sua amica Manuela, la prima a comprendere l’importanza dell’antico Grimorio tramandatole dalla nonna che, a sua volta, l’ha ricevuto in eredità dalle sue ave. Ma anche da due avvocati, il paterno Cole Miney e l’enigmatico Mark. Cosa lega Alessia Lamb ad Alice Keytler, la prima “strega” d’Irlanda?

Tra colpi di scena, vendette e verità insospettabili, Alessia intraprenderà un viaggio che la cambierà per sempre e che lascerà i lettori senza fiato.

Concludo dicendo che, se proprio dovessi trovare un difetto a questo romanzo, direi che risiede nei pochi capitoli dedicati alla storia di Alice. Lorena dà il meglio di sé quando sposta la sua narrazione nel passato, una narrazione che è viva, per nulla noiosa e che, anzi, definirei moderna e sensuale; si pensi alla bellissima descrizione del ballo di Salomè o alla sensualità selvaggia e ribelle di Alice.  Auspicando che nel suo prossimo romanzo l’autrice voglia immergere maggiormente il lettore nel passato (c’è nell’aria un sequel?), termino questa recensione invitando i lettori di Letterando, ma non solo, a intraprendere il viaggio alla scoperta di Alice, figura affascinantissima. E comunque sono sicura che in futuro sentiremo parlare ancora e più spesso di Lorena perché, ripeto, è davvero brava, chapeau!

Valutazione: *****

Anche i tovaglioli raccontano

Stefania Fiorin, scrittrice e promotrice dell'iniziativa.

Stefania Fiorin, scrittrice e promotrice dell’iniziativa.

Oggi ospitiamo una cara amica di Letterando che ci ha chiesto di mettere al corrente i nostri lettori riguardo un’interessante iniziativa chiamata Tovagliolo racconta.

Allora Stefania, ti va di parlarci della tua iniziativa? Ma prima una curiosità: come mai questo titolo particolare?

Ho chiamato la pagina di poesia che ho creato su Facebook: tovagliolo racconta.
Perché tovagliolo? L’ho sempre ritenuto un accessorio indispensabile, oltre a pulire bocche o mani importanti e meno, si è fatto carico di raccogliere tracce e firme a sigla di accordi importanti. Eccovi qualche esempio:
a) Ricordate la storia della firma di Zinedine Zidane su un tovagliolo? Ebbene, a distanza di anni Florentino Perez ha tentato lo stesso “colpaccio”. Sapete dove firmò? Non su carta bollata, bensì su un tovagliolo di carta Scottex che si trovava sul tavolo del ristorante.

b) Anche Steven Spielberg siglò a un accordo per 100 milioni all’ex Amy Irving, sempre grazie al tovagliolo di un ristorante.

c)E dopo Messi anche Falcao.

d)E la storia di Picasso? Lo sapete che una sera, un cameriere, intento a presentare il salato conto di un ristorante rinomato, si trova di fronte a un disegno fatto in quel momento su un tovagliolo dal famoso artista? E lo sveglio cameriere che fa? Ovvio che gli chiede di autografarlo!

e) E poi c’è chi lo usa per appuntare frasi, riflessioni balzate fuori all’improvviso. “Un tovagliolo può servire ad asciugare le lacrime o a farle cadere”, questo è il contenuto di un messaggio scritto su un tovagliolo dal compianto Mike Bongiorno.
Ci si può scrivere di tutto su di un tovagliolo, ce n’è sempre uno di carta o di stoffa a portata di mano e… di penna! Serve per non dimenticare. Ecco un angolo dove fissare quel che resta di una forte emozione, dove rendere visibili i pensieri apparsi nella mente il tempo di un flash.
Ho dato vita alla mia idea per dare spazio d’espressione agli appassionati di scritti poetici, la pagina social è visibile al pubblico e vi si accede su invito.
Da tempo constato che c’è bisogno di ritornare a far parlare il cuore, è indispensabile riscoprire che sotto tanta superficialità esiste l’essenziale; quando ci libereremo dal superfluo e dall’inutile, finalmente, respireremo poesia.
Il concorso gratuito a premi simbolici è la novità; partito da un mio colpo di testa si è trasformato in una vetrina di talenti tra i quali emergeranno quattro opere vincitrici scelte e votate dalla giuria formata da esperti.
Invito, chi vuole apprezzare, a visitare la pagina “tovagliolo racconta” e mettere il “mi piace” sul testo che emozionerà di più: https://www.facebook.com/groups/911926905486730/ TOVAGLIOLO RACCONTA

L’umanità del “mostro” nel romanzo La voce di Nero di Valentino Eugeni

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di Coraba Capuani

Qualche tempo fa, nella nostra rubrica Come si fa (cambia mestiere), abbiamo ospitato Valentino Eugeni, uno scrittore marchigiano che nella sua biografia si definisce: «un informatico irrazionale che si è dedicato per anni allo sviluppo di videogiochi e nutrito a pane e fantastico fin da quando ha memoria». Valentino è rimasto molto contento del nostro lavoro, tanto da omaggiarci di una copia del suo romanzo La voce di Nero con tanto di dedica e autografo. Finalmente, avendo trovato un po’ di tempo per leggere, possiamo ricambiare la cortesia di Valentino con una recensione del suo romanzo. Allora, iniziamo col dire che il testo abbraccia sia il genere del fantasy che la fantascienza. Protagonista del romanzo è Madeleine, una pittrice parigina che viene rapita e poi salvata da alcuni strani esseri. Da quest’incontro la donna scopre un mondo, o sarebbe meglio dire un sottomondo, a lei e ai più sconosciuto: una razza di umanoidi che da secoli convivono con il genere umano. Tra loro vi è Nero, un essere molto ambiguo che nasconde un terribile segreto. Ma anche la vita di Madeleine è un segreto per se stessa: chi era davvero suo padre? Il poliziotto e padre esemplare che Madeleine ha sempre conosciuto, o uno spietato “cacciatore”? Chi è davvero Nero? Vuole davvero aiutare Madeleine o, piuttosto, vuole salvare se stesso finendo così per perdere definitivamente l’anima?

Dallo sviluppo di una trama ricca di suspense e colpi di scena, Valentino offre ai lettori un affresco metaforico della società umana, un luogo fatto di ingiustizie sociali, di discriminazioni “razziali”, dove il “mostro” è il reietto della società, colui che deve essere bandito, relegato ai suoi margini (per volontà propria e altrui) e, per alcuni, vivisezionato nel fisico e nei sentimenti. È questa ricerca di razionalizzare l’ignoto attraverso la ragione che rassicura, eliminando e spiegando la diversità nell’altro, nel mostro o, in alternativa, lo scioglimento del problema attraverso la sua rimozione, attraverso cioè l’eliminazione fisica e la morte delle creature, il messaggio profondo che si cela nel testo. Il pregio di questo romanzo, infatti, è non solo la trama avvincente e per nulla banale, ma il tentativo che l’autore fa di rendere il “mostro” umano, di dargli dei connotati affini a noi e di rendercelo vicino. Per Nero si può provare odio, repulsione, ma a questi sentimenti negativi si affianca la pietà per un essere che ha patito come un umano, e che di quest’ultimo conserva le fragilità nonostante l’aspetto fisico.

http://www.ibs.it/code/9788867335497/eugeni-valentino/voce-di-nero.html

I personaggi ribelli di Cristiana Pivari

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di Coralba Capuani

Qualsiasi scrittore, anche l’ultimo degli scribacchini, sa quanto possano essere testardi certi personaggi, come si impongano, a volte anche contro la volontà di chi li ha creati, di fare, dire o comportarsi in tal modo piuttosto che in un altro. E hai voglia allora a imporre la volontà di scrittore: «io ti ho creato e tu mi devi obbedienza».

«Sì, figurarsi», paiono volerti dire certi personaggi, «tu mi hai ideato e messo sulla carta, d’accordo, ma adesso la vita è mia e me la gestisco io. E se ho detto che tizio non mi piace non cambierò certo idea perché nei tuoi progetti è scritto che è così che deve andare. Arrenditi: o cambi la trama o blocco tutto».

E a quel punto cosa può fare un povero scrittore se non arrendersi e dargliela vinta al personaggio/tiranno di turno?

Ma questi scontri di solito avvengono solo nella mente dello scrittore, immaginatevi invece se il vostro personaggio uscisse dalla pagina Word e si materializzasse a casa vostra: come reagireste? Forse pensereste di essere impazziti o quantomeno stressati per essere arrivati ad avere certe fantasie, ma se il personaggio si rivelasse proprio reale? Se anche gli altri lo vedessero? Vi immaginate vostra madre che beve il tè insieme al protagonista del vostro ultimo romanzo?

Ecco, questo è più o meno quanto accade nel romanzo Il numero 52 di Cristiana Pivari, edito da Edizioni della Sera, dove Matteo (lo scrittore) si trova a dover fare i conti con Valentina, ex-creatura di fantasia divenuta reale. A parte l’idea che trovo davvero originale, l’autrice, Cristiana Pivari, riesce non solo a mettere in luce i meccanismi mentali che davvero ogni scrittore sperimenta, ma attraversa i piccoli e grandi problemi della vita con leggerezza senza perdere però lo spessore dei contenuti. Non solo la sua pungente ironia non ha mai un cedimento, tenendo così sempre desta l’attenzione del lettore, ma il racconto, che all’inizio pare riallacciarsi al filone del metaromanzo, arriva poi a complicarsi sfiorando il poliziesco: chi ha ucciso il padre del protagonista?

È a questa domanda che il lettore cerca di trovare risposta in mezzo a una trama che si fa via via sempre più intricata,  ma allo stesso tempo divertentissima, piena di colpi di scena e situazioni kafkiane. Anzi, in molti punti pare che Kafka e Pirandello si divertano a rimbalzarsi la palla, che poi sarebbe la trama.  E così il personaggio-scrittore Matteo si trova a vivere delle situazioni che mai avrebbe pensato di vivere: un omicidio, l’arresto, una madre che si emancipa a tarda età, un’amante che poi diventa una cara zia, un’amica che diventa una fidanzata, un conoscente che diventa, pure lui, un quasi fidanzato, un editore bizzarro, una segretaria con una nuova identità e, infine, una scrittrice nella quale si cela (forse?) la vera autrice, nonché colpevole, di tutto questo immenso e spiritosissimo caos. E poi vogliamo parlare del coup de thêatre finale? No, non ne parliamo, lascio a voi il piacere di scoprirlo attraverso la lettura di questo bellissimo e originalissimo e-book. Un’unica raccomandazione però, se anche voi siete scrittori trattate con riguardo i vostri personaggi, non sia mai che un giorno vi si rivoltassero contro.

http://www.bookrepublic.it/book/9788897139508-il-numero-52/

Self-publishing? No, grazie!

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di redazione

Tempi duri per gli esordienti. Come se in passato fosse stato semplice, potrebbe contestare qualcuno. Certo, verissimo, la vita per gli scrittori esordienti non è mai stata semplice, solo che dopo aver letto quest’articolo molti rimpiangeranno i bei tempi passati a cercare un editore, barcamenandosi tra quelli che: «wow, che libro magnifico! Quanto ci dai per pubblicartelo?», e altri che, con metodi più sottili, avrebbero detto più o meno così: «fantastico, firma il contratto e dopo l’acquisto di un minimo di copie (mille o duemila giusto per essere sicuri) te lo pubblichiamo subito». E allora l’esordiente troppo in gamba per cadere in simili tranellucci, o troppo squattrinato – decidete voi – che fa? Si rivolge all’unico mezzo gratuito che gli permetta di pubblicare il suo “capolavoro” e avere almeno uno straccio di popolarità: l’auto-pubblicazione su Amazon. Ma purtroppo, cari scribacchini in cerca di affermazione, mi duole darvi una simile batosta (anche perché nella categoria succitata rientra anche la sottoscritta) ma tra qualche mese potrebbe non essere più possibile per un esordiente pubblicare sulla piattaforma Kindle di Amazon.

Vi giuro che all’inizio anch’io ho pensato a uno scherzo, ma se è vero quanto si vocifera in questi giorni in America, il rischio è reale e concreto.

Ma andiamo per ordine e cerchiamo di sbrogliare la matassa. Da sempre all’avanguardia, il mercato americano è stato il primo a scoprire le potenzialità del web per la diffusione dei libri, soprattutto di quelli self e in formato digitale. La risposta dei lettori statunitensi però è stata così forte che neppure i colossi dell’editoria se lo aspettavano. Solo che, vuoi per i prezzi contenuti, vuoi per le promozioni gratuite a cui un esordiente, per forza di cose, deve ricorrere, fatto sta che il fenomeno degli esordienti self ha iniziato a dar fastidio alle grandi case editrici americane. O forse sarebbe meglio dire al gotha degli scrittori professionisti? Spesso, insospettabili autori di best-seller hanno puntato il dito contro il fenomeno del self-publishing che andrebbe a intasare un mercato già in crisi con delle opere di scarsa qualità letteraria, togliendo così visibilità ai “grandi”. Vi risparmio il mio giudizio circa il danno che gli esordienti possano arrecare a questi poveri miliardari, ma se il malcontento all’inizio si era limitato a serpeggiare, ora pare che sia lo stesso Amazon che, non volendo perdere clienti molto più influenti di quattro miseri scribacchini, sia intenzionato a prendere provvedimenti escludendo dalla propria piattaforma non solo tutte le forme di auto-pubblicazione, ma anche le piccole case editrici; quelle che, per intenderci, non raggiungano un target minimo di vendite. Come a dire che alla festa, o al party, sono invitati solo le grandi e medie case editrici, gli altri che si arrangino pure. Questo almeno quanto “gentilmente” suggerito dai colossi dell’editoria americana, pena velate e non meglio definite minacce di ritorsione contro lo stesso Amazon.

Va detto che al momento si tratta solo di voci, ma la messa al rogo del self pare ormai prossima, entro l’estate, secondo gli addetti ai lavori.

Ovvio che ciò che preoccupa è se questo scellerato provvedimento possa estendesi anche al mercato italiano perché, anche se i grandi autori tendono a minimizzare, pare che il fenomeno dell’auto-pubblicazione inizi a dar fastidio anche alle case editrici nostrane. Al momento quella che si è espressa a favore del provvedimento sarebbe la Mondadori, supportata anche da alcuni celebri esponenti della sua scuderia, in primis Barbara D’Urso che, in una non proprio recente intervista, parlava del fenomeno in questi termini: «Non mi dispiace che un esordiente ricorra ad alcuni “aiutini” per acquisire visibilità, ma quando il fenomeno arriva a danneggiare i professionisti, allora bisognerebbe fermarsi a riflettere».

E come darle torto?

Ironie a parte, anche perché se l’ipotesi fosse reale ci sarebbe poco da ridere, noi di Letterando lasciamo ai nostri lettori la possibilità di commentare. Voi che ne pensate? Vi sentite danneggiati?

Continuate a seguirci perché seguiremo il fenomeno da vicino e, se proprio dovesse mettersi male, siamo disposti a scioperare, metterci dietro le barricate, o qualunque altra azione sia necessaria per far rinsavire le case editrici.

Sulla pelle delle donne

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Qualche sera fa mi è capitato di assistere a quanto di più crudele si possa attuare nei confronti di una donna. Mi riferisco alle terribili immagini del servizio mandato in onda dalle Iene e curato dalla bravissima Nadia Toffa, una donna coraggiosa che ha portato alla luce tanti misfatti, tra i quali quelli perpetrati nella Terra dei fuochi. Ma non è di inquinamento che si parlava nel servizio andato in onda giovedì 19 marzo, quanto della sporca guerra messa in atto da un manipolo di scriteriati che hanno deciso di invadere il mondo con la loro barbarie. Ovviamente, avrete capito, mi riferisco a tutti quei gruppi terroristici come l’Isis, Boko Haram ecc. Questi disgraziati, non contenti di invadere, distruggere monumenti e luoghi di culto, uccidere e sterminare, non trovano di meglio per mettere in atto la loro vigliaccheria se non rifacendosi nei confronti delle donne. Le rapiscono, le incatenano, le mettono dentro gabbie esibendole come capi di bestiame e poi  le vendono, dandole in moglie ad altrettanti scriteriati privi di ogni moralità. Queste donne, spesso bambine di sei o sette anni, sono costrette a diventare le loro concubine, di uno o di un gruppo, e sono soggette alle violenze più atroci tanto che molte, pur di non essere vittime dei loro soprusi, preferiscono il suicidio. Ma molte non ce la fanno, o sono troppo piccole per scegliere, come le bambine che spesso finiscono per morire dissanguate dopo gli stupri di gruppo. Interi villaggi sono stati rasi al suolo e le popolazioni non musulmane trucidate in questo modo atroce: gli uomini sgozzati, i bambini rapiti e portati nei campi di addestramento per farli diventare dispensatori di morte e le donne, come abbiamo detto, ridotte a schiave, vendute e stuprate. E in tutto questo l’occidente che fa? Chi si indigna, chi si ribella, chi alza la voce per queste ragazze? Nessuno. Dall’Europa e dall’occidente si leva solo un silenzio colpevole. Perché sì, cari amici di Letterando, non si è colpevoli solo per ciò che si fa, ma anche per ciò che non si fa, per l’indifferenza e per il silenzio. Noi di Letterando crediamo che una società civile non possa voltarsi dall’altra parte di fronte a queste atrocità, e per questo abbiamo deciso di reagire. Ma ci serve il vostro aiuto, piccolo magari, ma importantissimo. Se un sassolino scagliato contro una montagna non fa rumore, diverso è quando i sassolini sono cento, mille, duemila. Vi diremo di più su quest’iniziativa che dovrebbe partire dalla prossima settimana, per il momento vi invitiamo a condividere questa notizia, a denunciare questa situazione, a non restare zitte. Il sassolino che vi chiediamo di lanciare dalle vostre bacheche è un hashtag con la scritta “siamo tutte yazidi”, dal nome del popolo originario di queste ragazze e che è oggetto di un vero e proprio genocidio.

#siamotutteyazidi

#weareallyazidis

Qui sotto trovate il link del servizio delle Iene.

http://www.video.mediaset.it/video/iene/puntata/toffa-le-vittime-dell%E2%80%99isis_523321.html

Continuate a seguirci perché le iniziative che abbiamo in mente sono tante, ma abbiamo bisogno del vostro aiuto.

Otto marzo: noi non festeggiamo

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di Coralba Capuani

Domani è l’otto marzo, giorno in cui ricorre la festa della donna, ma noi di Letterando, che siamo appunto due donne, abbiamo deciso di non festeggiarlo. In quest’articolo vi spieghiamo il perché.

Crediamo che quest’occorrenza, nata come commemorazione di un evento tragico (il rogo di una fabbrica dove morirono molte donne perché, chiuse a chiave, non riuscirono a fuggire – ndr) non è una festa e non lo è mai stata. Forse all’inizio i motivi erano nobili, come quello appunto di esaltare il ruolo e l’importanza della figura femminile nella società, ma via via questa ricorrenza si è trasformata in una festa commerciale i cui unici benefici sono rappresentati dagli introiti maggiorati dei fiorai, pizzaioli, ristoratori e spogliarellisti. Nulla di male, in fondo, se nella realtà di tutti i giorni  il ruolo della donna fosse parificato a quello dell’uomo, cosa che, come sappiamo tutti, così non è. E, anzi, aggiungerei anche che è ben lontana dal vero. Ma quello che ci spinge a non festeggiarla proprio quest’anno, è l’aumento esponenziale delle violenze e delle discriminazioni perpetrate ai danni del genere femminile, tanto che da qualche anno a questa parte si è ricorso alla coniazione di un nuovo termine, il femminicidio, per descrivere questo fenomeno. E a indignarci non è solo la violenza o l’omicidio di tante povere donne la cui unica colpa è l’essersi innamorate dell’uomo sbagliato, l’uomo del “mia o di nessun altro”, ma soprattutto certe discutibili sentenze che offendono la memoria di queste povere donne rendendole doppiamente vittime: del fidanzato/marito/compagno e dello Stato. Non vogliamo entrare in merito a sentenze di cui non conosciamo i risvolti, ma come non ci si può indignare di fronte alla presunta “mancanza di crudeltà” di Parolisi che, pur essendo stato ritenuto l’esecutore dell’omicidio della moglie Melania Rea, viene assolto da tale aggravante perché:

  1. Visto che trattasi di omicidio d’impeto il numero delle coltellate (trentacinque!) non costituisce aggravante
  2. La bambina non ha risentito dell’evento essendo troppo piccola
  3. Il fatto che l’uomo non si sia pentito subito dopo e non abbia soccorso la moglie è cosa normale visto che il suo intento era quello di ucciderla

E che dire poi del non luogo a procedere nei confronti di Antonio Logli, marito della povera Roberta Ragusa che, non solo è stata con tutta probabilità uccisa, ma di cui non si è neppure trovato il cadavere. Non aveva diritto almeno a un processo atto ad approfondire meglio i fatti? A quanto pare no, Roberta è sparita, peggio per lei, fine.

Forse a qualcuno potrebbe consolare l’idea che questi siano casi eccezionali ed estremi, cosa che non è visto il numero crescente di donne uccise, m in ogni caso a noi di Letterando non consola sapere quanto stia regredendo il ruolo che la donna ricopre nella società odierna. Se pensiamo alle battaglie per la parità degli anni ’60, quanto è rimasto di quel fervore di uguaglianza? Quanto ci siamo svendute solo per il raggiungimento di una mera parità sessuale? Quanto, dei nostri principi di uguaglianza, di valorizzazione dei nostri talenti, della realizzazione dei nostri sogni, si è perso per strada? Quanta disuguaglianza, misoginia e svilimento ci sono in certe raffigurazioni della donna considerata solo involucro, puro corpo senza anima?  È questa la libertà per la quale hanno lottato le nostre mamme?

No, noi di Letterando non crediamo proprio. E non crediamo proprio che si possa festeggiare quando ci sono ragazze rapite da estremisti islamici e mai tornate a casa (#bringbackourgirls continueremo a gridare dalle nostre pagine virtuali!), fin quando sarà permesso l’abuso delle spose bambine,  l’infibulazione, gli stupri su autobus affollati in India, finché nel lavoro la maternità sarà considerata un problema, finché le donne saranno considerate un richiamo per vendere merci, finché non saremo considerate per ciò che siamo e facciamo invece di perdere tempo a chiederci se sia meglio chiamarci ministro o ministra.

Il mare e i suoi misteri nei romanzi d’avventura di Roberto Modolo

foto Roberto Modolo

Ciao a tutti!! Mi chiamo Roberto Modolo, ho 53 anni (meno pochi mesi…) anche se preferisco leggerli al contrario (35). Tralascio le vicende professionali per non rattristare chi legge… Pensiamo positivo e parliamo delle mie passioni: il mare e la scrittura! La lettura non la menziono neppure perché convivendo con lei praticamente da quando avevo sei anni, la considero una cosa intrinseca mia, che fa parte di me come l’aria che respiro.

Questo mi ha portato ad interessarmi di transatlantici (da non confondere con le navi da crociera…) ed in genere di tutto ciò che riguarda il mare. Era inevitabile che nel momento in cui, raggiunti i 40 anni, prendendo la decisione di dedicarmi ad i miei sogni giovanili mai attuati come la scrittura, io abbia collocato i primi due romanzi in ambientazioni marine.

“Krill” è stato il mio romanzo d’esordio, un’emozione stupenda come fosse il primo figlio. copertina 2 Roberto

Ambientato principalmente nella natura incontaminata dell’Alaska, è un libro d’avventura che narra la ricerca da parte di Christian, un giovane alla ricerca dei genitori misteriosamente scomparsi e che si ritroverà dentro un’avventura inaspettata, pericolosa e piena di colpi di scena. Insomma, a detta dei tanti lettori che l’hanno letto, tiene incollati alla sedia (o poltrona, o letto….) fino all’ultima pagina!!

Il secondo romanzo che ho scritto, “Il tesoro della Vera Cruz”, è anch’esso un romanzo d’avventura che vede protagonista inconsapevole un galeone affondato nel 1524. I protagonisti (due fratelli ed una loro “collaboratrice”…) rischieranno letteralmente la pelle più volte nel tentativo di trovare il relitto e recuperare il prezioso carico, ma non solo… Lascio al lettore il gusto di scoprire le sorprese contenute nel testo, anticipando solo che l’azione si svolge tra la Florida ed il mar dei Caraibi fra imprevisti e colpi di scena ad un ritmo incalzante.copertina Roberto M.

Entrambi i romanzi sono di fantasia, ma i luoghi sono accertati e verificati. Tutto ciò che non ha a che fare direttamente con i protagonisti è reale ed esistente. Quindi quando do informazioni sui tempi di trasferimento aereo da una località all’altra, tappe di decompressione e così via, sono dati preventivamente studiati e reali perché mi sembrava importante dare un tocco di realtà a delle storie “inventate”.

Al momento è in corso di stesura un terzo romanzo, dal titolo provvisorio “Il lago”, ambientato questa volta non in ambiente marino ma lacustre. È ancora presto per dare dei dettagli ma la sua scrittura mi sta coinvolgendo molto anche se, purtroppo, sono sempre condizionato dalla perenne scarsità di tempo…

Ringrazio il blog “Letterando” per lo spazio che mi ha concesso e vi rimando alla mia pagina Facebook  Krill e il tesoro della Vera Cruz – Roberto Modolo (https://www.facebook.com/robertomodoloscrittore?fref=ts) per sapere di più sui miei libri e dove potete trovare articoli di giornale, interviste, booktrailer e foto di eventi e, perché no, anche per lasciare magari un segno del vostro passaggio!!

Grazie a tutti!! Ciao da Roberto

Grazie a te Roberto. 🙂

L’universo fantascientifico di Francesco Giordano

foto a

L’esordiente che ospitiamo oggi si chiama Francesco. Ciao Francesco, ti va di presentarti ai nostri lettori?

Beh, non c’è molto da dire sul mio conto, sono un semplice ragazzo che ha la passione sia per la lettura che per la scrittura. Altre passioni sono il cinema e i videogiochi. Soprattutto questi ultimi, visto che proprio da bambino giocando alla serie Mega Man X è nata in me la passione per la fantascienza. Anche il cinema mi ha aiutato a coltivare questa passione, potrei citare milioni e milioni di film del genere che mi hanno aiutato, ma evito per non scrivere troppo!

Hai partecipato a qualche concorso letterario prestigioso?

Non ho avuto molte esperienze in verità, ho partecipato ad un concorso letterario (Cinquantesimo Marcelli) arrivando anche alle finali e superando due selezioni. Anche se non ho vinto, devo dire che sono comunque soddisfatto, non solo per come si è svolto l’evento, ma anche perché devo ammettere di aver inviato al concorso una versione del manoscritto ancora non completa e con qualche errore. Quindi sapere di aver superato due prove ed essere arrivato comunque alla finale non può che rendermi felice.

Come ti sei appassionato alla scrittura?

La passione della scrittura è nata come credo sia nata un po’ a tutti, leggendo, ma non solo. La fantasia ha giocato un gran ruolo, caratteristica che ho acquisito da bambino come succede a tutti, ma che non ho ancora abbandonato. Già da pargolo, giocando con i giocattoli o ai videogames, avevo scritto una storia sui miei due personaggi preferiti. Certo non vi aspettate un bambino prodigio, perché rileggendo quelle pagine mi scappa sempre un sorriso, visto che sono piene di errori, come uno si aspetterebbe. Ma la mia infanzia mi ha anche donato un’altra passione, quella della fantascienza, infatti in quel periodo ero attratto dai robots, che (guarda caso!) sono diventati i protagonisti del mio primo romanzo intitolato Crisi di Metallo. Ma questa opera (se così si può chiamare!) offre anche un’altra passione che è nata durante l’adolescenza, ovvero quella per la scienza e la fantascienza.

Quindi il tuo romanzo potrebbe essere incluso nel filone fantascientifico?

Dopotutto sì, si tratta di un racconto di fantascienza con alcune tecnologie e invenzioni interessanti. Infine nel libro è presente anche un altro argomento a cui tengo particolarmente e a cui mi sono interessato nei periodi post-adolescenziali, l’anti-scienza.

Ti va di parlarci del romanzo in maniera più approfondita?

In sintesi questo mio primo libro è una sorta di “unione” delle mie fasi di crescita, prendendo spunto da tutto quello che mi appassiona. I robot sono presenti e giocano un ruolo fondamentale, ma più a livello filosofico che pratico. È per colpa loro infatti che ha inizio una nuova crisi nel mondo del lavoro. Mentre la lotta contro la scienza e la tecnologia è impersonata dal gruppo degli “Anti-Robotisti”, che desiderano l’eliminazione delle macchine. Per quanto riguarda la storia del mio romanzo mi fermo qui, perché sennò rischio di dire più del dovuto!

foto libro

 Ci hai incuriositi e vorremmo sapere di più ma rispettiamo le tue scelte. Una cosa però ce la devi dire, perché la scienza e la fantascienza hanno un ruolo così forte nei tuoi scritti?

La fantascienza mi ha anche dato un’altra passione, quella per la tecnologia o comunque la scienza in generale. Soprattutto sulle teorie sulle origini dell’universo, universi paralleli e quant’altro. Dopotutto in “Crisi di Metallo” è presente come argomento quella che conosciamo con il nome di “anti-scienza”, visto che ci sono gli Anti-Robotisti che vogliono fermare il progresso tecnologico. Ma il loro piano è più ampio, in questo modo ho anche avuto modo di introdurre un elemento “estremista” che è sempre attuale in ogni argomento. Infatti l’estremismo e l’antiscienza sono alcuni degli elementi presenti che mi hanno spinto a scrivere il mio romanzo. Il tutto ispirato dal presente, basta vedere come sempre più la scienza viene letteralmente presa a schiaffi e non rispettata in più modi, idem per la tecnologia, con giovanissimi che già a quattordici anni iniziano a dire o a scrivere su internet “ai miei tempi!”. Cosa che reputo molto grave, ho quasi 25 anni e sinceramente sono ancora curioso sul futuro e su quello che saremo in grado di fare. Ma vedere coetanei o persone più giovani di me non nutrire interesse verso il futuro, mi amareggia. Dopotutto dobbiamo ringraziare per tutte le comodità che abbiamo e non dire cose tipo “eh, da quando ci sono gli smartphones!”, perché siamo fortunati a poter fare tante cose cliccando uno schermo. Siamo fortunati ad avere cure che prima non c’erano e ancora di più nel vedere come la tecnologia sta aiutando a risolvere problemi come la cecità. Anche per questo amo scrivere di fantascienza, per esplorare le infinite possibilità che l’umanità potrebbe sfruttare in futuro.

Parlaci dei tuoi prossimi progetti, a cosa stai lavorando?

Anche il mio prossimo romanzo, che sto ormai per completare, prende spunto da questi argomenti, soprattutto l’estremismo e l’antiscienza. Il titolo del mio secondo libro è “Le Fiamme della Fenice” (anche se potrebbe cambiare) e la trama si divide in due parti, la prima è moderna/ distopica, la seconda post-apocalittica. Prima che pensiate “ah, il solito romanzo fatto per copiare Hunger Games/1984/Il Mondo Nuovo” devo fare una precisazione, la società utopistica creata non ha nulla a che fare con le suddette opere, visto che sarà causata da ben altro. Anche per la parte post-apocalittica, non vi aspettate zombie, invasioni aliene o virus strani perché sarete fuori strada. Per ora voglio ancora mantenere il segreto sulla trama… Posso solo dirvi che si incentrerà molto su bugie e vendetta, le due cose che spingeranno il protagonista a dare vita ad un qualcosa che non sarà più in grado di controllare.

Grazie, non mi resta quindi che salutare la redazione di Letterando per avermi offerto  l’occasione di farmi conoscere, ma saluto anche tutti coloro che leggeranno questo articolo! Se volete sapere di più di me, del mio racconto potete raggiungere la pagina Facebook dedicata a Crisi di Metallo che troverete a questo link https://www.facebook.com/crisidimetallo.

Nella pagina troverete anche alcuni racconti brevi e gratuiti che sto pubblicando, quindi se siete appassionati di fantascienza potete seguire la mia nuova serie che sto scrivendo, intitolata “Project Hydra-8”!

Usciamo da questa chiacchierata con molte domande e curiosità che andremo sicuramente a colmare insieme ai nostri lettori attraverso la lettura del tuo romanzo. Per ora ti ringraziamo augurandoti buona fortuna. 🙂

Intervista quasi seria a Cecile Bertod, autrice del romanzo di successo “Non mi piaci ma ti amo”

copertina cecile

di Coralba Capuani

Cari amici di Letterando, come avrete notato questa settimana è stata dedicata interamente al debutto di una nostra amica, Cecile Bertod. Qualcuno si ricorderà che abbiamo avuto il piacere di ospitare Cecile nella nostra rubrica dedicata agli esordienti “Come si fa (cambia mestiere)”, articolo che tra l’altro abbiamo riproposto proprio a inizio settimana. Nel dire che ci sentiamo profondamente orgogliose di averla ospitata nella sua fase da “sconosciuta”, un po’ potremmo affermare alla Pippo Baudo: “Cecile Bertod? Cecile Bertod l’abbiamo scoperta noi!”, ecco, a parte l’orgoglio di averla avuta tra i nostri, la felicità di vedere un nostro esordiente spiccare il volo con le sue tenere alucce, a parte tutto ciò dicevo, è sempre bello sapere che un esordiente ce l’ha fatta, perché è un messaggio positivo, un’esortazione a non mollare, o a provarci fino in fondo prima di dire che sì, forse il mestiere di scrittore non fa per te. Che poi non significa che bisogna smettere di scrivere, anzi, ma solo che nel nostro caso non possa diventare un mestiere, tutto qui. Ma digressioni a parte, ritorniamo dalla nostra Cecile approfittandone per rivolgerle alcune domande.

Allora Cecile, raccontaci tutto, come ti ha contattato la Newton?

Oddio. Una scatola di malox per la prima mail, due per la seconda e così per due mesi, tempo intercorso tra il candido “Che ne dici di farci leggere il manoscritto?” a “Ok, abbiamo deciso di prenderlo!”. Ho pensato seriamente di restarci secca. Già che la mia gastrite non mi dà tregua normalmente, figuriamoci. Ma è carina, quindi ve la racconto. Dunque, ero tipo alla seconda settimana dall’uscita di Wife with benefit e continuavo a girovagare per i corridoi di casa in pigiama, con gli occhi sbarrati e un rivolo di bava che mi colava sul mento, ripetendo “Non ci credo… non ci credo… non ci credo”. No, perché quel libro, che per me era un libricino da niente, resisteva in prima posizione senza che io avessi fatto assolutamente nulla per farcelo arrivare. Disfattista come sempre, attendevo il momento in cui mi si sarebbe scagliata addosso l’intera schiera armata degli angeli celesti, perché per un risultato simile, le Parche potevano aver previsto solo risvolti drammatici. Non c’era altra spiegazione possibile. E così niente, mi parte internet. Perché va aggiunto che vivo tra le pecore. Siamo io Heidi e Bell e Sebastien che fanno ciao alle pecorelle. Avere la linea qui è un po’ come ricevere un messaggio del Messia. Provoca lo stesso stato di fibrillazione, barra adorazione, barra manifestazione di totale sottomissione delirante. Ero depressa. Terribilmente depressa. Perché, cazzo, possibile? Ero prima e non potevo andare a controllare la classifica ogni tre secondi per accertarmi non fosse stata un’allucinazione da peperonata! E così costringo mio padre a portarmi in città, dove grazie a Dio ora abito, per passare in biblioteca. La scusa era che mi servivano dei documenti importantissimi per un concorso, la realtà era che iniziavo a migrare verso l’ictus, quindi era proprio il caso di controllare le vendite su KDP. O quella o il ricovero. Entro e, casualmente, vado sulla mail. La leggo e… E trovo il messaggio della Newton di cui, vi giuro, non ho afferrato nulla. Niente. L’ho letto otto volte e, lo so, allucinante, non ho neanche capito per che libro mi fosse stata mandata. Il mio cervello è andato letteralmente in panne. Non immaginavo. Chi? Ma io? Una CE? Ma scherziamo? Poi quella dannata libreria va anche a tempo, perciò ho dovuto chiudere tutto per lasciare il posto a un altro. Sono tornata in macchina strisciando. Sembravo reduce di un cataclisma.  Non vi dico, catatonica. E da quel momento inizio a fare una serie di figuracce impressionanti. Sembrava tutto coalizzato contro di me. Anche lo shampoo due in uno della Panten aveva smesso di collaborare. Perché? Perché la linea che andava e veniva, a me che si annebbiava la vista appena leggevo “Newton”, mia nonna che continuava a ripetermi “ma quando inizi a lavorare?”. Poverina. Il concetto di royalty le sfugge. E la cosa più vergognosa è che facevo strafalcioni allucinanti. Tipo una volta in una mail di risposta ho scritto vorrei “trafugare ogni dubbio” invece di “fugare”. Capite? E me ne accorgevo solo dopo aver premuto invio, con mio padre che si scioglieva in brodo di giuggiole. Mi trovava riversa sulla tastiera che prendevo a testate lo spigolo del desktop e continuava a ripetere “ti rendi conto che adesso ti scrivono che sei una capra e non ti vogliono più e anzi, peggio, strappano il contratto, ti bannano, chiamano Amazon e gli dicono di cacciarti?”. E rideva come un disgraziato e io giù di malox, giù di dicetel a stramaledire il giorno in cui avevo deciso di mettermi a scrivere.

E ci sono voluti due mesi. Due mesi dalla prima all’ultima mail. E io lì, a soffrire… Sigh. Che brutti ricordi XD.

Certo che questa ragazza è proprio forte, vero letterandini? (neologismo appena coniato per designare i nostri aficionados). Non so voi, ma ogni volta che racconta le sue disavventure, anche su Facebook, a me scappa una sonora risata. Non solo una in verità…

Ma senti Cecile, non per essere malfidati, ma a noi questa storia delle grosse case editrici che vanno in giro su Amazon a cercare gli esordienti quando, spesso e volentieri, neanche li leggono i manoscritti che gli invii, insomma, è proprio vero che ti hanno scelto “nel mucchio” dei self? O piuttosto è una delle tante bufale che vogliono rifilarci, tipo quella del blog?

 

Direi di sì. Io non ho mai spedito niente. Ho rinunciato presto alla pratica sadomaso dell’invio delle bozze. Sono troppo fragile e non guadagno abbastanza per mantenere una CE, pagando per le mie pubblicazioni.

Non hai mai pensato a uno scherzo? No, perché io non ci avrei mica creduto…

Non lo so. In realtà non ho pensato. Lo scherzo no, perché c’era tutto. Numeri di telefono, intestazioni. Era difficile.

«Come ti sei sentita quando te lo hanno detto?»

Male. Terribilmente. Il mio pensiero fisso è stato: ma poi tipo nonna scopre che ho scritto “clitoride” a pagina 140? Ma tipo mia madre poi lo legge? Ma offrono asilo politico in Polonia?

Beh, immagino sia un po’ il pensiero di chi pubblica il suo primo romanzo. E comunque sarebbe interessante vedere le reazioni dei tuoi, soprattutto quelle di tua nonna, perché io sono una sua fan, sappilo! 😀 Tornando serie, sbirciando il tuo blog (http://www.cecilebertod.it/products/non-mi-piaci-ma-ti-amo-copertina-provvisoria-ed-newton-compton/), che tra l’altro è davvero carino, ho notato che hai scritto molti libri. Ti va di parlarcene brevemente?

 

Ah, be’ sono grafomane. A ognuno la sua malattia. Per lo più rosa. Di norma chick lit, qualche volta erotico. Un solo storico, ultimato qualche giorno fa. Ogni tanto mi vengono idee per nuove storie e parto in quarta. Non è detto che riesca a finirle. Sul sito ho messo solo quello che in qualche modo è stato ultimato o su cui sto lavorando attualmente. Di questi per ora ho pubblicato Wife, che per l’appunto esce il 26 con la Newton con il titolo Non mi piaci ma ti amo, poi c’è il Gangster dei miei sogni, una commedia degli equivoci che credo piaccia solo a me, ambientata a San Francisco. Una sorta di rivisitazione del film Oscar con Silvester Stallone, per chi l’ha visto. Poi c’è Solo con te. Il libro di cui mi vergogno di più. È un erotico molto cupo. Una donna che si divide in due: di giorno una semplice e introversa impiegata, di notte una spogliarellista di un club privato. Poi c’è L’assistente ideale. Un libricino che adoro. Una ragazza svampitissima costretta a fare da accompagnatrice per una settimana, fingendosi una supermodella supergnocca. E poi c’è il fantasy. Vabbè, ma quello davvero non penso l’abbia letto nessuno. Sigh. Gli altri non li accenno, anche perché sono inediti e io di solito finché non pubblico considero sempre tutto in itinere. Oggi è così, domani potrebbe essere tutt’altro. 😀

retro copertina

A parte la fama, 😀 cosa ti aspetti da questa nuova avventura?

Valanghe di insulti. Serio. TUUUU COME HAI OSATOOOOO…

Ho già preparato una mensolina con gli ansiolitici, gli antidepressivi, i tranquillanti da banco.

Esagerata! Sono sicura che andrà benissimo invece. E i tuoi progetti futuri? Stai già lavorando al prossimo romanzo?

 

Eh, sì. Finito una settimana fa lo storico, mi sono rituffata nell’erotico. Questa volta ancora più cupo, ancora più zozzo. Compenso le scarse attrattive dei miei partner con la penna. Almeno non fa ingrassare.

Oh, mio Dio! Non facciamolo sapere a tua nonna questa cosa dello zozzo però! 😀 Scherzi a parte, per concludere questa lunga chiacchierata, cosa consiglieresti a uno scrittore esordiente sul punto di mollare?

 

Cambiare. Se non sta andando, vuol dire che c’è qualcosa che non va. Non è sempre facile capire cosa, perciò bisogna secondo me mettere un bel punto sul vecchio e rinnovarsi totalmente. Io, per dire, sono passata dal fantasy al rosa. Certo, con questo non vuol dire che debbano scrivere tutti rosa. Però un cambio di genere magari può aiutarci a staccare. A rivedere, ribilanciare, riconsiderare. Oppure nulla, se proprio non è cosa non è che si deve per forza scrivere. Io la vedo così. Finché dura bene, se non dovesse più riuscirmi, esistono tante altre cose, altri hobby, altre possibilità. Adoro viaggiare, potrei mettermi un sacco in spalla e diventare una blogger che intasa Youtube di video idioti di me che mangio bruchi in Tibet.

Che visione orribile!!! 😀 Allora buona fortuna Cecile, e che le stelle siano con te! Ops, mi sono confusa, questo è il motto della maga, volevo dire, in bocca al lupo e…in bocca al lupo! 😀

“Sinossi” in video di “Non mi piaci ma ti amo” di Cecile Bertod.

Che noi di Letterando siamo personcine un po’ originali ve ne sarete accorti da tempo, ma che ci venga in mente di realizzare un vide-sinossi, non un booktrailer, attenzione!, ma una sinossi per immagini vera e propria, beh, ve lo sareste mai aspettato? 😉

Ecco il corpo del reato, la sinossi in video del romanzo “Non mi piaci ma ti amo” di Cecile Bertod. Disponibile in e-book dal 16 febbraio, libro dal 26. Non è che poi non lo comprate e ci fate fare brutta figura, eh?

La puntinite pustolosa.

pois

di Coralba Capuani

Oggi Letterando vi parlerà di una malattia gravissima che affligge l’esordiente almeno una volta nella vita. Vi avverto che il tema è un po’ delicato e non adatto a tutti; solo gli stomaci forti potranno sopportare la vista dei ributtanti sintomi della malattia.

Perciò se siete anime sensibili vi invito a leggere l’articolo con cautela, magari tenendo accanto a voi una bacinella di plastica o dei fazzoletti di carta, non si sa mai, per ogni evenienza.

Il morbo si presenta nella sua fase acuta soprattutto in adolescenza, e si diffonde grazie all’utilizzo di diari dove i giovani appuntano i loro pensieri in erba. Qui, data la confusione che annebbia ancora le loro menti in fase di formazione, si crea il sostrato che diverrà l’habitat ideale per la proliferazione di questo pericoloso virus. In questa fase poi, come ho anticipato sopra, la malattia si presenta nella sua forma più grave, con sintomi molto evidenti; le pustole puntinate proliferano in maniera esorbitante crescendo in maniera direttamente proporzionale alla confusione del pensiero che si vuole esprimere.

Passata questa fase il morbo si attenua, ma solo leggermente. Infatti in alcuni soggetti la malattia permane, seppur in maniera più lieve, anche molti anni dopo la fase adolescenziale.

Non vorrei che le mie parole a questo punto allarmassero le madri italiche, perché non si tratta di un male incurabile, il rimedio c’è, e non è neanche troppo doloroso. Per guarire da questo morbo bisogna seguire attentamente questa posologia:

  • leggere almeno un buon libro al mese
  • esercitarsi a lungo nella scrittura
  • farsi seguire da un bravo professore (scrittore)

Vedrete che seguendo questi semplici consigli la malattia verrà presto debellata. Per concludere voglio elencare i sintomi del male in modo che possano essere tempestivamente riconosciuti e trattati.

Ecco un esempio di come si presenta la malattia in adolescenza.

Caro diario,

oggi ho incontrato Francesco a ricreazione…………. Più lo guardo e più mi sembra bono……. Peccato però che sta sempre attaccato a quella cozza di Simona (secondo me ci sta solo perché gli fa copiare i compiti in classe………….). Ma appena vado dall’estetista mi faccio avanti, voglio vedere poi se sceglie me……..o lei…………………………….

Ecco invece come si presentano i sintomi in una persona matura e già in via di guarigione.

Monica prese l’autobus al volo pensando: «meno male che ce l’ho fatta….se no chi lo sentiva il capo..»

Poi, una volta preso posto, aprì il giornale sulla pagina dedicata agli spettacoli, «vediamo cosa c’è stasera in tv..», si disse pregustando un programma alternativo con il suo fidanzato….

Come potete notare la differenza è netta. Pur rimanendo alcuni sintomi, essi tendono tuttavia ad attenuarsi, mostrando che il soggetto è in via di guarigione. Si noti ad esempio la lotta tra anticorpi e virus che spiega l’oscillazione tra i due e massimo cinque puntini. In seguito però, dopo vari cicli curativi, il soggetto si assesterà sui tre puntini classici che, manifestandosi di tanto in tanto, rientrano tranquillamente nella norma.

Fabio Postini e il suo mondo ucronico

Fabio Postini foto
«Salve, posso approfittare delle interviste marzulliane?», esordisce il nostro nuovo ospite della rubrica esordienti. Ma certo che sì, gli abbiamo subito risposto noi di Letterando, con chi abbiamo il piacere di parlare?

Mi chiamo Fabio (Phab) Postini, e scrivo.

Ciao Phab, dicci qualcosa in più su di te: di dove sei, quanti anni hai…

Vivo a Sarzana, letteralmente a cavallo tra la Liguria e la Toscana, in quella che per definizione è la Lunezia, la ventunesima regione. Ho trentasette anni. Nel tempo mi sono occupato di insegnamento, grafica, pubblicità, illustrazione, fumetti, scrittura, critica fumettistica, correzione di bozze, impaginazione, tipografia ed editoria. Oggi preferisco avere una vita più tranquilla e limitarmi a scrivere.

Bene, adesso che le presentazioni sono state fatte toglici una curiosità: perché ci hai contattato?

Beh, prima di tutto perché ho dato un’occhiata alla vostra rubrica del “Come si fa (cambia mestiere)” e l’ho trovata simpatica, perciò ho pensato potesse esser piacevole esservi ospitato a mia volta. E poi perché mi sembrava un ottimo canale per portare a conoscenza il maggior numero possibile di lettori del progettino che ho in mente.

Siamo curiose: dicci tutto!

Il romanzo di cui vi voglio parlare, Vita facile ha un carburatore, rappresenta l’inizio di un ciclo a cui sto lavorando da moltissimo tempo. Molti seguiti sono già pronti (intendo proprio conclusi, dall’editing all’impaginazione) ma non ancora il secondo (mi capita di scrivere in ordine sparso, dato il non diretto collegamento delle mie storie: stessi personaggi, stessi ambient, trame che evolvono ma storie autoconclusive), ed ecco il motivo per cui ancora è in solitario e pubblico racconti “a parte” su Facebook. Ma manca pochissimo, giuro!  🙂

Quindi se i lettori di Letterando volessero leggere quel che scrivi dovrebbero visitare la tua pagina Facebook?

Anche; diciamo che attualmente è possibile leggere il mio primo romanzo pubblicato su Amazon (http://www.amazon.it/gp/product/B00G4CM718?ie=UTF8&at=aw-android-pc-it-21&force-full-site=1&ref_=aw_bottom_links ) oppure brevi, si fa per dire, raccontini pubblicati alla pagina Facebook  https://m.facebook.com/phabchescrive?ref=bookmark , nata appunto per raccontare “in solitaria, senza brusio di fondo”. I racconti in questione, seppur anch’essi autoconclusivi, sono di fatto i capitoli di uno dei prossimi libri. Invito tutti ad andare ad assaporarlo.  🙂

La pagina Facebook è ovviamente anche punto d’approdo per seguire l’andamento delle pubblicazioni della serie. Entrambe le storie visionabili hanno un retrogusto di fantascienza, ma sottile sottile sottile, spesso non ci se ne accorge neanche fino a che non è troppo tardi (e spesso nemmeno allora). Più che altro sono intrisi di umorismo, dialoghi marcati o descrizioni interiori. Quello che racconto, quasi sempre, è una interiorità che non fa parte di quello che noi tutti amiamo mostrare a chi ci circonda, ma che in tutti è presente e ci rende unici.

Parlaci in maniera più specifica del libro (il romanzo già pubblicato), di cosa tratta?

Vita facile ha un carburatore è la prima storia di una serie, di lunghezza ancora indefinibile. Tengo a precisare, attenzione, che NON è una saga: ogni libro sarà totalmente e perfettamente leggibile a sé stante. In pratica se leggi il secondo senza aver preso il primo non ti perdi nulla e lo comprendi ugualmente alla perfezione, ma se li leggi entrambi acquistano valore di sottotrama. Tuttavia è  proprio nel contesto di serie che l’opera prende forma, con sottotrame fitte, particolare attenzione alla continuity  (termine che nelle opere di finzione si riferisce alla coerenza e la non contraddittorietà nello svolgimento e sviluppo di eventi, situazioni e vite dei personaggi – ndr) crescita di personaggi e situazioni.

copertina Fabio Postini
Sappiamo che c’è una particolarità nelle tue storie, ce ne vuoi parlare?

Vi ringrazio per avermelo chiesto. Nucleo centrale  delle storie, infatti, oltre al protagonista stesso (Vincent) è il suo tempo, il suo mondo, la realtà che lo circonda.
La storia infatti è ambientata nel 2025, ma è un 2025 diverso da quello che potrebbe mai essere il nostro; è quello di un mondo ucronico (sostituzione di avvenimenti immaginari a quelli reali di un determinato periodo o fatto storico, come per es., la situazione europea se Hitler avesse vinto la guerra – ndr) nel quale alcuni piccoli particolari storici si sono svolti diversamente da come li conosciamo, e che hanno iniziato a manifestare le differenze maggiori in questa realtà fittizia, a partire dall’inizio del nuovo millennio. È in questo contesto che si crea il 2025 di Vincent, una realtà differenziata che resta comunque contagiata dagli eventi salienti del nostro mondo reale, e dai quali crea situazioni differenti.

Il mondo che racconti è quindi sostanzialmente un mondo immaginario.

Quando si inventa una storia ci muoviamo sempre in un mondo immaginario, che può essere più o meno differente da quello reale. Nel mio caso lo è solo un pochino: gli Stati Uniti non sono più una grande potenza economica, l’euro non è mai stato introdotto ma ci sono gli ecu, la conformazione politica di alcuni stati è cambiata, e le città sono più grandi e strutturate diversamente. Ma le auto vanno ancora a petrolio, si continua a litigare con sistemi operativi obsoleti e ci sono sempre i reality show e la crisi. È un mondo con seri problemi, ma che si è imbambolato dietro il gossip, le mode e la televisione. Non troppo diverso dal nostro, quindi.
Però, per rispondere in maniera più precisa alla vostra domanda, diciamo che proprio per questa natura ucronica si tratta chiaramente di una serie prevalentemente di fantascienza, anche se con tendenza multi genere: potrà, quindi, nel tempo, spaziare dal giallo al fantasy, dall’umoristico all’horror, dal gotico al supereroistico, financo sfociare nel rosa e nell’introspettivo. Questo primo libro stesso è soprattutto un’opera di fantapolitica e fantaeconomia, generi appetibili solo per grandi appassionati – me ne rendo conto – ma che mi servivano per introdurre il mondo stesso. Già il secondo, che uscirà sicuramente entro l’anno, avrà tendenze più fantasy, rosa e introspettive. Inoltre, essendo un mondo “nuovo” anche per il protagonista, egli cresce interiormente nel mentre lo scopre (e lo lascia scoprire a noi), lasciando almeno ai primi titoli la condizione di romanzi di formazione.

Tu hai un’idea particolare – quasi anacronistica si potrebbe dire visti i tempi – riguardo al ruolo che uno scrittore dovrebbe ricoprire, ti va di parlarcene?

Quando ho iniziato a scrivere il primo romanzo volevo pubblicarlo gratis. Credo che lo scrittore scriva perché ha una storia da raccontare, e la più grande ambizione per una storia è quella di esser letta. Vendite, guadagni, percentuali, è tutto “altro”: non c’entra nulla con lo scrivere. E non è certo con i libri che si fanno i soldi, a meno che tu non sia un grosso editore o un grosso scrittore di successo. E a meno che non mi sia perso qualcosa, non sono nessuna delle due. 🙂
Quindi mi sono detto che sarebbe stato controproducente per la diffusione dell’opera stessa venderla ad un prezzo alto; se il mio romanzo alla fine è a pagamento (il prezzo più basso che ho potuto mettere) è perché volevo fosse presente su Amazon (che è ben più visibile di siti, blog o pagine Facebook personali) e perché non volevo sminuirlo tra i gratuiti, che spesso vengono snobbati (purtroppo) o bollati come “di nessun valore”. In tal modo ho potuto approfittare, e approfitto ancora, dei giorni in cui è in promozione gratuita senza doverlo mettere per forza gratis. In tal senso, devo riconoscere che i risultati sono stati sicuramente superiori alle aspettative: un numero molto alto di persone l’ha già scaricato e letto!

Prima di salutarti e ringraziarti per aver condiviso con noi le tue opere e i tuoi pensieri, vorrei che ricordassi ai nostri lettori l’iniziativa che riguarda il tuo romanzo.

Vorrei solo segnalare a tutti i lettori che sono rimasti incuriositi da queste poche righe che il libro Vita facile ha un carburatore sarà in promozione gratuita proprio dal 29 al 31 gennaio ( http://www.amazon.it/gp/product/B00G4CM718?ie=UTF8&at=aw-android-pc-it-21&force-full-site=1&ref_=aw_bottom_links ) e che i racconti sono sempre disponibili, in ordine, alla pagina https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=336153996588821&id=306094306261457&ref=bookmark

Buona lettura e grazie per la disponibilità!

Grazie a te e buona fortuna 😉

Dimmi quando o cuanto? Le insidie della q.

q1

di Coralba Capuani 

Ripassino facile facile quello di oggi, perché le difficoltà che la lettera q presenta potrebbero essere ridotte a due: soqquadro e acqua.

Questi infatti gli errori più comuni che si commettono avendo a che fare con questa letterina. E, quindi, essendo solo due non dovrebbe essere poi così difficile tenere a mente queste regolette.

E invece no, cari amici scrittori di Letterando, perché non è mica così difficile trovare gente che scrive acuila, inicuo e così via basandosi sul fatto che, se proficuo si scrive con la c, allora pure quello la vorrà. Sono sempre questi ultimi, inoltre, a porsi domande circa la necessità di usare la q per nacque, piacque e tacque. Eh sì, perché se tu scrivi taccuino con la c, perché non scrivi pure piaccue, taccue e naccue dato che la pronuncia è la stessa? E poi chi gli spiega perché cuore, cuoco e cuoio non hanno il diritto alla q, mentre i loro fratelli di pronuncia quoto, quoziente e quota sì? E che ci sono raccomandati pure in ortografia? Ma no, cari amici, tranquilli, si tratta solo di una regoletta che deriva dal latino. Praticamente, tutti quei vocaboli che avevano la q in latino (es. liquor, iniquus, qualis ecc.), la vogliono anche nell’equivalente italiano; perciò cuore (cor), scuola (schola), proficuo (proficuus), percuotere (percutere) vogliono la c.

E comunque adesso potete anche supporre di chi sia la mano che si cela sotto la famosa scritta “abbasso la squola!”. Sì, proprio quella che continua a campeggiare a caratteri cubitali sui muri di ogni “squola” che si rispetti. J

Oroscopo 2015 (sagittario, capricorno, acquario, pesci)

L’oroscopo 2015 di Letterando, a cura della mitica Maga Adalgisa, termina con gli ultimi 4 segni. Ci rivediamo per l’oroscopo di febbraio e…che le stelle siano con voi!!! 😀