Impazzano nelle pizze le castagnate e orde di “castagnari” armati di rudimentali focolari e padelle forate diffondono fumi all’aroma delle caldarroste per vicoli e viali. È impossibile resistere. Almeno una volta in tutta la stagione si cede all’assaggio di questo prelibato boccone. Se fa molto freddo la soddisfazione diventa anche doppia, chi non ha mai provato a scaldarsi le mani con i sacchettini fumanti di castagne appena arrostite?
Ma siamo sicuri di sapere che cosa mangiamo? Cerchiamo di conoscere questo frutto prezioso. Un po’ di consapevolezza può aiutare a ad apprezzarlo come merita.
È un prodotto della terra che risale ad almeno 10 milioni di anni fa, ce lo dicono gli archeologi.
Invece nei testi scritti troviamo menzionate le castagne con diversi nomi:
Ippocrate (IV sec. a.C.) le chiama “noci piatte” e le usava come lassativo
Teofrasto (IV sec. a.C.) nella Storia Delle Piante le chiama “ghiande di Giove”. Con Catone il Censore (II sec. a.C.) prendono il nome di “noci nude” (De Agricoltura).
Marco Terenzio Varrone (I sec. a.C.) nel suo manuale De re rustica ci presenta la castanea, come frutto degli innamorati, e ci dice che veniva offerto in dono dai giovani innamorati alle donne amate.
Pantaleone da Cofienza (secondo 400) ci insegna che la castagna con il latte e derivati costituisce un’alimentazione completa.
Durante i periodi di carestia, quando il grano scarseggiava, le castagne venivano macinate e con la farina ottenuta facevano il pane, Si può quindi affermare che la castagna è un surrogato dei cereali. Tant’è che si è valsa il titolo di “il cereale che cresce sull’albero” (Burnett).
Questo, e molto altro, è la castagna e questo è ciò che da sempre offre ai suoi abitanti la terra, non a caso la si chiama Madre terra, la più premurosa e paziente.
Monica Bauletti