Medea a Nereto: chi è il pazzo?

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di Coralba Capuani

Si dice che con la cultura non si mangia. Si dice che la cultura non è per tutti, perciò certe forme d’arte non funzionano in televisione. Il pubblico, si sa, non capisce e perciò bisogna adattarsi ai suoi gusti, non gli si può proporre il teatro impegnato, figurarsi quello greco! La musica classica? Va bene giusto a Capodanno o per qualche occasione rara e speciale (poca, pochissima per carità, anzi, meno ce n’è meglio è).

Queste sono più o meno le scuse che da anni ci vengono rifilate per giustificare  un imbarbarimento ormai imperante, in televisione, come in altre sedi.

La cultura non riempie le saccocce quindi vai con spettacoli di labilissimo spessore culturale, spesso infarciti di volgarità, luoghi comuni e scopiazzature varie. Ma il tutto tritato e sminuzzato per renderlo digeribile allo spettatore medio, quello che fa coppia fissa con il divano e non capisce un tubo (catodico).

Ma esiste davvero questo spettatore medio o non è, piuttosto, la scusa di certi dirigenti mediocri che, per scusare la propria incapacità, si aggrappano a questi luoghi comuni pur di non sforzare la loro materia grigia, ormai arrugginita da anni di lauti stipendi e benefit sicuri?

Il pubblico non capisce, al pubblico va dato ciò che vuole, il pubblico è sovrano.

Ma siamo davvero sicuri che il pubblico voglia ciò che gli viene propinato, che davvero non sia in grado di capire qualcosa che, semplicemente, non conosce?

Non credo, anzi, non penso proprio. E la dimostrazione l’ho avuta ieri sera (per la verità un’ulteriore conferma) assistendo alla magistrale rappresentazione della Medea di Seneca a Nereto, minuscolo paesino di poco più di cinquemila anime. Perché sì, ci sono stati dei pazzi incoscienti che hanno avuto il coraggio di proporre un testo classico, non proprio alla portata di tutti, in un paesino del teramano che non ha nemmeno un teatro! Neanche uno piccolo piccolo – la rappresentazione si è tenuta in una saletta convegni superaffollata, praticamente un forno! Ma nessuno che si sia azzardato ad andare via, a sventolarsi, a fare il benché minimo rumore. Zitti: silenzio tombale. La stessa assenza di parole che si verifica di fronte a un evento prodigioso. O al talento.

Perché il talento azzittisce, paralizza, rapisce, ti porta via dalla tua vita giusto il tempo di un’esibizione, pochi minuti vissuti tra cielo e terra, tanto che poi tornare giù è difficile. Ed è proprio questo quello che ho provato assistendo alla rappresentazione della Medea del Maestro Paolo Magelli, interpretata dalla strabiliante Valentina Banci.

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È bastato poco, un paio di pannelli neri come la pece, un rialzo, qualche candela, il buio e lei: Valentina-Medea. È stata lei sola a riempire una scena scarna arredandola con la forza della parola, con la duttilità della sua voce, la fisicità dei suoi gesti, tanto da far “recitare” anche le ombre delle sue braccia proiettate sul muro.

E il pubblico ha capito. Quel pubblico di presunti spettatori medi che si bevono tutto quello che gli si dà, hanno capito. Perciò sono rimasti in silenzio tutto il tempo. Rapiti dalla potenza del talento e della bellezza, portati via in un’altra dimensione giusto una manciata di minuti – il tempo di una rappresentazione.

Ed è forse in questa dimensione che devono vivere i “pazzi” che hanno avuto il coraggio di portare un testo così impegnato in un paesino di provincia, dove si suppone non si possa apprezzare l’Arte con la “a” maiuscola. E invece no, scommessa vinta. E quindi mi viene da fare una considerazione a questo punto: che i veri pazzi, gli incoscienti, siano proprio quelli che ostinatamente continuano a ripeterci che con la cultura non si mangia, ché la cultura non riempie le saccocce o le panze.

Perché, si sa, il pubblico non capisce, e il pubblico è sovrano…

UNA VALIGIA DI LIBRI

BENVENUTI

NELLA BIBLIOTECA DI LETTERANDO

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Libro Vecchio (1961)   UN CUORE ARIDO di Carlo Cassola

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e Libro nuovo  (2015) SIRENA di Barbara Garlaschelli

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Libro Vecchio (in prima pubblicazione nel 1956) Angelica di Anne e Serge Golon

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Libro nuovo – 2015 L’amica più preziosa di Monica Bauletti

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Libro Vecchio (in prima pubblicazione nel 1958) Il Gatto0pardo di Tomasi di Lampedusa

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  Libro nuovo – 2015 Il cuore aspro del <Sud di cvOlralba Capuani

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Libro Vecchio (in prima pubblicazione nel 1922) Siddharta di Hermann Hesse

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Libro nuovo – 2013 L’OCEANO NEL POZZO di Nino Famà

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Davide Bottiglieri – Le cronache di Teseo

Carissimi amici oggi la famiglia di Letterando si allarga e accoglie un nuovo autore che vado a presentarvi.

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Nome: Abraham Tiberius Wayne (alias Davide Bottiglieri)
data e luogo di nascita: 28 aprile del 1992. Salerno (Italia)
segno zodiacale: Toro
blog: Abram Tiberius Wayne
Nonostante la sua giovane età ha già una collezione di riconoscimenti di tutto rispetto:
– Premio Letteratura Italiana Contemporanea nel settembre 2014, indetto dalla Laura Capone Editore con la quale compie il suo esordio editoriale con la silloge Poeti Contemporanei.
– Nel 2014 viene inserito nella collana Riflessi della Pagine Editore.
– Nel maggio 2015 vince il XII Concorso di Poesia d’Amore ” Tra un fiore colto e l’altro donato” indetto dalla Aletti Editore.
– Nel luglio 2015 viene pubblicato nell’omonima silloge.
– Vince il concorso “Cronache dalle terre oscure”,con tre racconti brevi fantasy.
– Nell’agosto 2015 viene pubblicato nell’antologia Felicemente Horror vincendo la selezione proposta dal noto blog letterario Pegasus.
– Sempre nell’ottobre 2015 risulta finalista del concorso “E’ già autunno!” indetto dalla Montegrappa Edizione e viene inserito nella XVII raccolta antologica “Les cahiers du Troskij Cafè”.

Davide è nostro ospite perchè voglio presentarvi il suo libro:

Le cronache di Teseo

Racconti – Edizioni Les Flaneurs

Authore: Abraham Tiberius Wayne (Davide Bottiglieri)

€ 2.99

“Un libro che raccoglie sei racconti dedicati all’eroe greco Teseo. Un fantasy dall’anima ellenica”.

Un libro che raccoglie sei racconti dedicati all’eroe greco Teseo. Un fantasy dall’anima ellenica”.
È proprio così che si presenta questo libro che si legge veloce e con piacere. Davide ci racconta le prove che si trova a dover affrontare Teseo per dimostrare di meritare il trono in successione al padre.
È un viaggio fantastico che l’autore descrive poggiando sulle basi della mitologia classica arricchendo di particolari fantasiosi che ne alleggeriscono il peso e animano di avventura. Molti sono i nomi di dei, semidei, eroi, e altre figure, più o meno moti a tutti, che hanno popolato i racconti epici e che l’autore mette a intralciare il cammino dell’eroe, a volte per aiutarlo nelle sfide altre volte per mettere a prova la sua forza, la sua saggezza, la sua umanità e il suo valore di uomo e di guerriero al fine di forgiare la figura ideale di sovrano. È così che l’autore ci consegna l’immagine di un re esemplare: un sovrano ideale.
Le scene di lotta sono ben descritte e le atmosfere che ne emergono sono in perfetta sintonia con l’epoca riuscendo tuttavia ad evocare immagini fantastiche che scivolano in paesaggi degni della classica narrazione fantasy e quello che io definirei l’universo fantastico.

“La raccolta mira a interessare lettori adolescenti! La mitologia classica è bellissima, tuttavia non sempre la si fa apprezzare a dovere nei licei (io per primo l’ho amata tardi); inoltre c’è da aggiungere che non si tratta di una lettura semplice perché spesso appesantita dagli intervalli filosofici che ne rallentano un po’ il ritmo. Ho provato a riproporre degli episodi che ho trovato affascinanti, in una forma più appetibile all’adolescente di oggi (gli scontri e la violenza non sono mai mancati nell’epica classica), facendo attenzione a non alterare la storia e le caratteristiche del mito: in pratica, ho cercato di trovare una chiave di avvicinamento alla letteratura greca per chi non la digerisce ancora nella sua forma originale”.

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Quindi un libro adatto a tutte le età, molto originale che noi di Letterando consigliamo e vi consigliamo anche di tenere d’occhio questo autore emergente che non mancherà di regalarci ancora sorprese e successi.

Il viaggio attraverso la “lunga notte” di Lamia Berrada-Berca

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di Coralba Capuani

Ieri sera mi è capitato di assistere alla presentazione di un libro molto particolare, un testo complesso, di non facile lettura, un “non-romanzo” con dei “non-protagonisti”, così come la stessa autrice l’ha definito.

Il testo si mostra originale già dalla Lamia-Berrada-Berca_1127disposizione grafica che può essere letta come un insieme di singoli momenti poetici miranti a indicare l’alternanza tra parole e silenzi. Il tema dominante è la mancanza di libertà e, allo stesso tempo, un invito a lottare contro tutte le forme di oppressione.

Con C’è una stessa notte per tutti, l’autrice franco-marocchina Lamia Berrada-Berca “si tuffa nel mezzo di una lunga notte, laddove s’infilano la disperazione umana e la dismisura delle cose, per tentare di intravedere quello che continua a salvare la nostra umanità, nonostante tutto, in un mondo che troppo spesso la nega”. (http://www.edizionidifelice.it/2015/77-pav4-berca.htm).

La “trama” si potrebbe riassumere così: si tratta della storia di tre personaggi che si muovono al di là dello spazio e del tempo, in un corpo a corpo perverso tra luce e buio: il becchino che seppellisce i morti e ne ingoia il dolore e, di contro, la moglie ostetrica che preleva la vita, portando i bambini alla luce. Sopra di loro, come un macabro avvoltoio, il dittatore/sciacallo che schiaccia tutti, beandosi del buio sul quale regna.

Devo dire che già dalle prime informazioni ricevute durante la serata di ieri, mi è parso un testo molto coraggioso, un tentativo di allontanarsi dalla massa per dire qualcosa di diverso e pregnante. E mi fa ancor più piacere che questo messaggio provenga da una donna. Come ho fatto notare alla stessa autrice durante l’intervento del pubblico, il nostro mondo, che sembra democratico e libero, non è mai stato così oppresso come adesso. Soprattutto noi donne, a cui è stata data una libertà all’apparenza completa, siamo invece più schiave di quanto siamo mai state in passato. È come se, in pratica, attraverso la concessione di una liberà sessuale completa, ci venisse dato “il contentino”, mentre in realtà questa presunta libertà rimane solo sulla carta. Si può forse chiamare libertà questa? E cosa dire delle tante vittime di violenze e soprusi, per descrivere i quali si è dovuti ricorrere alla coniazione di un neologismo (femminicidio)? Per non parlare delle discriminazioni ancora presenti nel “moderno occidente”; basti pensare alla diversità di trattamento economico ricevuto dalle lavoratrici rispetto agli uomini, solo per fare un esempio.

Il mondo di cui parla Berrada-Berca è proprio come il nostro, un mondo all’apparenza libero ma inconsapevole, e quindi in realtà schiavo di ciò che lo sciacallo vuol far credere. Questo perché la libertà senza coscienza non è libertà e un uomo privo della coscienza è come un sacco vuoto, senz’ anima. In un mondo basato su una dittatura mascherata ci è data la possibilità di agire, di parlare, di scrivere, ma si tratta di concessioni “guidate” dall’alto che, però, non hanno nulla a che fare con la vera libertà. La Berca ci dice, in sostanza, che in tutte le dittature, mascherate e non, il dittatore/sciacallo si ciba della nostra vera essenza riconsegnandoci dei corpi vuoti che, sì, agiscono, vivono, ma che non hanno coscienza di agire, di pensare e di vivere, e, pertanto, è come se fossero già morti.

Come avrete avuto modo di capire da queste poche righe, la densità semantica del testo è notevole e non sempre di facile fruizione, anche perché il testo è basato su una serie di ossimori: vita/morte; luce/buio; speranza/disperazione. Elementi ulteriormente complicati dal fatto che spesso questi aspetti contraddittori sono in realtà facce di una stessa medaglia. La fossa che il becchino scava, ad esempio, seppellisce la vita, la speranza, i progetti, i sogni, la creatività, ma da questo pozzo nero si può risalire in un certo senso. Anche la stessa vanga che scava nell’abisso può avere una funzione opposta, quella di disseppellire il contenuto (simbolico) della fossa per riportarlo alla luce. Perciò il messaggio finale è positivo: tutti dobbiamo attraversare la nostra notte, il momento di buio che è la presa di coscienza del Sé, per poi arrivare all’alba salvifica.

Come ho già accennato sopra, ho letto questa metafora come un messaggio indirizzato soprattutto a noi donne perché, a mio avviso, se mai ci sarà una primavera dell’umanità, così come poeticamente ha descritto Tito Rubini, questa potrà avvenire solo attraverso le donne; da sempre legate alla forza generatrice della Terra.

Un’altra riflessione, invece, riguarda il potere salvifico della parola, a cui l’autrice consegna un ruolo centrale (il protagonista legge un libro che tiene nascosto sotto il letto e mentre lo legge è come se scrivesse la sua storia). Anche in questo caso mi è parso di leggere tra le righe un ulteriore messaggio indirizzato al mondo culturale che, come un po’ tutti gli aspetti della società moderna si è deteriorato.

In un mondo culturale dove predomina il mercato, il numero di copie vendute piuttosto che il valore culturale e letterario di ciò che viene proposto, ho apprezzato lo sforzo dell’autrice di dire altro, di spingere i lettori  a riflettere e a intraprendere quel viaggio attraverso la notte che può sì spaventarci, ma che, allo stesso tempo, può portarci alla scoperta del nostro vero io; a lasciare l’apparenza per l’esistenza. E questo, mi permetto di dire, è un messaggio rivolto soprattutto alla scrittura femminile, da troppo tempo ridotta a mero intrattenimento. Non so quanto questo aspetto ci venga imposto dall’alto, o quanto noi stesse siamo colpevoli, in quanto ci siamo fatte rinchiudere di nuovo nei vecchi cliché ottocenteschi che negavano alle donne la possibilità di trattare temi seri come la politica e la filosofia, relegandole al massimo ai romanzetti d’amore. A questo proposito mi viene in mente la figura di  Mary Wollstonecraft, la madre di Mary Shelley, che sulla scia della rivendicazione dei diritti dell’uomo avvenuta a seguito della Rivoluzione francese, nel 1792 pubblicò La rivendicazione dei diritti delle donne. Il saggio suscitò un vero e proprio vespaio e l’autrice fu oggetto di critiche veramente malevoli (si mise in dubbio anche la femminilità dell’autrice), e questo solo perché aveva osato trattare temi che per una donna, secondo la mentalità dell’epoca, non erano “consoni”.

Ecco, io credo che noi scrittrici dovremmo raggiungere quella consapevolezza del Sé, riscoprendo la nostra vera essenza e abbandonando definitivamente l’apparenza (il sacco vuoto), anche per rispetto verso queste donne, le quali hanno dovuto lottare per creare un posticino anche per noi in un mondo culturale predominato dagli uomini.

Lorena Marcelli e l’enigma del Premio Marcelli.

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di Coralba Capuani

Ho conosciuto Lorena in occasione della giornata di premiazione indetta dalla casa editrice Marcelli. Un freddo pomeriggio di ottobre dedicato alla proclamazione dei testi più meritevoli inframmezzato da intervalli musicali e di intrattenimento vario.

Ricordo che la sala era piena e che la premiazione, alla quale intervennero scrittori di tutta Italia, durò parecchie ore. A fine serata infatti eravamo tutti bolliti e il ciarlare allegro delle prime ore si era trasformato in una silenziosa fila di gente delusa e stanca. Non so se le polemiche furono sollevate dalla sera stessa, ma sta di fatto che quando accesi il mio portatile, fra i partecipanti già si parlava di presunti brogli. In un’Italia zeppa di raccomandati e truffatori, infatti, non fu strano per molti ipotizzare una presunta parentela tra i due Marcelli (la vincitrice Lorena e Paolo Marcelli, proprietario dell’omonima casa editrice). Da quel momento in poi apriti cielo! Insulti, malignità sull’autrice e sull’editore, colpevole di aver tirato su una macchina stratosferica solo per far vincere “la parente” di turno.

Ebbene, dopo aver conosciuto di persona Lorena (sono stata io stessa a volerla a TempoLibro, una manifestazione indetta per celebrare la giornata internazionale del libro), dopo aver assistito alla presentazione del suo romanzo e, soprattutto, dopo averlo letto attentamente, vi posso confessare che…ebbene sì, broglio ci fu!

Ma non per quello che si è detto riguardo la presunta – ma inesistente – parentela tra i due, quanto per il fatto che se il premio prevedeva la premiazione di un esordiente (ma lo prevedeva???), allora siamo stati tutti imbrogliati perché Lorena non è affatto un’esordiente, ma una professionista attenta e curata della scrittura.

Nel suo romanzo, L’enigma del Battista, non vi è un solo cedimento. La trama regge su un’impalcatura solidissima e inattaccabile. Lorena è allo stesso tempo un muratore della parola (i mattoncini sui quali costruisce le fondamenta del testo, nonché le colonne e i muri portanti sono tirati su a regola d’arte), ma anche un architetto (la combinazione delle diverse parti dà luogo a un’alternanza perfetta e originale), e, infine, anche un designer (le metafore, le immagini, le descrizioni usate abbelliscono l’ambiente-romanzo in cui è calato il lettore). Insomma, per dirla breve, Lorena Marcelli è brava. Non solo riesce a muoversi in tempi molto diversi tra loro, si va per esempio dalla Galilea del 35 dopo Cristo all’Irlanda del XIII e XIV secolo per ritornare al presente, ma l’autrice riesce anche a spaziare tra luoghi lontanissimi e diversissimi tra loro (Irlanda, Scozia, Galilea e Italia) riuscendo a descriverli tutti in maniera davvero suggestiva e realistica. E non solo! L’autrice si muove agilmente anche tra generi letterari diversi (romanzo storico, thriller e romanzo moderno). E tutto questo senza un cedimento, perfetta in ogni tempo e luogo decida di ambientare la storia.

Ecco, la storia, vi accenno solo brevemente alla trama perché vorrei che foste voi ad assaporarla in prima persona attraverso la lettura di questo bellissimo romanzo.

La vita tranquilla di Alessia Lamb viene sconvolta dalla scoperta del testamento della nonna; Alessia ha un compito da portare a termine. Ma come fare e a chi credere? Nella ricerca della verità e “della Luce” sarà aiutata dalla sua amica Manuela, la prima a comprendere l’importanza dell’antico Grimorio tramandatole dalla nonna che, a sua volta, l’ha ricevuto in eredità dalle sue ave. Ma anche da due avvocati, il paterno Cole Miney e l’enigmatico Mark. Cosa lega Alessia Lamb ad Alice Keytler, la prima “strega” d’Irlanda?

Tra colpi di scena, vendette e verità insospettabili, Alessia intraprenderà un viaggio che la cambierà per sempre e che lascerà i lettori senza fiato.

Concludo dicendo che, se proprio dovessi trovare un difetto a questo romanzo, direi che risiede nei pochi capitoli dedicati alla storia di Alice. Lorena dà il meglio di sé quando sposta la sua narrazione nel passato, una narrazione che è viva, per nulla noiosa e che, anzi, definirei moderna e sensuale; si pensi alla bellissima descrizione del ballo di Salomè o alla sensualità selvaggia e ribelle di Alice.  Auspicando che nel suo prossimo romanzo l’autrice voglia immergere maggiormente il lettore nel passato (c’è nell’aria un sequel?), termino questa recensione invitando i lettori di Letterando, ma non solo, a intraprendere il viaggio alla scoperta di Alice, figura affascinantissima. E comunque sono sicura che in futuro sentiremo parlare ancora e più spesso di Lorena perché, ripeto, è davvero brava, chapeau!

Valutazione: *****

L’umanità del “mostro” nel romanzo La voce di Nero di Valentino Eugeni

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di Coraba Capuani

Qualche tempo fa, nella nostra rubrica Come si fa (cambia mestiere), abbiamo ospitato Valentino Eugeni, uno scrittore marchigiano che nella sua biografia si definisce: «un informatico irrazionale che si è dedicato per anni allo sviluppo di videogiochi e nutrito a pane e fantastico fin da quando ha memoria». Valentino è rimasto molto contento del nostro lavoro, tanto da omaggiarci di una copia del suo romanzo La voce di Nero con tanto di dedica e autografo. Finalmente, avendo trovato un po’ di tempo per leggere, possiamo ricambiare la cortesia di Valentino con una recensione del suo romanzo. Allora, iniziamo col dire che il testo abbraccia sia il genere del fantasy che la fantascienza. Protagonista del romanzo è Madeleine, una pittrice parigina che viene rapita e poi salvata da alcuni strani esseri. Da quest’incontro la donna scopre un mondo, o sarebbe meglio dire un sottomondo, a lei e ai più sconosciuto: una razza di umanoidi che da secoli convivono con il genere umano. Tra loro vi è Nero, un essere molto ambiguo che nasconde un terribile segreto. Ma anche la vita di Madeleine è un segreto per se stessa: chi era davvero suo padre? Il poliziotto e padre esemplare che Madeleine ha sempre conosciuto, o uno spietato “cacciatore”? Chi è davvero Nero? Vuole davvero aiutare Madeleine o, piuttosto, vuole salvare se stesso finendo così per perdere definitivamente l’anima?

Dallo sviluppo di una trama ricca di suspense e colpi di scena, Valentino offre ai lettori un affresco metaforico della società umana, un luogo fatto di ingiustizie sociali, di discriminazioni “razziali”, dove il “mostro” è il reietto della società, colui che deve essere bandito, relegato ai suoi margini (per volontà propria e altrui) e, per alcuni, vivisezionato nel fisico e nei sentimenti. È questa ricerca di razionalizzare l’ignoto attraverso la ragione che rassicura, eliminando e spiegando la diversità nell’altro, nel mostro o, in alternativa, lo scioglimento del problema attraverso la sua rimozione, attraverso cioè l’eliminazione fisica e la morte delle creature, il messaggio profondo che si cela nel testo. Il pregio di questo romanzo, infatti, è non solo la trama avvincente e per nulla banale, ma il tentativo che l’autore fa di rendere il “mostro” umano, di dargli dei connotati affini a noi e di rendercelo vicino. Per Nero si può provare odio, repulsione, ma a questi sentimenti negativi si affianca la pietà per un essere che ha patito come un umano, e che di quest’ultimo conserva le fragilità nonostante l’aspetto fisico.

http://www.ibs.it/code/9788867335497/eugeni-valentino/voce-di-nero.html

I personaggi ribelli di Cristiana Pivari

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di Coralba Capuani

Qualsiasi scrittore, anche l’ultimo degli scribacchini, sa quanto possano essere testardi certi personaggi, come si impongano, a volte anche contro la volontà di chi li ha creati, di fare, dire o comportarsi in tal modo piuttosto che in un altro. E hai voglia allora a imporre la volontà di scrittore: «io ti ho creato e tu mi devi obbedienza».

«Sì, figurarsi», paiono volerti dire certi personaggi, «tu mi hai ideato e messo sulla carta, d’accordo, ma adesso la vita è mia e me la gestisco io. E se ho detto che tizio non mi piace non cambierò certo idea perché nei tuoi progetti è scritto che è così che deve andare. Arrenditi: o cambi la trama o blocco tutto».

E a quel punto cosa può fare un povero scrittore se non arrendersi e dargliela vinta al personaggio/tiranno di turno?

Ma questi scontri di solito avvengono solo nella mente dello scrittore, immaginatevi invece se il vostro personaggio uscisse dalla pagina Word e si materializzasse a casa vostra: come reagireste? Forse pensereste di essere impazziti o quantomeno stressati per essere arrivati ad avere certe fantasie, ma se il personaggio si rivelasse proprio reale? Se anche gli altri lo vedessero? Vi immaginate vostra madre che beve il tè insieme al protagonista del vostro ultimo romanzo?

Ecco, questo è più o meno quanto accade nel romanzo Il numero 52 di Cristiana Pivari, edito da Edizioni della Sera, dove Matteo (lo scrittore) si trova a dover fare i conti con Valentina, ex-creatura di fantasia divenuta reale. A parte l’idea che trovo davvero originale, l’autrice, Cristiana Pivari, riesce non solo a mettere in luce i meccanismi mentali che davvero ogni scrittore sperimenta, ma attraversa i piccoli e grandi problemi della vita con leggerezza senza perdere però lo spessore dei contenuti. Non solo la sua pungente ironia non ha mai un cedimento, tenendo così sempre desta l’attenzione del lettore, ma il racconto, che all’inizio pare riallacciarsi al filone del metaromanzo, arriva poi a complicarsi sfiorando il poliziesco: chi ha ucciso il padre del protagonista?

È a questa domanda che il lettore cerca di trovare risposta in mezzo a una trama che si fa via via sempre più intricata,  ma allo stesso tempo divertentissima, piena di colpi di scena e situazioni kafkiane. Anzi, in molti punti pare che Kafka e Pirandello si divertano a rimbalzarsi la palla, che poi sarebbe la trama.  E così il personaggio-scrittore Matteo si trova a vivere delle situazioni che mai avrebbe pensato di vivere: un omicidio, l’arresto, una madre che si emancipa a tarda età, un’amante che poi diventa una cara zia, un’amica che diventa una fidanzata, un conoscente che diventa, pure lui, un quasi fidanzato, un editore bizzarro, una segretaria con una nuova identità e, infine, una scrittrice nella quale si cela (forse?) la vera autrice, nonché colpevole, di tutto questo immenso e spiritosissimo caos. E poi vogliamo parlare del coup de thêatre finale? No, non ne parliamo, lascio a voi il piacere di scoprirlo attraverso la lettura di questo bellissimo e originalissimo e-book. Un’unica raccomandazione però, se anche voi siete scrittori trattate con riguardo i vostri personaggi, non sia mai che un giorno vi si rivoltassero contro.

http://www.bookrepublic.it/book/9788897139508-il-numero-52/