La morte delle icone pop e i falsi miti dei media

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di Coralba Capuani

Un altro mito degli anni Ottanta se ne è andato, e, profeticamente, proprio il giorno di Natale, festività al quale sarà per sempre legato il suo ricordo vista la popolarità di Last Christmas, diventata, sua malgrado, icona, pure lei, degli stucchevoli stereotipi legati a questa festività.
Siccome io negli anni ’80 ci sono cresciuta, avrei voluto scrivere una profondissima e serissima riflessione sull’innaturalità di queste morti, sul fatto che incominci a capire di essere vecchio quando ti guardi attorno e ti rendi conto che le persone che hanno condiviso buona parte della tua vita iniziano ad andar via: amici, conoscenti, e soprattutto icone pop. Sì, perché la morte di un personaggio famoso non è una cosa che ti lascia indifferente quando sai che molti dei tuoi ricordi sono incollati alle sue canzoni; che so, la prima infatuazione, i primi assaggi di libertà ecc. Quindi se muoiono George Michael, Prince o David Bowie, muoiono anche pezzi di vita in un certo senso. Sensazioni, emozioni, gioie e dolori fissati alle note delle loro canzoni. E non è che ti debbano piacere per forza, perché certe icone pop si imponevano a tutti, che lo si volesse o meno. Come fa, ad esempio, la generazione DJ Television, quella che ha passato le estati a guardare il Festivalbar, a non ricordare il motivetto che ti “facevano sorbire” per mesi e che, una volta fissatosi in testa, non ti scollavi più di dosso? Perciò ti di dispiace quando muore una “star”, perché sai che un pezzo di vita, un’epoca, se ne sono andate per sempre. Che non torneranno più.
Ma questo, in fondo, è un processo inevitabile, è la natura che fa il suo corso. A non essere normale è che molte icone della nostra adolescenza siano andate via, mentre quelle dei nostri genitori resistano ancora, gironzolando per i canali tv o sui palchi di mezza Europa quasi il tempo non li avesse sfiorati.
Ecco, sull’innaturalità della morte precoce delle icone della nostra adolescenza, sulla scomparsa di queste anime di carta, così leggere da volar via con un soffio di vento, avrei voluto discorrere in questo articolo. Fino a quando, cioè, non ho cambiato idea ascoltando i commenti “da comare” nei vari servizi giornalistici passati in tivù. Tralasciando il fatto di essere stata messa a parte di tutti i cavolacci intimi della buon’anima più in questi ultimi due giorni che in trent’anni della sua carriera, la cosa che mi ha lasciato basita è l’immagine quasi da “piccola fiammiferaia” che i media hanno dato di George Michael.
George sarebbe morto a causa di un infarto. No, rettifica, forse George sarebbe morto a causa della dipendenza da droghe che gli avrebbe causato l’infarto che lo avrebbe portato alla morte.
E perché il buon George avrebbe fatto uso di droghe? Ovvio, perché era un’anima in pena, sofferente, sola. Da quando la sua stella aveva iniziato a offuscarsi, poi, sarebbe ingrassato, perciò si sarebbe rintanato nella sua casa in campagna solo e isolato da tutti. Morto così: in pena e solitudine.
Però il suo corpo sarebbe stato trovato dal compagno, e i familiari, inoltre, smentiscono fermamente che il loro congiunto facesse uso di droghe. Anche perché George era una brava persona, buono e amato da tutti, un filantropo dedito agli altri, che avrebbe donato somme ingenti a favore di istituti caritatevoli e così via. E non si sarebbe smentito neanche dopo la morte, visto che parte dell’eredità sarà donata ai figli di alcuni suoi amici.
Ora, senza voler mancare di rispetto a una persona che non c’è più, mi sorgono alcuni dubbi:

1) Ma non si era detto che era un uomo solo? E allora da dove esce la lunga sfilza di amici, conoscenti, parenti e affini?
Risposta: boh!

2) Era ingrassato molto negli ultimi tempi, si vergognava, e perciò viveva lontano dai riflettori.
Risposta: ma un dietologo, no?

Spero sia palese che il mio intento non è denigrare George Michael, a cui va tutta l’umana pietas per un uomo che ha effettuato delle scelte sbagliate – la droga – pagandone, ahimè, poi, le conseguenze.
Il mio intento bensì è di tirare le orecchie a certi giornalisti che ricorrono al sensazionalismo esagerando, montando e gonfiando notizie che, invece, andrebbero date così come sono, in maniera semplice e trasparente.
E invece no, ogni volta che muore la star di turno bisogna farla passare per martire, ma perché?
Che bisogno c’è? Credono di rendercela più simpatica, o, forse, pensano di renderci più accettabili certe “leggerezze”, come imbottirsi di mix di farmaci, droghe, alcol e schifezze varie?
O vogliono solo prenderci in giro burlandosi delle “insignificanti” preoccupazioni delle nostre grame esistenze, come mutui da pagare, disoccupazione, non arrivare a fine mese e crisi economiche varie, che, vuoi mettere il paragone, sono davvero poca cosa in confronto alle sofferenze del vip di turno?
Ma la gente non è mica scema cari miei, lo sa benissimo che il vero problema del compianto George Michael era la droga, e non certo il fatto di essere solo, visto che un compagno, una famiglia e degli amici li aveva. Vogliamo poi parlare del problema legato al peso, che poi non è né più né meno di quello che devono affrontare tutti quelli che devono dimagrire. E quindi? Volete forse che il buon Michael non avesse avuto la possibilità di trovarsi un buon dietologo? Anzi!, magari quello sarebbe stato disposto pure a fargli la spesa nel mercatino bio, portargli a casa i cibi già cucinati, e, magari, pure lavargli i piatti.
Anche il discorso riguardo al declino del suo successo mi pare poco credibile visto che, se si fosse messo sotto a scrivere un album, e fosse andato a bussare alle porte giuste, nessuno gliele avrebbe chiuse in faccia quelle porte. E poi, in fondo sai che c’è, con i soldi che aveva se lo sarebbe potuto produrre da solo un disco, mica come noi miseri scrittori esordienti, che ci tocca quasi fare il porta a porta pur di vendere un paio di copie!
Il succo di questo lunghissimo articolo, dunque, è solo questo:  vada per la compassione che si deve a qualunque essere umano, soprattutto dopo la sua dipartita, ma che almeno i suoi errori possano essere d’esempio ai giovani, a far capire loro che ogni scelta ha un prezzo e che, prima o poi, il conto arriva per tutti.

 

Il coraggio di Bob

di Coralba Capuani

Il Nobel per la Letteratura assegnato a Bob Dylan, credo rappresenti un monito per chi si definisce scrittore o poeta: se quelli dell’Accademia hanno dovuto pescare tra i parolieri della musica pop, e ce ne sono di bravi, per carità, significa che non ci sono più autori capaci di trasmettere valori profondi o riflessioni originali. Significa, in breve, che ha perso la Letteratura, il mondo della parola scritta, quella che non ha bisogno della musica per esprimere la potenza che ha in sé, quella che non ha bisogno di contorno e che sta su da sola, in sintesi. E quindi abbiamo perso tutti:
1) gli scrittori: che hanno ricevuto un bello schiaffone in pieno viso
2) le case editrici: che, evidentemente, hanno perso la lucidità di giudizio e che non sono più in grado di “scovare” il talento.
3) la letteratura contemporanea: stata ridotta uno squallido Mc Donald’s dove ogni sapore viene appiattito in gusto che mescola sapori diversi facendone una brodaglia salata che sa di tutto e non sa di niente e che, peggio ancora, annulla le peculiarità della cucina locale tradizionale.
4) Ha perso la società e la cultura: che si ritrova una miriade di scrittori azzoppati ma nessun vero Autore con la “a” maiuscola, dove autore sta per letterato: persona che dedica la propria vita allo studio e alla diffusione della cultura

Insomma, senza voler crocifiggere o sminuire il talento di Dylan, vorrei che questo Nobel servisse a svegliare le coscienze addormentate di tanti “scrittori” che hanno svenduto il loro talento per una manciata di vendite in più, esattamente come le stesse case editrici che, nascondendosi dietro l’alibi del “non vende”, “non è un testo commerciale” hanno venduto l’anima al dio denaro abdicando il ruolo di scopritori di talenti.
Coraggio! Ci vuole coraggio: ecco, secondo me, quale deve essere il monito di questo premio Nobel. Bisogna che tutti ci si rimbocchi le maniche e si trovi il coraggio di osare, di dire/scrivere cose scomode, fastidiose, non commerciali, ma nuove e originali. Dove l’originalità non sta tanto nel messaggio in sé quanto nella visione personale di chi quel messaggio lancia al mondo. Questo, a mio avviso, quello che manca nella Letteratura moderna.

Quo(rum) vadis?

Riflessione amara sul fallimento del referendum sulle trivelle.

pecore

di Coralba Capuani

Gli italiani non si smentiscono mai, sono sempre il solito popolo di caproni. Questo è stato il primo pensiero appena venuta a conoscenza del risultato del referendum di domenica scorsa. All’italiano medio importa solo del calcio, dell’uscita domenicale e delle proprie bagattelle familiari, il resto è roba degli altri e lui, da bravo italiano medio, se ne frega.

L’italiano medio pensa che andare a votare sia solo una grossa scocciatura che gli intralcia il programmino domenicale pianificato durante tutta la settimana lavorativa: dormita fino alle dieci, lauto pranzo, vistitina allo stadio per assistere alla partita della squadruccia locale, passeggiatina veloce giusto per accontentare la prole, e soprattutto la consorte che sennò romperà ogni santo giorno a venire della settimana successiva. Infine, dopo una cena, passerà la sera spaparanzato sul divano a vedere la trasmissione svuota cervelli, quella che non impegna e non fa riflettere finché si andrà tutti a nanna in attesa di ricominciare il tran tran del lunedì.

L’italiano medio mica lo sa che c’è stata gente che ha combattuto e perso la vita per dargli quel diritto che lui considera solo una seccatura, un affaruccio da niente, ché è già un peso andare a votare per le politiche, comunali, regionali, nazionali, ma quello è un peso che gli hanno insegnato che non si può scrollare di dosso, però il referendum no, cacchio, pure quello no! A che serve il referendum?, si chiede l’italiano medio, solo a spillare soldi agli italiani, si risponde. E poi vuoi mettere tutti quei quesiti di cui lui non capisce un’acca e manco gli interessa informarsi per cercare di capirci qualcosa almeno? Perciò no, per il referendum l’italiano medio a votare non ci va, se ne frega.

Però non crediate che io stia parlando di gente ignorante, persone prive di un titolo di studio o semplicemente vecchietti un po’ rimbambiti dall’età. No, io mi riferisco a soggetti-tipo, uguali e spiccicati a quello che ieri, domandando se fosse andato a votare, mi ha risposto così: «Alla televisione hanno detto che non bisognava andarci, e poi sono cinque anni che non voto». Il tutto accompagnato da una scrollata di spalle e un arricciamento di labbra.

Ecco, questo è l’italiano medio, quello che si limita a curare il proprio orticello, quello che veste abiti firmati, ha l’i-phone, naviga in internet, chatta, tagga, ma non è poi molto diverso dall’uomo di Neanderthal. Un Neanderthal tecnologicamente evoluto, senz’altro, ma culturalmente quello di allora, quello che si interessa dei propri bisogni primari senza considerare la comunità. Che lui è parte di una comunità più ampia che non è solo la sua famiglia, il paesello nel quale vive, né la regione, bensì una comunità che lo fa italiano, europeo, e anche cittadino del mondo. Un individuo che non capisce che anche lui, seppur neandertaliano nell’intelletto o nella coscienza civica o, peggio, in entrambi i casi, ha degli obblighi morali verso la comunità italiana, europea e anche, in fin dei conti, mondiale. Pure se lui è un minuscolo tassello, una pulce, un neutrone piccolo piccolo, ma che, come l’invisibile neutrone, ha un proprio peso specifico, occupa uno spazio nel mondo,  e che, in certi casi, proprio come il neutrone, può diventare una minaccia per sé e per gli altri.

A me fanno paura queste persone che non si fanno domande, prive di curiosità verso la vita e verso il destino degli altri, quelli che pensano solo alla propria individualità senza curasi della collettività. Mi fanno paura perché sono facilmente manovrabili e, con il loro disinteresse, fanno perdere peso alla comunità tutta che, poco a poco, si alleggerisce di elementi perdendo il potere di contare. Perché chi non sceglie, in fondo, fa sempre una scelta, il suo disinteresse, infatti, fa in modo che la voce degli altri sia meno udibile e, quindi, condanna tutta la comunità al silenzio.

E non si tratta, come dicevo sopra, di ignoranza pura e semplice, di mancanza di cultura, ma di un fattore che denominerei come un’incoscienza culturale, o, se preferite, un’ignoranza della coscienza. Non si tratta di avere titoli di studio, di essere plurilaureati e via dicendo, ma di un’esigenza che viene da dentro e che ti spinge a non accontentarti di ciò che ti viene detto e a intraprendere una tua ricerca personale, e vi posso dire che questo non dipende dal titolo di studio ma da una predisposizione individuale. Faccio l’esempio di due miei compaesani, persone molto diverse, ma unite entrambe da una passione verso la conoscenza. La prima è un’estetista, una di quelle figure professionali che nella fiction Rai “Come fai sbagli” (e mai titolo fu più azzeccato!) suscita la reazione sdegnata di una delle protagoniste alla sola idea che sua figlia possa intraprendere questo mestiere, forse perché i dirigenti Rai considerano l’estetista come prototipo dell’ignorante. Beh, che vi devo dire, sarò stata fortunata, ma non solo la mia estetista suona il violino (appreso da adulta e per passione personale, non certo per farne una carriera), ma legge e si interessa di tutto tanto che mi è capitato di discorrere con lei persino di filosofia greca (solo per questioni di spazio tralascio il caso di un’altra estetista, mia carissima amica nonché ottima scrittrice e lettrice famelica, molto più della sottoscritta…)

Ma tornando ai miei compaesani, il secondo è un tipo strambo, uno che ha idee un po’ rivoluzionarie, ma che, nonostante non condivida i suoi punti di vista, non si accontenta della pappa pronta che ci propinano, ma si ingegna a ricercare i testi più bizzarri e non convenzionali pur di farsi un’idea propria. Magari a volte passa da un argomento all’altro senza continuità di logica o senza spiegare all’interlocutore i vari passaggi intermedi (se li dia per scontati o non li conosca non saprei dire), ma è una persona che ha fatto della ricerca la sua vita. E secondo me è proprio questa la vera cultura: una continua ricerca che ti porta a farti domande che non si esauriscono con delle semplici risposte ma che, anzi, una volta trovata la risposta ti suggeriscono la domanda successiva in un moto perpetuo di domanda e ricerca. La cultura è non accontentarsi di ciò che si vede o ci viene detto, ma approfondire e decidere con la propria testa, scegliere, magari sbagliando, ma scegliere. Perché, ricordiamoci sempre, che anche chi si mette in un angolo sperando che gli altri decidano per lui, delegando agli altri anche le proprie responsabilità civiche, in realtà finisce sempre per fare una scelta che oltre ad avere delle conseguenze per lui stesso ne avrà anche per gli altri. E ricordatevi che, a volte, la sua non-scelta può diventare pericolosa, perché toglie o diminuisce il potere decisionale degli altri, indebolendo, in ultima analisi, anche la democrazia. E non è un caso che i più affezionati al voto siano i più vecchi, persone semplici che magari hanno solo la quinta elementare ma che conoscono il valore della libertà e della possibilità di decidere, proprio perché hanno sperimentato sulla propria pelle che la democrazia è un dono prezioso, un dono che ci è stato regalato da chi ci ha preceduto e che, spesso, ha pagato con la vita. Proprio adesso che si avvicina il 25 aprile, dedichiamo qualche minuto delle nostre giornate oberate di impegni a riflettere sul valore di questo dono che ci è stato affidato solo in prestito e che dovremmo restituire alle generazioni che seguiranno. Non facciamo in modo, quindi, che questo dono si perda per strada, ma lottiamo, come la generazione che ci ha preceduto, per conservare il prezioso dono della possibilità di scelta e della democrazia.

Al contadino non far sapere quanto è buono il formaggio con le pere

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Leggo il commento di Bianca Stanco  sull’intervista rilasciata a Il Giornale, dal critico letterario Alfonso Berardinelli e trovo un continuo ritorno di giudizi lapidari del tipo:

“…impossibilità dell’esistenza di classici contemporanei”.
della letteratura è rimasto soltanto il nome. È l’ora dei velleitari, specie in poesia”.
“… la critica ha perso il ruolo trainante e militante”.
“… svuotamento intellettuale nel panorama editoriale contemporaneo, un declassamento della poesia e della narrativa …”.
“Narrativa e poesia si sono così dilatate da essere entità senza forma né confini”.
“È un caso disperato. … il 90 % della poesia che si pubblica non è né brutta né bella. È nulla. Nessuno potrebbe leggerla”.
La poesia “è diventata il genere letterario di chi non sa scrivere”…“i poeti mediamente non hanno idea di cosa sia un verso”.

Da brivido!, ma è davvero così?

No, non può essere così.

Con tutto il rispetto che sempre nutro per chi ha militato per anni nell’ambiente letterario e culturale che certamente ha molto da insegnare, soprattutto a me, ciò nonostante mi sento di dissentire. In questo nostro millennio la letteratura sta sicuramente soffrendo di ipossia dovuta al sovraffollamento, ma siamo sicuri che sia davvero un male?, non è invece uno stimolo alla ricerca, alla critica e alla curiosità?
Sento dire:
“Se l’editoria si rifiutasse di pubblicare almeno i due terzi di quello che pubblica, si riuscirebbe a fare un po’ di chiarezza”.
La campana stona un po’.
Si dà troppa importanza alle case editrici, in fondo sono “enti commerciali” che vivono e proliferano sull’attivo di bilancio. Non è sano conferire il potere di indottrinarci a chi ha troppi interessi da soddisfare. L’obiettività non è una virtù che appartiene al business. Un tempo si diceva: “Al contadino non far sapere quanto è buono il formaggio con le pere”, e oggi si vorrebbe che il contadino ci dicesse ciò che è buono? Ciò che piace lo decide il lettore non il venditore perché se così non fosse allora avrebbe ragione Sgarbi quando ci chiama capre. Siamo un popolo istruito, distratto forse, un po’ pigro, ma il popolo dei lettori è un popolo istruito e i mezzi di informazione non mancano.
Leggo sull’articolo di Bianca Stanco:
Il lettore medio non ha più le facoltà per scegliere e comprendere di cosa parla un libro.”
Rabbrividisco e m’indigno.
Io sono una lettrice media e non permetto a nessuno di dirmi che non ho la FACOLTA’ di scegliere e comprendere di cosa parla un libro. Un urlo mi squarcia dentro e mi sento ferita da questa affermazione.
È vero che l’enormità della produzione di libri (vado cauta e non definisco tutta la produzione in circolazione chiamandola: romanzo e neanche opera) può metterci in mano delle vere ciofeche e ciò può deluderci, può indignarci perché ci sentiamo frodati: pensavamo di poterci concedere un momento di bella lettura invece no; ma ciò succederà qualche volta, non sempre; certe lezioni si imparano e aiutano a raffinare le scelte; se si dovesse ripetere potrebbe essere solo per un difetto di distrazione. Ci stiamo abituando un po’ tutti a leggere gli incipit che spesso sono disponibili anche sulle biblioteche on line; abituiamoci a essere propositivi, costruttivi e critici. Abituiamoci ad ascoltare il consiglio di amici, il passaparola rimane sempre il miglior modo per scegliere con il minimo rischio.
Ancora: “da solo il lettore non capisce che sapore ha un libro”. Un’affermazione di questo tipo denota un orribile disprezzo verso i lettori considerati al pari di humus, frutto della degradazione e rielaborazione degli interessi commerciali delle multinazionali dell’editoria e buono solo come fertilizzante per far fiorire talenti senza talento e casi letterari senza caso.

Per quanto riguarda poi l’affermazione che: “I narratori hanno un solo obiettivo, ossia il Premio Strega”, e ancora “l’assenza di scrittori creativi, coscienti, in grado di rapportarsi con il pubblico e soprattutto consapevoli della cosa da raccontare” mi ariva come alibi e denota inerzia e pigrizia a conferma che chi vuole davvero fare informazione e critica letteraria deve armarsi di pazienza, falce e macete per avventurarsi nella giungla di edizioni che vengono sfornate ogni giorno. Il critico letterario non può più starsene seduto comodo sul divano e aspettare che gli arrivino i libri da leggere e recensire fidandosi del marchio editoriale impresso in copertina, oggi il critico letterario deve cambiare strategie e scavare con pazienza, intuizione e un pizzico di fortuna, come fanno e hanno sempre fatto gli archeologi.
Chi afferma che “La letteratura non ha più a disposizione un pubblico competente, né nell’ambito della narrativa né in quello della poesia. Non vi è più la ricerca di nuovi talenti, di curiosità.”, apparterrà forse a quella parte della critica stanca, che ha tanto operato nel settore d’aver esaurito l’amore per la ricerca della cultura il cui entusiasmo si è spento, soffocato dal peso delle troppe novità tecnologiche un po’ incomprese e un po’ pressanti che ora vorrebbe riposare sugli allori e invece gli allori riconosciuti sono inferiori alle aspettative?

M.B.

Basta con le dichiarazioni “petalose”: un po’ di buonsenso please!

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Svegliatemi!!! No, dico, adesso non è ora che qualcuno mi svegli? Eh sì, perché a me pare di essere piombata in una novella di Pirandello che, per chissà quale strana combinazione, sia stata mescolata ai romanzi di Kafka che, a loro volta, si sono fusi con il teatro dell’assurdo. Più vado avanti, infatti, più mi convinco che deve essere questa la spiegazione. Altrimenti come si spiegherebbe che da qualche tempo la gente ha iniziato a straparlare? Gente che stimavo e reputavo intelligente e che poff, tutto d’un tratto si è messa a sparare cavolate come niente fosse. L’ultima giusto oggi. La Carrà che sul sito de La Repubblica chiede ai lettori se per caso è venuta su male, lei che è cresciuta con due donne. Peccato che la Raffa nazionale non dica che si tratti della madre e della nonna, e che, quindi, le unioni civili non c’entrano un cacchio (si può scrivere “cacchio”?)

Mi ero ripromessa di stare zitta, giuro, anche perché su questo argomento ho espresso ampiamente la mia opinione, ma quando leggi dichiarazioni simili come fai a stare zitta? Tacere sarebbe da idioti. Perciò parlo, e chi non gradisce non legga questo lunghissimo pistolotto (come dice la socia Monica).

Nessuno si offenda se dichiaro di non apprezzare le unioni civili né, tantomeno, le leggi che tutelano queste unioni. Non ho nulla contro i gay, le lesbiche, i divorziati, i risposati e chi più ne ha più ne metta. Non condivido le loro idee ma non ho nulla contro di loro. Per quanto mi riguarda possono fare quello che vogliono: fidanzarsi, darsi alle orge, allo scambio di coppie, al buddismo, allo yoga, alla meditazione o quello che cavolo vogliono. Ciò che mi aspetterei però è che non abbiano la pretesa di “scimmiottare” il matrimonio. Uso un termine forte, lo so, ma in questi tempi di ipocrisia credo che esprimere le proprie opinioni in maniera netta  e diretta sia il modo migliore. Il matrimonio, per me che sono alla giurassica più che all’antica, è uno e indissolubile. Pensate che considero persino il matrimonio in Comune come “inferiore” rispetto a quello in chiesa. Ma questa è una mia personalissima opinione, per carità, meglio un matrimonio vero in Comune che un matrimonio in Chiesa fatto da una coppia che poi, nel corso della vita, non ci rimetterà più piede.

Tornando a noi, l’unione affettiva di due individui è giusta e sacrosanta e nessuno, che la condivida o meno, può denigrarla. Per dirla terra terra l’affetto è una cosa personalissima e nessuno può metterci becco. Altra cosa è il riconoscimento da parte dello Stato. È questo che trovo stupido. Perché con tanti problemi che ha il nostro paese, il Governo deve perdere tanto tempo per fare una legge ad hoc per una minoranza della popolazione? A che pro?

Se queste coppie di fatto possono vivere liberamente su che caspita di argomenti si dovrebbe legiferare? Per il riconoscimento di un amore doc e no made in China? Perché vogliono sposarsi? Perché ci sono dei figli di mezzo? Per la pensione? Per soldi?

Allora, io che sono piuttosto pragmatica la vedo così:

1 – l’amore non ha bisogno del riconoscimento dello Stato. Altra cosa se è la Chiesa nel caso di una coppia di credenti (ovviamente etero!)

2 – il matrimonio. Tasto dolente. Sarò cattiva, stronza o quello che volete voi, ma queste coppie, soprattutto se formate da persone dello stesso sesso non possono equiparare la loro unione al matrimonio tra un uomo e una donna. Semplicemente perché la loro unione è “altra cosa” rispetto all’unione di un uomo e di una donna, punto. Poi dentro “altra cosa” potete metterci quello che volete, aggettivi positivi o negativi, petalosi e non! (che orribile aggettivo ho usato oibò L)

3 – per i figli? Allora, rileggete le avvertenze del punto 2 relative alla stronzaggine dell’articolista ma se si tratta di adottare figli altrui o , peggio, di farseli fare su ordinazione, allora io dico no, non e no! i bambini non sono oggetti e non si fanno su commissione. Se i figli invece sono del partner beh, allora lasciate che vi dica due paroline cari genitori. Ma se voi sapevate della vostra sessualità, perché caspita ve ne andare in giro a fare figli! E non venite a raccontarmi la favola che vi siete accorti solo dopo di essere gay e lesbiche, che è come sentire il famoso tizio che dichiarava di avere una casa a sua insaputa. Perciò, per prima cosa vi tirerei le orecchie per essere stati così superficiali ed egoisti ad aver messo al mondo un bambino sapendo dei vostri gusti sessuali. Ma siccome mò il bambino ce l’avrete, non vi si può mica togliere. Non sono così stronza, anche se, a essere cattiva per davvero meritereste che vi venga tolto e affidato a un’altra famiglia fino al compimento del diciottesimo anno d’età. Poi solo da allora dovrebbe decidere se darvi una possibilità come genitore. Ma siccome cattiva sì, ma crudele no, penso che la cosa più giusta da fare sarebbe affidare il pargolo ai nonni paterni o materni che siano – sarà il giudice a stabilire in base all’età al reddito ecc. chi sia più consono – e voi, genitori immaturi, potreste sempre continuare a vederlo e a fare il padre o la madre. Poi, semmai, saranno cacchi vostri se il pargolo, una volta cresciuto, vi liquiderà con una bella pedata nel fondoschiena.

E questa era la prima parte. Sistemata la parte seria della questione passo alla Fase 2: la pubblicità.

Ho trovato davvero obbrobrioso il continuo martellamento mediatico a favore delle unioni civili. Capisco e comprendo i diretti interessanti che, nella fattispecie, sono stati molto più corretti e civili di certi etero vip che, con i loro sbandieramenti technicolor-sanremesi, hanno dimostrato tutta la pochezza della loro materia grigia, nella quale una sola nota risuona: viva l’ammmoreee!!! E vabbè, passi per chi è direttamente interessato e tira l’acqua al suo mulino, passi per chi è davvero convinto e, da filantropo, si batte per la causa. Basta che non sia solo quella però! Tipo la Mannoia per esempio. Nella sua bacheca trovi di tutto: post che ti spiegano in maniera razionale, e non con frasette adolescenziali del “vivalammmore”, perché è a favore delle unioni civili, ma anche post di denuncia per l’indifferenza che l’Unione Europea riserva agli immigrati, oppure denunce sul fenomeno del femminicidio ecc. ecc. Insomma, Fiorella è una che si è sempre occupata di problematiche sociali, si può non essere  d’accordo con lei, ma non si può certo accusarla di seguire l’opinione corrente o le mode del momento.

Altra cosa, invece, lasciatemelo dire, davvero vomitevole, è vedere personaggi tipo la Pausino o Ramazzotti che, lautamente pagati dal servizio pubblico, si mettono a esibire le loro opinioni quando in altri casi di cronaca (gente che si suicida per la mancanza di lavoro, le morti nella terra dei fuochi, le donne uccise o deturpate dall’acido, le ingiustizie verso i disabili che non possono neanche prendere un pullman perché non sono provvisti dell’apposito predellino, i trecento morti nel mare di fronte a Lampedusa e tante altre cose orribili) non hanno detto neanche una parola. Neanche su Twitter. Allora tu, cantante di amorazzi adolescenziali, pagata e strapagata con il canone di noi cittadini, come cavolo ti permetti di piazzarti sul palco dell’Ariston a fare la sbandieratrice della Quintana di Ascoli? Chi te l’ha chiesto? Ma che vuoi? Chi ti conosce? Pensa a cantare ’ste quattro canzoncine gne gne gne e non rompere gli zibedei allo spettatore. E, soprattutto, se proprio vuoi fare la sbandieratrice, fallo nel tuo concerto. E  infine vergognati! Per l’indifferenza e l’insensibilità che mostri nei confronti di altri problemi che, questi sì, ledono la dignità di alcuni cittadini che lo Stato non si degna neppure di pensare..

 

 

La Fiera delle Parole contro Bitonci – atto unico

 

Antefatto
PADOVA. Nel documento di programmazione attività culturali allegato al bilancio di previsione 2016 manca la Fiera delle Parole, non è prevista, cancellata!, dimenticata? No, sostituita.

fiera delle parole

Sembra che nell’organizzare l’edizione del 2015 il/la Patron del Festival della parola scritta sig.ra Bruna Coscia non abbia accolto i suggerimenti del sindaco. Massimo Bitonci si è risentito decidendo di sopprimere l’evento per poterlo organizzare liberamente secondo le linee previste dalla sua giunta: “…, non vedo per quale motivo il sottoscritto, che non più tardi di un anno e mezzo fa è stato votato dalla maggioranza dei padovani insieme con un preciso programma elettorale pure in campo culturale, dovrebbe ora disattendere quel programma e replicare gli eventi culturali delle amministrazioni precedenti.” (Corriere del Veneto 20/01/2016)

La Fiera delle Parole che è arrivata alla sua 9° edizione, le prime 4 svoltesi a Rovigo e traslocata a Padova dal 2011, ha offerto negli anni incontri e spettacoli vantando la presenza di intellettuali, autori e artisti che hanno sempre dimostrato di apprezzare la nostra bella città e la sua iniziativa.
Il centro storico della città per una settimana si è animato di eventi organizzati nei palazzi simbolo della cultura e spettacolo patavino come il teatro Verdi; il meraviglioso palazzo della Ragione, il Palazzo Moroni, sede del municipio; le scuole e la storica Università, la seconda in Italia dopo Bologna che nella lista dei nomi illustri che hanno vi insegnato può vantare la presenza di Galileo. Il caffè Pedrocchi, detto caffè senza porte, antico ritrovo degli intellettuali; per non parlare delle librerie grandi e piccole che in occasione di avvenimenti come questo sono per ovvi motivi in prima linea. L’offerta fornita ha ottenuto risultati crescenti negli anni e l’ultima edizione, quella di ottobre 2015, ha attirato in città 70 mila persone in sei giorni.
Si conclude così la storia della Fiera delle Parole versione padovana. La 10° edizione dovrà trovare una nuova location. Padova chiude le porte alla kermesse di Bruna Coscia.
sgarbi e bitonciDichiara il sindaco Massimo Bitonci: “Ho proposto a Vittorio Sgarbi di fare il direttore artistico di un grande festival letterario che si terrà a Padova in ottobre. Un festival aperto davvero a tutti, senza alcuna ideologia di carattere politico. Un festival ad amplissimo raggio, con la presenza di autori italiani e internazionali. Un festival che avrà una formula e magari anche un nome diversi da quelli che ha avuto in passato”.
Diceva un noto cantautore: “Non cambiar la regola, se regola già c’è” e se poi la regola non era così male?, ma già ben collaudata?, un peccato cancellarla. Certo le imperfezioni ci sono, ma i collaudi a questo servono. Non sarebbe stato meglio partire da una piattaforma già strutturata per ingigantire l’evento?
La ragione della scelta drastica di eliminare la Fiera delle Parole per avviare un evento culturale tutto nuovo mi sembra la conseguenza di una totale mancanza di umiltà e dello smarrimento dell’obiettivo che rende sacro un evento culturale: la cultura.
Non riusciamo proprio a imparare niente dalla storia. Siamo davvero i figli sciocchi dell’Antica Grecia? Le guerre si fermavano durante i giochi Olimpici e noi non riusciamo a mettere da parte l’arrivismo e i giochi di potere per celebrare degnamente le doti letterarie di intellettuali e artistiche?
Tutti pronti a schierarsi ora da una parte e ora dall’altra. Sembra la fiera del galletto, il galletto padovano appunto, che impettito fronteggia l’avversario pronto a morire pur di difendere la posizione di supremazia. Le guerre iniziano sempre così e poi tutti perdono sempre qualcosa. Non imparerà mai l’essere umano che le sinergie aiutano a migliorare e a crescere?
Ed è così che la kermesse letteraria che poteva diventare un evento di risonanza internazionale e dare risalto alla nostra bella città, la città dei “Gran Dottori” ora cambierà volto.
Intanto la Fiera delle Parole inventata e organizzata da Bruna Coscia, è contesa dalle città e paesi limitrofi, la vuole Verona, la chiede Este, la reclama Rovigo. Questo evento sta prendendo un’identità itinerante.
apollo1Non ci resta che invocare la protezione di Apollo e sperare che non imbracci il suo arciere.
Alla fine, tra i due litiganti potrebbe risultare vantaggioso avere due eventi a cui assistere e, se vogliamo vedere il lato positivo, una maggiore offerta culturale: un festival di sinistra e uno di destra e, noi in mezzo; noi che poco ci curiamo delle beghe di palazzo; che leggiamo il libro e non incensiamo l’autore; che non chiediamo la razza, la religione, l’ideologia dell’autore quando acquistiamo un libro, ma leggiamo la sinossi e l’incipit per capire se ci può piacere la storia; noi che siamo critici e sappiamo leggere con attenzione cogliendo il buono e lasciando il cattivo, sposando il giusto e condannando gli errori.

Speriamo però che non si mettano in competizione per farsi i dispetti e che scelgano due periodi diversi per non trovarci nell’imbarazzo di dover scegliere a quale evento partecipare, perché a casa si fa zapping comodamente seduti sul divano quando le emittenti si fanno concorrenza con programmi interessanti, in casi particolari si registra una trasmissione mente se ne segue un’altra, ma per essere presenti agli interventi di due autori contemporaneamente ci vuole quel dono che ci è stato negato e che nemmeno la scienza è ancora stata in grado di produrre, chissà se Apollo ci verrà in aiuto lo chiederemo alla la sacerdotessa detta Pizia.

10363718_939424692772931_689260281877936841_n  M. B.

Contro l’odio vince “l’accoglienza”.

pace torre

Dopo i tragici avvenimenti di Parigi avrei voluto scrivere un articolo pieno di rabbia. Rabbia per queste “cosine miserrime” che pensano di riscattare la loro vita grigia vestendo i panni di “martiri”, senza sapere che martire è colui che si fa martirizzare e muore in nome di una fede negata, e non chi martirizza e dà la morte in nome di un Dio che, se potesse, o volesse, lo incenerirebbe all’istante per aver bestemmiato il suo nome.

Ma non intendo cadere nel loro gioco e quindi scriverò un articolo sull’accoglienza. Non mi si fraintenda, non che in questo momento voglia sostenere di aprire le frontiere che sono già da un pezzo belle che spalancate, ma voglio intendere “accoglienza” nel senso più ampio del termine. Accoglienza come accettazione e rispetto reciproco, anche e soprattutto quando non la si pensa allo stesso modo, quando, cioè, sarebbe facile cedere all’intolleranza e sostenere che la propria cultura o religione siano superiori (leggi migliori, veri ecc.) rispetto a quella degli altri.

Accoglienza per me è cercare di comprendere chi non parla la tua lingua, chi non crede nel tuo Dio, o non crede affatto, chi, in breve, non la pensa come te.

pace

Ma si badi bene, questo non vuol dire che una religione valga l’altra, che un modo di pensare valga l’altro, no, anzi, questo è quanto più lontano dall’accoglienza.

Perché per accogliere chi è diverso da te devi prima di tutto sapere chi sei tu, conoscere le tue radici e non lasciarti sradicare dal primo pensiero che ti capita di incrociare per strada. Per questo, lasciatemelo dire, credo che la nostra cultura europea stia morendo. Non solo decimata poco alla volta da questa gentaglia che vorrebbe cancellare con un colpo di spugna millenni di storia, di conquiste sociali, culturali, civili e politiche, mettere il bavaglio alla stampa, uccidere la satira, cancellare i diritti, eliminare la libertà, far soccombere la pace.  E tutto questo allo scopo di imporre la loro non-cultura, la loro non-religione, il loro non-sapere.

Purtroppo però non sono solo loro i colpevoli della morte della nostra società, altrettanto colpevole è chi nega il problema, chi pensa che ci sia ancora tempo e volta le spalle alle grida delle donne jazide rapite e stuprate, ai bambini costretti a diventare guerriglieri, agli uomini sgozzati perché colpevoli di non aver voluto rinnegare la propria fede per scegliere un Dio che dio non è; ché l’Allah cui inneggiano questi imbecilli non ha nulla a che fare con la divinità e forse, anzi, di sicuro, si vergognerà di finire sulle loro bocche.

Il mio grido “vergogna” è anche e soprattutto rivolto a chi in nome di un falso politically correct propone un multiculturalismo che in realtà è un minestrone insipido dove si mescolano pensieri e concetti che nulla hanno a che fare tra di loro e che così combinati perdono la loro forza originaria.

Come non pensare ad esempio all’eliminazione dei alcuni simboli religiosi (presepe, canzoncine e simboli legati al Natale ecc.) in nome di un presunto rispetto della sensibilità altrui?

Chi non ha sentito parlare della scelta di una preside di una scuola di annullare una visita a un museo perché nei quadri erano raffigurati simboli religiosi?

E questo sarebbe rispetto? Chiudere gli occhi di fronte a ciò che è diverso da noi? Il non sapere è rispetto? Ignorare gli usi e costumi di altri popoli è forse rispetto?

Far finta che non esistano le diversità?

Questa è la riflessione con cui vorrei chiudere questo articolo: cos’è davvero il multiculturalismo, inglobare e fagocitare le diverse culture per farne un blob informe senza che le varie componenti siano riconoscibili, mettere la testa sotto la sabbia e far finta che le differenze non esistano o, piuttosto, tenere gli occhi aperti verso il mondo, guardare, ascoltare e provare a capire ciò che è altro da noi?

La meilleur façon  de survivre qui ajoute une dimension de plus à la vie,

c’est d’apprendre à vivre avec les autres, a les écouter;

la tolerance ne signifie pas simplement de tolérer les autres

mais il y va de les connaître, de les comprendre,

de les respecter et peut-être même de les admirer.

Frederico Mayor

(Direttore generale dell’Unesco 1987-1999)

#UNAVALIGIADILIBRI

BENVENUTI

NELLA BIBLIOTECA DI LETTERANDO

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Libro Vecchio (1960)   LA NOIA  di Alberto Moravia

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e Libro nuovo  (2007) RABBIA di Chuck Palahniuk

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Libro Vecchio (1961)   UN CUORE ARIDO di Carlo Cassola

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e Libro nuovo  (2015) SIRENA di Barbara Garlaschelli

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Libro Vecchio (in prima pubblicazione nel 1956) Angelica di Anne e Serge Golon

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Libro nuovo – 2015 L’amica più preziosa di Monica Bauletti

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Libro Vecchio (in prima pubblicazione nel 1958) Il Gatto0pardo di Tomasi di Lampedusa

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Libro nuovo – 2015 Il cuore aspro del

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 Libro Vecchio (in prima pubblicazione nel 1922) Siddharta di Hermann Hesse

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Libro nuovo – 2013 L’OCEANO NEL POZZO di Nino Famà

l'ocenao

Vi-Va la scuola!?

Mercoledì 10 giugno 2015, ore 12,55: driiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiin!
E vai!!! La campanella. Finalmente.

       tocco      L A S C U O L A È F I N I T A     tocco

Era ieri. Oggi si respira.
Abbiamo trattenuto il fiato a ogni interrogazione. Incrociato le dita è assunto pose scaramantiche di ogni genere a ogni verifica –ai miei tempi si chiamavano compiti in classe-.
Abbiamo passato mesi e mesi a controllare il registro elettronico ogni “non santo” giorno –in quelli “comandati dai santi” i nostri figli restavano a casa e c’era un po’ di tregua-.

Tremendo!, ogni volta che compariva un quadretto rosso era un’agonia:
A=assente –mio Dio dove sarà?-,
RB=Ritardo breve –Come mai? Che cosa avrà fatto? Che gli è successo?-,
il (meno) anche davanti a un sei è insufficiente quindi rosso sgargiante. Ogni voto sotto il 4 diventava una tragedia.
Che scoramento!, che tristezza!, che fatica!
Ogni cosa succeda ai nostri figli diventa una tragedia.
Sembra sia colpa delle “mamme italiane”:

sono troppo apprensive; dicono;

sono troppo protettive; dicono;

sono troppo ambiziose; dicono.

Sono solo mamme; dico.

Fatto sta che quando inizia la scuola lo zaino più pesante lo indossiamo noi mamme, ogni tanto lo carichiamo sulle spalle dei papà, giusto quel che serve a riprendere fiato e poi via di nuovo a correre con la zavorra che pesa.
“Mamma ho dimenticato il libro di…, mi serve assolutamente, portamelo per favore” –Può capitare, per una volta si fa-. “Va bene , ma solo questa volta, la seconda no. Te la vedi col prof”.
“Mamma non ce la faccio a studiare, MI DEVI ASSOLUTAMENTE AIUTARE. Oggi resti a casa e studi con me” –come si fa a dire di no, se un figli chiede aiuto?, è una causa giusta
“Mamma quella prof ce l’ha con me. Ne sono sicura. NON MI PUO’ VEDERE a me fa le domande più difficili e i voti sono sempre più bassi. Ci devi parlare” – Ok, vediamo che si può fare-: “Cara prof., scusi tanto, a questa età i ragazzi sono un po’ arroganti, sono … Ecc. ecc.” Si discute, si ascolta, si chiede aiuto e si cerca il compromesso-. “Brava mamma, ma che cosa le hai detto? Adesso la prof. E cambiata”. –Fiiiuu, m’è andata bene, ce l’ho fatta-.

Alla fine le vacanze scolastiche diventano una vacanza condivisa da tutta la famiglia.
Si comincia subito col dormire qualche minuto di più e la giornata scorre col pensiero sereno di chi sa che a casa tutto tace e i figli dormono.

È un sollievo! Il respiro ritrova il flusso naturale. Il cuore si adagia nel mediastino come il pellegrino sprofonda sulla sdraio dopo un lungo cammino.
La scuola in Italia è difficile sotto tutti i punti di vista. Non c’è serenità. È scomoda, disorganizzata, costosa e sottodimensionata. Costruita intorno a chi? Non ai giovani che la vivono sempre peggio. Non agli inseganti che scalano i programmi come salire sull’Everest attraverso una bufera. Non per i genitori che tra le ansie dei figli, le frustrazioni degli insegnati e i costi di libri, abbonamenti del tram e varie imprevedibili, vengono esposti a un prolungato logorio psicologico.
Colpa della crisi? È vita.

Colpa del governo? È storia.

Colpa delle mamme italiane? È amore.
Va beh, un altro anno e passato e siamo sopravvissuti. Chi ne esce soddisfatto, vincitore, un po’ malconcio, deluso, triste e sconfitto, comunque tutti vivi ed è questo che conta.

Rigenerati di nuove energie o completamente scarichi che sia, ma con ancora tanta vita davanti e nuove opportunità.

Godetevi tutti le vacanze che si sa: “…Chi vuole esser lieto, sia, di doman non c’è certezza”

vacanzeMonica Bauletti

TESORI, TESORETTI, TESORETTO.

By Monica Bauletti

By Monica Bauletti

Ho perso il mio senso ironico. L’ho smarrito strada facendo. Di certo è inciampato tra una delusione e l’altra. Oppure mi è stato sottratto in un momento di distrazione, di debolezza. Fatto sta che ora non riesco a trovare il ridicolo negli eventi della vita quotidiana. Non mi viene più da ridere. Che peccato!, e dire che ce ne sono tante cose su cui ridere, pensate al “tesoretto”. Se avessi il mio senso ironico mi sbellicherei dalle risate, ma ditemi voi è mai possibile che geni della finanza, ministri e segretari strapagati per tenere in ordine i conti dello stato si siano persi 1,6 miliardi di euro?, che miracolosamente diventano disponibili durante una seduta in camera di consiglio per l‘approvazione di un decreto? Subito si ipotizzano “misure a sostegno dei più poveri”. Così tutti a vantare il diritto di precedenza come se in questa strana Italia ci fossero categorie povere in grado di essere ascoltate.Il povero sussurra, si lamenta piano, ha una dignità da difendere, unica ricchezza rimastagli che resiste oltre le privazioni e la fame.

Beh, stiamo a vedere che fine farà questa pioggia di soldi arrivata per incanto a bagnare l’aridità di una crisi senza fine. No, l’allegoria non va bene. Non consideriamola una pioggia altrimenti chi ne accumulerà di più sarà come sempre chi ha i mezzi per trovare il contenitore più grande. Il poveraccio oltre a mettere le mani a coppa che cosa potrà fare?

Va be’ sarà quel che sarà. Che poi chissà se c’è davvero questo tesoretto, non è che perché uno lo dice durante una conferenza stampa, poi si materializzi per davvero. Se fosse un altro errore di conteggio? Se piuttosto che avere il segno più ci fosse stato un errore di trascrizione e avesse il segno meno? L’algebra è insidiosa se non si sta attenti. Chi si è distratto una volta potrebbe distrarsi ancora. Possiamo fidarci di chi dichiara di essersi trovato in saccoccia 1,6 miliardi così, per caso?: “Ohibò! Ma guarda un po’ che mi trovo in tasca oggi, quasi due miliardi, ma che bella sorpresa!”

“Ma che presa per il culo!” oserei dire. Insomma stiamo tirando la cinghia da anni. Ci hanno appena aumentato tasse, l’aliquota IVA e oneri vari. Vado a prenotare una visita alla clinica convenzionata USL e la segretaria mi dice che se mi avvalgo del ticket pago quasi il doppio rispetto la visita privata. Mi dicono che “forse” potrò andare in pensione a 66 anni ed 1 mese e mi viene sempre più spesso da chiedermi perché verso i contributi che ogni anno aumentano? Come se non bastasse adesso arriva spavaldo e sorridente il “mio” presidente del consiglio a dirmi che ha trovato un “tesoretto” e decideranno come spenderlo.

Ma che cazzo! Scusatemi, la perdita dell’ironia mi stimola la parolaccia. Lo so che non si piange sul latte versato, però c’è gente che forse avrebbe sofferto di meno se i conti fossero stati fatti meglio al momento giusto, se avesse potuto evitare di pagare alcune tasse che poi, diciamocelo, non è che i servizi offerti siano adeguati ai costi imposti.

Andando alla ricerca della mia ironia perduta, sono di nuovo inciampata e che ti trovo? Un articolo di qualche giorno fa sul sito della UIL Romalazio dove il segretario generale della Uil di Roma e del Lazio, Alberto Civica in un’intervista rilasciata a Teleroma 56 va elencando le percentuali di aumenti gravanti sul popolo della capitale. E ci consegna un’analisi statistica poco confortevole:

“Sono soprattutto le tasse e i beni di prima necessità ad aumentare durante il mese di marzo 2015. La fornitura d’acqua in testa, con un 32,9% in più rispetto allo stesso periodo dello scorso anno e un più 9% rispetto al mese precedente. Segue la raccolta delle acque di scarico (+20,8 rispetto a marzo 2014 e +8,8% rispetto a febbraio 2015) e i vegetali che registrano su base annua un più 8,5%. Più 2,6% anche per caffè e te, più 3% per le bevande alcoliche e più 1,4% per pesce e prodotti ittici. Questi alcuni dati sull’inflazione nella Capitale nel mese di marzo 2015 elaborati dalla UIL di Roma e del Lazio”.

Sarà anche un’indagine statistica riferita a Roma, ma credo che nel resto dell’Italia le medie di aumenti non diano un risultato molto diverso, come si dice : “Tutto il mondo è paese” e quando si parla di tasse l’equità è d’obbligo, o forse no? Porca vacca! (Scusatemi la parolaccia ma non ho ancora trovato la mia ironia.) Certo che no! Sarà equa la distribuzione oggettiva, ma non certo quella soggettiva. Sappiamo tutti che si paga in base a ciò che si dichiara, no? E allora come si deve fare per pagare meno? Basta non dichiarare nulla!, e chi sono i maestri in questo settore? Non ne parliamo che è meglio! Intanto sappiamo tutti che sono sempre gli onesti che pagano, chi ha la casetta, chi ha il reddito fisso, e anche chi l’ha perso, e ciò nonostante fa le acrobazie per continuare a pagare la rata del mutuo, la tassa comunale, il canone RAI, magari rinunciando alla visita medica o spostandola di un mese, lasciando la macchina ferma in garage perché l’assicurazione è scaduta e il serbatoio è vuoto e così via.

Certo i miei sono discorsi da persona ignorante che sa a malapena fare 2 + 2, ma che almeno è certa del risultato! A gente come me non è concesso di sbagliare i conti, Equitalia è in agguato punisce all’istante chiunque non sia puntuale e preciso.

Però mi farebbe comodo un tesoretto anche più piccolo, va comunque bene con qualche zero in meno. Quasi quasi mi metto in lista e faccio pure io la mia proposta per come investire i 1,6 miliardi. Sono davvero tanti, non riesco nemmeno a quantificarli. Io a malapena riesco a ragionare fino a 4 zeri, già i 5 son un’eccezione.

Mia suocera, che di economia domestica è maestra e riesce a vivere pagando bollette, spese condominiali, tasse, visite mediche e medicine con la sola pensione di mio suocero direbbe che un tesoretto di tali dimensioni è un insulto alla miseria. Già!, vantare con tanta leggerezza e spavalderia che, dopo avere spremuto i più poveri, si dispone di una cifra così ingente e non è immediata la decisione, ma si dovrà valutare con attenzione come utilizzarla, è davvero un insulto.

Self-publishing? No, grazie!

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di redazione

Tempi duri per gli esordienti. Come se in passato fosse stato semplice, potrebbe contestare qualcuno. Certo, verissimo, la vita per gli scrittori esordienti non è mai stata semplice, solo che dopo aver letto quest’articolo molti rimpiangeranno i bei tempi passati a cercare un editore, barcamenandosi tra quelli che: «wow, che libro magnifico! Quanto ci dai per pubblicartelo?», e altri che, con metodi più sottili, avrebbero detto più o meno così: «fantastico, firma il contratto e dopo l’acquisto di un minimo di copie (mille o duemila giusto per essere sicuri) te lo pubblichiamo subito». E allora l’esordiente troppo in gamba per cadere in simili tranellucci, o troppo squattrinato – decidete voi – che fa? Si rivolge all’unico mezzo gratuito che gli permetta di pubblicare il suo “capolavoro” e avere almeno uno straccio di popolarità: l’auto-pubblicazione su Amazon. Ma purtroppo, cari scribacchini in cerca di affermazione, mi duole darvi una simile batosta (anche perché nella categoria succitata rientra anche la sottoscritta) ma tra qualche mese potrebbe non essere più possibile per un esordiente pubblicare sulla piattaforma Kindle di Amazon.

Vi giuro che all’inizio anch’io ho pensato a uno scherzo, ma se è vero quanto si vocifera in questi giorni in America, il rischio è reale e concreto.

Ma andiamo per ordine e cerchiamo di sbrogliare la matassa. Da sempre all’avanguardia, il mercato americano è stato il primo a scoprire le potenzialità del web per la diffusione dei libri, soprattutto di quelli self e in formato digitale. La risposta dei lettori statunitensi però è stata così forte che neppure i colossi dell’editoria se lo aspettavano. Solo che, vuoi per i prezzi contenuti, vuoi per le promozioni gratuite a cui un esordiente, per forza di cose, deve ricorrere, fatto sta che il fenomeno degli esordienti self ha iniziato a dar fastidio alle grandi case editrici americane. O forse sarebbe meglio dire al gotha degli scrittori professionisti? Spesso, insospettabili autori di best-seller hanno puntato il dito contro il fenomeno del self-publishing che andrebbe a intasare un mercato già in crisi con delle opere di scarsa qualità letteraria, togliendo così visibilità ai “grandi”. Vi risparmio il mio giudizio circa il danno che gli esordienti possano arrecare a questi poveri miliardari, ma se il malcontento all’inizio si era limitato a serpeggiare, ora pare che sia lo stesso Amazon che, non volendo perdere clienti molto più influenti di quattro miseri scribacchini, sia intenzionato a prendere provvedimenti escludendo dalla propria piattaforma non solo tutte le forme di auto-pubblicazione, ma anche le piccole case editrici; quelle che, per intenderci, non raggiungano un target minimo di vendite. Come a dire che alla festa, o al party, sono invitati solo le grandi e medie case editrici, gli altri che si arrangino pure. Questo almeno quanto “gentilmente” suggerito dai colossi dell’editoria americana, pena velate e non meglio definite minacce di ritorsione contro lo stesso Amazon.

Va detto che al momento si tratta solo di voci, ma la messa al rogo del self pare ormai prossima, entro l’estate, secondo gli addetti ai lavori.

Ovvio che ciò che preoccupa è se questo scellerato provvedimento possa estendesi anche al mercato italiano perché, anche se i grandi autori tendono a minimizzare, pare che il fenomeno dell’auto-pubblicazione inizi a dar fastidio anche alle case editrici nostrane. Al momento quella che si è espressa a favore del provvedimento sarebbe la Mondadori, supportata anche da alcuni celebri esponenti della sua scuderia, in primis Barbara D’Urso che, in una non proprio recente intervista, parlava del fenomeno in questi termini: «Non mi dispiace che un esordiente ricorra ad alcuni “aiutini” per acquisire visibilità, ma quando il fenomeno arriva a danneggiare i professionisti, allora bisognerebbe fermarsi a riflettere».

E come darle torto?

Ironie a parte, anche perché se l’ipotesi fosse reale ci sarebbe poco da ridere, noi di Letterando lasciamo ai nostri lettori la possibilità di commentare. Voi che ne pensate? Vi sentite danneggiati?

Continuate a seguirci perché seguiremo il fenomeno da vicino e, se proprio dovesse mettersi male, siamo disposti a scioperare, metterci dietro le barricate, o qualunque altra azione sia necessaria per far rinsavire le case editrici.

Sulla pelle delle donne

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Qualche sera fa mi è capitato di assistere a quanto di più crudele si possa attuare nei confronti di una donna. Mi riferisco alle terribili immagini del servizio mandato in onda dalle Iene e curato dalla bravissima Nadia Toffa, una donna coraggiosa che ha portato alla luce tanti misfatti, tra i quali quelli perpetrati nella Terra dei fuochi. Ma non è di inquinamento che si parlava nel servizio andato in onda giovedì 19 marzo, quanto della sporca guerra messa in atto da un manipolo di scriteriati che hanno deciso di invadere il mondo con la loro barbarie. Ovviamente, avrete capito, mi riferisco a tutti quei gruppi terroristici come l’Isis, Boko Haram ecc. Questi disgraziati, non contenti di invadere, distruggere monumenti e luoghi di culto, uccidere e sterminare, non trovano di meglio per mettere in atto la loro vigliaccheria se non rifacendosi nei confronti delle donne. Le rapiscono, le incatenano, le mettono dentro gabbie esibendole come capi di bestiame e poi  le vendono, dandole in moglie ad altrettanti scriteriati privi di ogni moralità. Queste donne, spesso bambine di sei o sette anni, sono costrette a diventare le loro concubine, di uno o di un gruppo, e sono soggette alle violenze più atroci tanto che molte, pur di non essere vittime dei loro soprusi, preferiscono il suicidio. Ma molte non ce la fanno, o sono troppo piccole per scegliere, come le bambine che spesso finiscono per morire dissanguate dopo gli stupri di gruppo. Interi villaggi sono stati rasi al suolo e le popolazioni non musulmane trucidate in questo modo atroce: gli uomini sgozzati, i bambini rapiti e portati nei campi di addestramento per farli diventare dispensatori di morte e le donne, come abbiamo detto, ridotte a schiave, vendute e stuprate. E in tutto questo l’occidente che fa? Chi si indigna, chi si ribella, chi alza la voce per queste ragazze? Nessuno. Dall’Europa e dall’occidente si leva solo un silenzio colpevole. Perché sì, cari amici di Letterando, non si è colpevoli solo per ciò che si fa, ma anche per ciò che non si fa, per l’indifferenza e per il silenzio. Noi di Letterando crediamo che una società civile non possa voltarsi dall’altra parte di fronte a queste atrocità, e per questo abbiamo deciso di reagire. Ma ci serve il vostro aiuto, piccolo magari, ma importantissimo. Se un sassolino scagliato contro una montagna non fa rumore, diverso è quando i sassolini sono cento, mille, duemila. Vi diremo di più su quest’iniziativa che dovrebbe partire dalla prossima settimana, per il momento vi invitiamo a condividere questa notizia, a denunciare questa situazione, a non restare zitte. Il sassolino che vi chiediamo di lanciare dalle vostre bacheche è un hashtag con la scritta “siamo tutte yazidi”, dal nome del popolo originario di queste ragazze e che è oggetto di un vero e proprio genocidio.

#siamotutteyazidi

#weareallyazidis

Qui sotto trovate il link del servizio delle Iene.

http://www.video.mediaset.it/video/iene/puntata/toffa-le-vittime-dell%E2%80%99isis_523321.html

Continuate a seguirci perché le iniziative che abbiamo in mente sono tante, ma abbiamo bisogno del vostro aiuto.

Otto marzo: noi non festeggiamo

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di Coralba Capuani

Domani è l’otto marzo, giorno in cui ricorre la festa della donna, ma noi di Letterando, che siamo appunto due donne, abbiamo deciso di non festeggiarlo. In quest’articolo vi spieghiamo il perché.

Crediamo che quest’occorrenza, nata come commemorazione di un evento tragico (il rogo di una fabbrica dove morirono molte donne perché, chiuse a chiave, non riuscirono a fuggire – ndr) non è una festa e non lo è mai stata. Forse all’inizio i motivi erano nobili, come quello appunto di esaltare il ruolo e l’importanza della figura femminile nella società, ma via via questa ricorrenza si è trasformata in una festa commerciale i cui unici benefici sono rappresentati dagli introiti maggiorati dei fiorai, pizzaioli, ristoratori e spogliarellisti. Nulla di male, in fondo, se nella realtà di tutti i giorni  il ruolo della donna fosse parificato a quello dell’uomo, cosa che, come sappiamo tutti, così non è. E, anzi, aggiungerei anche che è ben lontana dal vero. Ma quello che ci spinge a non festeggiarla proprio quest’anno, è l’aumento esponenziale delle violenze e delle discriminazioni perpetrate ai danni del genere femminile, tanto che da qualche anno a questa parte si è ricorso alla coniazione di un nuovo termine, il femminicidio, per descrivere questo fenomeno. E a indignarci non è solo la violenza o l’omicidio di tante povere donne la cui unica colpa è l’essersi innamorate dell’uomo sbagliato, l’uomo del “mia o di nessun altro”, ma soprattutto certe discutibili sentenze che offendono la memoria di queste povere donne rendendole doppiamente vittime: del fidanzato/marito/compagno e dello Stato. Non vogliamo entrare in merito a sentenze di cui non conosciamo i risvolti, ma come non ci si può indignare di fronte alla presunta “mancanza di crudeltà” di Parolisi che, pur essendo stato ritenuto l’esecutore dell’omicidio della moglie Melania Rea, viene assolto da tale aggravante perché:

  1. Visto che trattasi di omicidio d’impeto il numero delle coltellate (trentacinque!) non costituisce aggravante
  2. La bambina non ha risentito dell’evento essendo troppo piccola
  3. Il fatto che l’uomo non si sia pentito subito dopo e non abbia soccorso la moglie è cosa normale visto che il suo intento era quello di ucciderla

E che dire poi del non luogo a procedere nei confronti di Antonio Logli, marito della povera Roberta Ragusa che, non solo è stata con tutta probabilità uccisa, ma di cui non si è neppure trovato il cadavere. Non aveva diritto almeno a un processo atto ad approfondire meglio i fatti? A quanto pare no, Roberta è sparita, peggio per lei, fine.

Forse a qualcuno potrebbe consolare l’idea che questi siano casi eccezionali ed estremi, cosa che non è visto il numero crescente di donne uccise, m in ogni caso a noi di Letterando non consola sapere quanto stia regredendo il ruolo che la donna ricopre nella società odierna. Se pensiamo alle battaglie per la parità degli anni ’60, quanto è rimasto di quel fervore di uguaglianza? Quanto ci siamo svendute solo per il raggiungimento di una mera parità sessuale? Quanto, dei nostri principi di uguaglianza, di valorizzazione dei nostri talenti, della realizzazione dei nostri sogni, si è perso per strada? Quanta disuguaglianza, misoginia e svilimento ci sono in certe raffigurazioni della donna considerata solo involucro, puro corpo senza anima?  È questa la libertà per la quale hanno lottato le nostre mamme?

No, noi di Letterando non crediamo proprio. E non crediamo proprio che si possa festeggiare quando ci sono ragazze rapite da estremisti islamici e mai tornate a casa (#bringbackourgirls continueremo a gridare dalle nostre pagine virtuali!), fin quando sarà permesso l’abuso delle spose bambine,  l’infibulazione, gli stupri su autobus affollati in India, finché nel lavoro la maternità sarà considerata un problema, finché le donne saranno considerate un richiamo per vendere merci, finché non saremo considerate per ciò che siamo e facciamo invece di perdere tempo a chiederci se sia meglio chiamarci ministro o ministra.

27 gennaio Giorno della Memoria

PRIMO LEVI – Se questo è un uomo, lettura della poesia a cura di letterando.

http://youtu.be/jgwTQh5kvHg

PRIMO LEVI – SE QUESTO E’ UN UOMO – PER NON DIMENTICARE

Il 27 gennaio 1945 i cancelli di Auschwitz furono abbattuti

tag – non dimenticare:
UOMO, DONNA, BAMBINO, BAMBINA,
PADRE, MADRE, FIGLIO, FIGLIA, NONNO, NONNA, ZIO, ZIA,
FAME, FREDDO, DOLORE, FERITA, SANGUE,
MALE, MALE, MALE, MALE, MALE, MALE, MALE, MALE,
CAMERA A GAS, FORNO CREMATORIO, OLOCAUSTO, GENOCIDIO,
PAURA, PAURA, PAURA, PAURA, PAURA, PAURA, PAURA, PAURA,
SOLITUDINE, AFFETTI, RICORDI, SOFFERENZA, ABBANDONO, PERDITA
RICORDA, RICORDA, RICORDA, RICORDA, RICORDA, RICORDA RICORDA

NUMERI.
Nome – Stato – Tipo Operatività – Prigionieri – Vittime
Arbeitsdorf
Germania Campo di lavoro 8 aprile 1942 11 ottobre 1942 – min. 600
Auschwitz[2]
Polonia Campo di concentramento, sterminio e lavoro 20 maggio 1940
27 gennaio 1945 – 400.000[3] -1.100.000[3]

Bardufoss
Norvegia Campo di concentramento marzo 1944 – 800 – 250
Bełżec
Polonia Campo di sterminio marzo 1942 giugno 1943 – 434.508 – 600.000

Berg
Norvegia Campo di transito ottobre 1942 – 842
Bergen-Belsen
Germania Campo di raggruppamento aprile 1943 15 aprile 1945 –  63.000

Bolzano
Italia Campo di transito luglio 1944 aprile 1945 – 11.116 – 60

Bredtvet
Norvegia Campo di concentramento
Breendonk
Belgio Campo di prigionia e di lavoro 20 settembre 1940 settembre 1944
min. 3.532 min. 391
Breitenau
Germania Campo di lavoro giugno 1933 marzo 1934 e 1940 1945 – 470-8.500
Buchenwald
Germania Campo di lavoro luglio 1937 aprile 1945 – 238.980 – 250.000 -34.375 – 60.000

Chełmno
Polonia Campo di sterminio dicembre 1941 aprile 1943 poi aprile 1944 gennaio 1945
184.300 – 350.000

Dachau
Germania Campo di lavoro marzo 1933 aprile 1945 – 206.206 – 31.951

Falstad
Norvegia Campo di prigionia dicembre 1941 maggio 1945 min. 200

Flossenbürg
Germania Campo di lavoro maggio 1938 aprile 1945 – 96.000 – 30.000  – 74.000

Fossoli
Italia Campo di transito gennaio 1944 agosto 1944 -5.000 -67

Fullen
Germania Campo di prigionia 23 settembre 1943 29 giugno 1945 – 872

Grini
Norvegia Campo di prigionia dicembre 1941 maggio 1945 – 20.000
Gross-Rosen
Polonia Campo di lavoro agosto 1940 febbraio 1945 – 125.000 40.000
Herzogenbusch
Paesi Bassi Campo di prigionia e di transito 1943 – estate 1944

Hinzert
Germania Campo di raggruppamento luglio 1940 marzo 1945 – 14.000 min. 302
Jasenovac
Croazia Campo di sterminio agosto 1941 aprile 1945 – 700.000
Kaufering/Landsberg

Germania Campo di lavoro giugno 1943 aprile 1945 – 30.000 min.14.500
Kaunas (Kauen)
Lituania Ghetto e campo di internamento
Klooga
Estonia sottocampo del campo di concentramento di Vaivara estate 1943 28 settembre 1944 ca. 2.400
Langenstein-Zwieberge
Germania sottocampo del campo di concentramento di Buchenwald aprile 1944 aprile 1945 5.000 2.000
Le Vernet
Francia Campo di internamento 1939 – 1944

Leopoli (L’viv)
Ucraina Campo di lavoro e di sterminio settembre 1941 novembre 1943

Majdanek (KZ Lublin)
Polonia Campo di sterminio luglio 1941 luglio 1944 – min. 200.000
Malchow
Germania inverno 1943 8 maggio 1945

Maly Trostenets
Bielorussia Campo di sterminio luglio 1941 giugno 1944 – 200.000-500.000
Mauthausen-Gusen
Austria Campo di lavoro e di sterminio agosto 1938 maggio 1945 195.000 min. 95.000
Mittelbau-Dora
Germania Campo di lavoro settembre 1943 aprile – 1945 60.000 min. 20.000
Natzweiler-Struthof
Francia Campo di lavoro maggio 1941 settembre 1944 -40.000 25.000
Neuengamme
Germania Campo di lavoro 13 dicembre 1938 4 maggio 1945 -106.000 55.000
Niederhagen
Germania Campo di prigionia e di lavoro settembre 1941 inizio 1943 – 3.900 1.285
Oranienburg (vedi Sachsenhausen)
Germania Campo di raggruppamento marzo 1933 luglio 1934 – 3.000 min. 16
Osthofen
Germania Campo di raggruppamento marzo 1933 luglio 1934

Plaszów
Polonia Campo di lavoro dicembre 1942 gennaio 1945 min. 150.000 min. 9.000
Ravensbrück
Germania Campo di lavoro maggio 1939 aprile 1945 -150.000 min. 90.000
Riga-Kaiserwald

(Mežaparks) Lettonia Campo di lavoro 1942 – 6 agosto 1944 – 20.000
Risiera di San Sabba (Trieste)
Italia Campo di detenzione settembre 1943 29 aprile 1945 – 25.000 5.000
Sachsenhausen
Germania Campo di lavoro luglio 1936 aprile 1945 min. 200.000 100.000
Sobibór
Polonia Campo di sterminio maggio 1942 ottobre 1943 – 250.000
Stutthof
Polonia Campo di lavoro (1939-1942); campo di concentramento (1942-1945) settembre 1939
maggio 1945 – 110.000 65.000
Lager Sylt (Alderney)
Isole del Canale Campo di lavoro marzo 1943 giugno 1944 -1.000- 460
Theresienstadt
Repubblica Ceca Ghetto e campo di transito novembre 1941 maggio 1945 – 140.000 35.000
Treblinka
Polonia Campo di sterminio luglio 1942 novembre 1943 –  min. 800.000
Vaivara
Estonia 15 settembre 1943 29 febbraio 1944
Varsavia
Polonia Campo di lavoro e di sterminio 1942 – 1944 – 40.000 – 200.000
Westerbork
Paesi Bassi Campo di raggruppamento ottobre 1939 aprile 1945 – 102.000

(nota: le cifre riportate si riferiscono a stime; lo stato indicato è quello attuale; per dettagli vedi riferimenti bibliografici)

#UnLibroèdiPiù

di Monica Bauletti

“Non arrabbiatevi per un nonnulla”, esortava Ernesto Calindri dal tubo catodico degli anni 60, proponendoci una sua personale ricetta per combattere il “logorio della vita moderna”.
Un’immagine più moderna che mai la sua! Lui, seduto in mezzo ad un traffico frenetico che placido si gode un momento di relax.
Mi riporta a qualche anno fa, per la verità un bel po’ di anni fa, purtroppo.

Io, giovane ragazza in carriera: sveglia alle 7:45, capello corto, doccia e – grazie madre natura – niente trucco. Un vestitino a caso – ogni straccio fa un figurone quando si è giovani -, colazione al volo. Sulla mia peugeot 205 roland garros via al lavoro. 8:15! Ero sempre la prima in ufficio.

Poi di colpo la vita si ribalta. Trovo l’amore e in capo a due anni: sveglia alle 6:00, doccia, caffe, magari un po’ di trucco servirebbe ora, ma va che tempo non c’è! In tre sul lavandino con l’ochetta gialla come portasapone e lo spazzolino da denti che è un eroe perché distrugge il mostro dal mone: carie. Il dentifricio è quello di paperino che sa di caucciù.

In macchina -adesso è una station wagon- in mezzo a un traffico deciso a divorarmi viva assieme ai miei figli. Sto lì in questa scatola metallica con ruote e tutto il mio mondo dentro. E allora che si fa?
Mamma canta!” urla il più grande dei due e mamma canta, tutto il tempo canta e i mie figli, dallo specchietto retrovisore, fanno il coro. A un tratto mi accorgo che la canzone di Angelo Branduardi: “Alla fiera dell’est” è troppo corta.
Già! La vita moderna logora. Lo stress, la fretta, l’ansia travolge tutto. La vita scappa. Perdi il presente lanciata a fionda sul dopo e il prima è passato troppo in fretta per poterlo ricordare.
Ci vuole una ricetta signor Calindri, una nuova ricetta che insegni a tenere stretto il presente per non dimenticare.

Allora che fai?  Scrivi, fotografi, riprendi. Ma non basta, il tempo non frena signor Calindri.

Bisogna cambiare abitudini. Fermarsi a guardare negli occhi la gente. Parlare pensando alle parole dette. Imparare a leggere tra le righe, negli sgurdi,nelle incertezze e tra le frasi lasciate a metà.
Dobbiamo imparare a leggere. Tutto diventa traccia da decifrare, da interpretare. Il problema è che non sappiamo più leggere. Passiamo in superficie. Va di moda la lettura veloce. Non sappiamo scoprire il significato profondo che si nasconde dietro una frase. L’assonanza melodica delle parole ben accostate. Trangugiamo qualsiasi scritto senza apprezzarne i pregi e passando sopra a tante assurdità prendendo ogni bufala per grande verità.
Un buon esercizio signor Calindri sarebbe soffiare. Sì, soffiare sopra la schiuma fatta di bollicine vuote e andare a prendere il buono che c’è sotto.

Senza alcun dubbio la schiumetta è bella da vedere, ma se parliamo di gusto, allora a riempirci la bocca di schiuma non ne resta molto. Va beh.
Adesso non canto più “Alla fiera dell’est” da parecchi anni e se mi guardo indietro vedo una scia di immagini a tratti veloci che poi rallentano. Ma sono nitidi i carateri delle didascalie, le cose scritte non si dimenticano e se si dimenticano basta rileggerle,così ho un cassetto pieno di carte: i disegnini prima, ipensierini poi. I temi e le lettere. I bigliettini carichi di promesse con i buoni propositi a Natale. I diari e i quaderni.

Le parole scritte non sbiadiscono e non perdono intensità. Basta uno momento per ricordare l’emozione provata alla prima lettura.

Una frase stampata è di più

Un libro è di più.

Legge di (in)Stabilità 2015 – “Italie mon amour”

italia

di Monica Bauletti

Oh, oh, ooops! Per dindirindina! Mi è semblato di vedele un gatto!

Ho esaurito le esclamazioni e ora mi prende il panico.
Sto leggendo le novità introdotte dalla legge di stabilità e nello specifico mi concentro sull’ IVA: tutte le misure della Legge di Stabilità 2015, un po’ mi perdo nel leggere:
Regime dei minimi (aliquote che aumentano e termini che crollano),
IVA al 4 sugli ebook (mezza fregatura per i self),
Reverse charge e split payment (grande fregatura per le imprese e caos generalizzato per mancanza dell’emissione del decreto attuativo),
Semplificazioni dichiarative (anticipo della presentazione della dichiarazione IVA a partire dal 2016 con l’obbligo di presentazione a febbraio anziché a settembre, ben 7 mesi prima)

Dopo tutto questo, con il fumo che comincia a uscirmi dalle orecchie per la confusione che mi riempie la testa e il fumo dal naso per la rabbia, mi imbatto nella Clausola di salvaguardia (la famosa ciliegina sulla torta?!)
Ecco cosa dice la Legge di Stabilità 2015 sulla “clausola di salvaguardia”… “in base alla quale nel caso in cui non si riesca ad assicurare il rispetto dei saldi di bilancio attraverso altre misure (risparmi di spesa o maggiori entrate), a partire dal 2016 scattano aumenti IVA: due punti in più dal 1 gennaio 2016, quindi con aliquote al 12% e al 24%, un altro punto nel 2017, con le aliquote quindi al 13 e al 25%, e un mezzo punto nel 2018 sulla sola aliquota massima, che arriverebbe così al 25,5%. Come detto, è una clausola di salvaguardia, che prevedibilmente si cercherà di evitare, non di una misura destinata ad entrare sicuramente in vigore.”
Un disagio mi prende lo stomaco, mi tremano le gambe e mi gira anche la testa.
Calo di zuccheri? No non ne soffro, piuttosto mi ricorda quel genere di “malstare” che prende dopo un prelievo di sangue.
Oh perbacco! Chissà mai perché mi viene in mente di paragonare un “dissanguamento” con l’aumento delle aliquote IVA.

Il governo si porta avanti e con il decreto di stabilità ci informa che l’aumento di due punti l’anno delle aliquote iva è ipotizzato a partire dal 2016 e servirà a realizzare un maggior gettito nelle casse dell’erario, maggior gettito destinato a coprire gli ammanchi di bilancio a sostegno della spesa pubblica.
Aspetta che forse ora ci arrivo, una lucina mi illumina la mente e credo di capire la causa del mio giramento di testa(?!): spesa pubblica… spesa pubblica… eurèka! Sì ho capito:

se il governo non riuscirà a ridurre le spese per il suo mantenimento e non aumenteranno le entrate in seguito a una maggiore produttività di reddito grazie alla tanto sperata ripresa economica, si è già pensato di compensare ciò che non sarà introitato attraverso le imposte dirette (trattenuta IRPEF IRPEG IRAP ecc. ecc) con l’aumento dell’imposta indiretta (IVA).

Come dire: “se non ti trombo ti inculo!”

Evviva ho capito l’origine del mio malore, ora sto meglio!

Vedi, vedi che tutto si risolve.

Io non rido più.

razzi

di Coralba Capuani

Articolo breve quello di oggi, scritto solo per condividere con voi lettori lo sdegno avvertito dalla sottoscritta nell’assistere all’intervista dell’on. Antonio Razzi.

Per chi non avesse seguito la vicenda, si fornisce un breve riassunto dei fatti.

Fase I

Dopo il flop dell’ultima edizione della famosa trasmissione Scherzi a parte condotta da Luca e Paolo, la rete decide di riprovarci ma andandoci cauta. Quindi decide di realizzare solo due puntate prova condividendo “la responsabilità” del successo o dell’insuccesso con Le Iene, affidando, infine, la conduzione all’inaffondabile Paolo Bonolis. Fin qui tutto normale. Quale sarebbe quindi la causa dello sdegno cui si fa cenno qualche riga sopra? E qui viene il bello, cari amici di Letterando, perché, come se non bastassero le ospitate nei vari talk show, ora i politici hanno invaso anche gli spettacoli più leggeri, quelli che una volta sarebbero stati inglobati nella categoria del varietà, quindi dove non dovrebbe esserci traccia della loro presenza. E qui vi sbagliate perché l’on. Razzi è stato vittima di uno scherzo. Niente di traumatico, è stato solo mollato in strada vestito da Elvis per qualche ora. Razzi era stato convocato in precedenza dalla redazione della trasmissione per proporgli di collaborare allo scherzo che avrebbe dovuto vederlo come vittima (in pratica avrebbe dovuto fingere di non sapere nulla), ma gli ideatori del programma, da gran burloni quali sono, lo scherzo glielo hanno fatto davvero, ribaltando il copione che il povero Razzi avrebbe dovuto seguire e, come dicevo sopra, mollandolo letteralmente in mezzo a una strada. Tralasciando di commentare il cattivo gusto di combinarsi con una mise rosa shocking da parte di un senatore della Repubblica Italiana, tacendo altresì la dabbenaggine di starsene per mezza serata al freddo, in mezzo a una strada senza chiedere aiuto, mollare tutto o vagamente intuire l’imbroglio, ecco, anche volendo tralasciare tutto ciò, non si può non commentare l’intervista rilasciata la puntata seguente, quella di ieri per intenderci, ed è per questo che vi rimando alla Fase II.

Fase II

L’onorevole viene invitato in studio per commentare lo scherzo della puntata precedente. Segue siparietto tra il conduttore e il senatore e prese per i fondelli varie. Tra le perle cito un «fatti li cazzi tua» a una domanda volutamente incomprensibile, «ho portato la tv abruzzese in Corea del Nord, lì ormai mi conoscono tutti», «parlavo in tedesco (durante lo scherzo – ndr) perché ho vissuto a lungo in Svizzera, il deutche-schweitz (ma era piuttosto incomprensibile – ndr) è la lingua che uso di più insieme all’abruzzese. Infatti l’italiano lo mastico poco». Come non ricordare la perplessità dell’onorevole di fronte all’arrivo di un certo “Energumèni”: «chi è questo?», domanda infatti alla redazione. Termino qui rimandandovi alla fine dell’articolo dove troverete il link per vedere lo scherzo. Sempre se ne avete il coraggio…

Ora, tutto questo andrebbe anche bene se il signor Razzi fosse un pacifico coltivatore diretto abruzzese, ma dato che egli (perché qui la formalità ci vuole!) ricopre la prestigiosa carica di senatore della Repubblica Italiana, ha fatto parte della Commissione Cultura, Scienza e Istruzione  per ben due volte, nel 2007 e nel 2011, riceve un vitalizio che lasciamo perdere… beh, è a questo punto che mi sono indignata! Soprattutto sentendo le risatine del pubblico, che poi rispecchiano quelle di vasta parte dell’opinione pubblica italiana. Ma che c’avete tanto da ridere? Io mi vergogno di essere abruzzese, che la mia regione abbia mandato avanti un soggetto simile a scapito di tanta gente colta e preparata. Mi vergogno del fatto che noi italiani si continui a ridere di certa gente invece di incazzarci (lasciatemi correre il termine) come avverrebbe in qualsiasi paese civile. Perciò io non rido. Perché in un paese sull’orlo del default, con una disoccupazione spaventosa, con livelli di corruzione degni di paesi non del terzo, ma del quarto, anche del quinto mondo se ci fosse! Con gente che non arriva a fine mese, che non sa come campare i figli e che arriva al suicidio, voi ancora avete voglia di ridere? Io no. Noi di Letterando no. Perciò se siete d’accordo con noi scrivete sulle vostre bacheche #iononridopiù #AntonioRazzischerzo #campagnaLetterando

http://www.video.mediaset.it/video/scherziaparte/scherzi/507207/lo-scherzo-ad-antonio-razzi.html

F F F(Forte Forte Forte)? No, M M M (moscio, moscio moscio)

 

Presentazione nuova trasmissione rai " Forte forte forte" con Raffaella Carra'

di Coralba Capuani

Ieri sera, navigando nella vacuità del palinsesto televisivo, mi sono imbattuta, o, meglio, tra l’ennesimo documentario sulla Seconda Guerra Mondiale e le disgrazie teatralizzate di Quarto Grado, ho deciso, dicevo, di puntare sulla mitica Raffa. Sicura che la caratura della sua personalità garantisse un minimo di decenza a un genere di programma – il talent – che non amo molto. Ero sicura cioè che, certo, non mi sarei trovata di fronte a un programma innovativo, artisticamente elevato e coinvolgente, ma speravo almeno nella briosità della giuria e, in partcolar modo, proprio della Raffa nazionale.

Ora, a parte l’idea del conduttore esordiente che non mi è dispiaciuta – da tempo non si vedevano facce nuove in Rai nella fascia serale – il programma mi è sembrato da subito “tale e quale”, come direbbe il buon Conti, a X Factor, Amici, The Voice e chi più ne ha più ne metta. Ho riscontrato con quest’ultimo, poi, un’imitazione a dir poco imbarazzante: stesse inquadrature dei concorrenti nel backstage, storie strappalacrime o auto esaltanti del tipo “ma quanto so’ bravo, ma quanto so’ bello”, inquadrature del parente-accompagnatore volte a esaltare la bravura del concorrente di turno – ché i figli so’ piezze e core – inquadrature del concorrente sulla macchina dello sponsor di turno (a breve ci aspettiamo anche la caramella per schiarirsi la voce prima dei live), stesso linguaggio americanizzante (live, white room, one-man-show, showman, show-woman ecc.)

Ma passiamo alle vere note dolenti che, a mio avviso, sono principalmente due.

La prima risiede nell’idea del programma, quella, cioè, di voler trovare un talento che sappia ballare, cantare e intrattenere come Fiorello. A parte che Fiorello è sicuramente un maestro in quanto a intrattenimento, ma non si può certo definirlo cantante o ballerino. Almeno non nel senso letterale del termine. Diciamo invece che ballicchia e canticchia discretamente, anche se il vero talento del Fiore nazionale è la sua verve, l’ironia, il suo saper interagire con il pubblico, la creatività e tanti altri pregi. Quindi si comprende già la falla di fondo. Non si può pretendere di trovare un cantante, ballerino e intrattenitore che sappia fare queste cose bene e, magari, pure nello stesso momento. L’unico in Italia (forse nel mondo) è Massimo Ranieri, ma si sospetta che sia un alieno… Raffa sbaglia quando guarda alle soubrettine-cantantine americane tipo Lady Gaga, Kate Perry, Beyoncé che “paiono” cantare e ballare allo stesso tempo e, guarda caso, pure senza un briciolo d’affanno. Qualcuno informi la nostra Raffaella che, quelle, quando ballano, cantano in playback e poi,  giusto per buttare un po’ di nebbia negli occhi dello spettatore, si lasciano al massimo un paio di lenti da eseguire dal vivo. Quindi altro che cantante-ballerino-presentatore! Al massimo potranno trovarne uno che sappia fare le tre cose benino o, se sono proprio fortunati, ne troveranno uno che sappia fare le tre cose ma non contemporaneamente!!! Come fai a scatenarti mantenendo il controllo della voce?

E poi, diciamola tutta, a volte si rischia di ridicolizzare i concorrenti con questa pretesa che devono saper fare tutto, come è accaduto, per esempio, a un ragazzo che ha cantato una canzone di Tiziano Ferro cavandosela egregiamente. Almeno fino a quando non si è messo a fare le piroette! Ma siamo matti? Ma voi ce lo vedete Ferro tra pliè, rond de jambe, arabesque, brisé, cambré mentre intona Sere Nere? O Giorgia che sgambetta dimenandosi in un pas de deux durante uno dei suoi acuti?

Infine, ultima nota dolente, ma di sicuro non meno importante, è la giuria. Pessima, impreparata, priva di mordente, in una parola sola: noiosa! Per dare pepe al programma c’era bisogno di un “cattivo” alla Mariotto, uno che non avesse peli sulla lingua e che si contrapponesse ai giudizi, spesso melensi, degli altri giurati.

Per farla breve, anche se il programma non mi faceva certo impazzire, Raffaella Carrà la preferivo di gran lunga a The Voice – i siparietti con Pelù, Dj Ax e Noemi erano spassosissimi e credo che anche l’altra trasmissione ne risentirà. Lascio, infine, per concludere, un messaggio rivolgendomi direttamente a Raffaella: G G G. Che tradotto sarebbe: Cara la mia adorata Raffa, mi sa che lasciando The Voice per Forte Forte Forte hai fatto un errore Grande Grande Grande.

Le stragi giustificano i pregiudizi?

matitaL

di Coralba Capuani

Ecco l’ennesima strage da parte di cosiddetti “musulmani” e si rincomincia con i soliti stereotipi:

1 –  tutti i musulmani sono terroristi

2 – tutte le religioni, schifoso oppio dei popoli, sono responsabili di certe aberrazioni.

Peccato però che nessuno si soffermi a riflettere più a fondo usando la parte situata nella calotta cranica, invece di dare retta ai movimenti intestinali (di pancia).

Non mettiamo in mezzo storie vecchie come l’Inquisizione e le Crociate, che c’entrano con il mondo moderno? Ormai sono cose superate, penso.

Il fenomeno del terrorismo islamico è un fenomeno complesso, articolato, e non si può liquidare con misere banali riflessioni. Noi tutti, compresa la sottoscritta, non abbiamo i mezzi per analizzare un fenomeno di tale portata, e che coinvolge una cultura a noi, occidentali e cattolici, del tutto estranea. Bisognerebbe conoscere a fondo la cultura di quei popoli, averne gli strumenti linguistici per entrare in contatto diretto con quella gente, senza l’uso di mediatori di nessun genere, studiare a fondo il Corano e la storia politica, sociale, culturale e religiosa, non solo di un paese, ma di tutto il mondo islamico. Altrimenti è come se uno si svegliasse la mattina e, senza conoscere la storia europea in genere, dei singoli paesi, le singole culture, tradizioni, lingue ecc. dei popoli che formano il cosiddetto “occidente”, e quindi per esteso anche gli Stati Uniti, si mettesse a discutere di fenomeni sociali che, forse, neanche un esperto in sociologia saprebbe affrontare da solo, vista la mole dei dati da conoscere, la vastità e l’eterogeneità degli stessi.

Perciò mi dà fastidio chi, vedi la Lega ad esempio, punta l’indice contro i mussulmani in genere solo per dare un bel calcione nel didietro agli immigrati e spingere l’opinione pubblica ad accettare l’idea del “se ne stiano a casa loro!”

Poi, invece, ci sono quelli che nel calderone, oltre agli stranieri, poco importa che siano davvero mussulmani, ci mettono anche l’odio verso le religioni, pure quella cristiana, colpevole, pure lei, di stragi e persecuzioni, per non parlare poi dei preti pedofili, delle foto di suore mezze nude trovate nel pc di padre Graziano (leggi il caso della scomparsa di Guerrina Piscaglia), della strage di Ustica, del buco dell’ozono, e delle luci aliene avvistate nell’Adriatico.

Come vedete, cari lettori di Letterando, pur con ironia, vogliamo farvi notare come si possano giustificare le cose più assurde.

Io non conoscevo quelli di Charlie Hebdo, e, dopo aver visto alcune vignette, devo dire che non tutte erano accettabili, anzi, alcune erano molto offensive, ma questo giustifica forse la loro barbara uccisione? Certamente no. Ecco quindi il sunto di questo articolo che è troppo breve per analizzare tutti i punti che vorrei approfondire, ma a noi di Letterando la prolissità non piace, siamo un blog ironico, meno dissacrante e “cattivo” di Charlie, ma comunque solidale con loro che hanno fatto dell’ironia e dello sberleffo la loro bandiera.

Il sunto, dicevo, è che primo, bisogna smetterla con gli stereotipi o le interpretazioni banali di un fenomeno articolato e complesso; secondo, gli assassini dei vignettisti di Charlie non erano musulmani ma terroristi, delinquenti, alienati, e chi più ne ha più ne metta. Terzo, bisogna insegnare che è lecito dissentire, anche con ferocia, ma per farlo basta impugnare una penna, una matita, non certo un kalashnicov! Quanto, la comunità musulmana dovrebbe essere più decisa nella condanna di certi atti, anche attraverso azioni più decisive, tipo scomuniche e simili, invece di limitarsi a condannare a parole. Il quinto e ultimo punto, infine, è un invito a tutto l’occidente a riflettere sul perché questi ragazzi nati e cresciti in Europa all’improvviso prendano e partano per andare in Siria o paesi simili per farsi “portatori di morte”. Qual è il motivo che li spinge? Non possono essere tutti dei pazzi. Sta forse nella mancata integrazione, nel “rifiuto” bruciante e provato sulla loro pelle a spingerli verso una madre Islam che li fagocita annullando la loro identità e rendendoli schiavi di un’ideologia distorta e, questa sì, davvero cattiva?

Habemus legge. Dal primo gennaio 2015 l’IVA sui libri in formato digitale è stata ridotta al 4%.

e-book

di Monica Bauletti

Sono molti gli articoli pubblicati su blog e sulle riviste on line che riportano il seguente titolo e noi di Letterando non siamo da meno. Ricorderete tutti il “movimento del pollice verso”, la campagna lanciata il 31 ottobre scorso dall’AIE Associazione italiana editori, alla quale anche Letterando ha aderito chiedendo a tutti gli amici di postare la propria immagine con il “non mi piace”.

dont

L’hashtag proposto da #unlibroèunlibro aveva lo scopo di chiedere la riduzione dell’iva sul libro digitale equiparandolo a quello di carta, la battaglia ha smosso gli animi moralmente sensibili a quegli ideali che rivendicano giustizia a “rigor di logica” e si battono per “questione di principio” così 40.000 sostenitori si sono mobilitati tra Twitter e Facebook. “La campagna #unlibroèunlibro è stata un grande successo” dichiara unlibroèunlibro nella sua pagina http://www.unlibroeunlibro.org/campagna.php

Dal primo gennaio del 2015 all’eBook è riconosciuta pari dignità del libro di carta e l’IVA ora è al 4% anziché al 22%. Un piccolo successo che ha spostato l’attenzione dalla forma ai contenuti. Ora un romanzo è un romanzo qualunque sia il mezzo di divulgazione senza discriminazioni, insomma la legge c’è e sembra che il successo sia stato ottenuto.

Ma noi di Letterando, ormai voi tutti lo sapete, amiamo andare oltre e vogliamo vedere se ciò che sembra davvero è.

Io: come “sembra”? la legge è stata emessa, è già in vigore! Franceschini ha ottenuto un primo successo e ora l’Italia, al pari della Francia e del Lussemburgo, applica l’IVA al 4 anche sugli eBook.

L’altra me: Sì, sì certo!

Io: hai poco da fare la sarcastica guastafeste, Franceschini ha presentato l’emendamento che è stato approvato con la legge di stabilità:

“Ai fini dell’applicazione della tabella A, parte II, numero 18), allegata al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni, sono da considerare libri tutte le pubblicazioni identificate da codice ISBN e veicolate attraverso qualsiasi supporto fisico o tramite mezzi di comunicazione elettronica”.

Ora “un libro è un libro” qualsiasi sia il supporto veicolato, fisico o elettronico. Mi sembra chiaro no? Dove vedi il contraddittorio?

L’altra me: mi dispiace dover essere io a smontare il tuo entusiasmo, ma ci sono ben due motivi che vanificano l’effetto dell’emendamento. Viviamo nel mondo reale, stiamo attraversando una crisi feroce dove ogni giorno si lotta per riuscire a conservare quel che si ha e chi ha già perso quel che aveva arraffa dove può per riconquistare il benessere sfumato.

Io: e questo che cosa c’entra col l’aliquota la 4 degli eBook? Quali sono i motivi che giustificano il tuo scetticismo?

L’altra me: Ok se proprio devo infrangere le tue ottimistiche speranze lo farò. Tu hai letto l’emendamento e hai posto tutta la tua attenzione su ciò che più gradivi: “sono da considerare libri tutte le pubblicazioni…qualsiasi supporto”. Bene, c’è una piccola insidia che crea una discriminate: “identificate da codice ISBN”. Sai che cosa vuol dire?

Io: Beh, veramente… no. O meglio, so che i libri hanno un codice ISBN che corrisponde a una sorta di codice fiscale delle persone fisiche, che li autentica e da loro un’identità.

L’altra me: Sì, ma gli eBook hanno il codice ISBN? Non è necessario. Un romanzo che viene pubblicato esclusivamente in formato digitale non sempre ha il codice, anzi è raro. Il codice ce l’ha sicuramente il cartaceo e di conseguenza ce l’avrà la sua versione in digitale. Detto questo se gli eBook non hanno codice ISBN non sono “da considerare libri…qualsiasi supporto” quindi una parte degli eBook in commercio manterranno l’IVA al 22.

Io: Ma l’emendamento dice: “qualsiasi supporto” …!

L’altra me: Dai non fare quella faccia. Sappiamo da moto tempo ormai che sotto ogni legge brulica un mondo popolato da cavilli. Viviamo nell’epoca delle escamotage. Fatta la legge trovato l’inganno, ecc. ecc…  A beneficiare dei privilegi sono solo e sempre le caste e i potenti, al popolino, che un tempo raccoglieva le briciole, in tempo di crisi non arrivano nemmeno quelle. Sì, perché se guardiamo nel dettaglio, ti accorgerai che sono gli autori esordienti, quelli che si autopubblicano, quelli che scrivono di notte perché di giorno devono lavorare per vivere e che non diventeranno mai ricchi scrivendo, nonostante i capolavori che producono, sono loro a usufruire del formato elettronico senza ISBN, e per loro l’aliquota iva rimarrà al 22.

Io: che tristezza! Così le CE affermate hanno uno strumento in più per fare concorrenza, anche sul fronte digitale, a quei poveri scribacchini che, già non guadagnano niente svendendo il loro ebook a meno di un euro, ora per assorbire la differenza di aliquota dovranno abbassare ancora il costo dell’eBook.

L’altra me: benedetta ingenuità!  Ma tu davvero credi che le CE abbasseranno i loro prezzi? No! C’è chi ha monitorato l’andamento dei prezzi degli eBook rapportando i prezzi di vendita sugli eBook al primo gennaio col prezzo di fine novembre e ha verificato che non c’è stata nessuna riduzione, questo vuol dire che il minor gettito di IVA si è trasferito dalle casse dell’erario a quelle delle multinazionali a cui fanno capo le case editrici che mettono l’ISBN al digitale. Parlavo di briciole prima che secondo le stime dovrebbero ammontare a 7’2 milioni di euro e che sarebbero dovuti restare nelle tasche degli italiani che leggono e invece no.

Io: ma allora tutto quel gran da fare che ci siamo dati, a farci fare foto, selfie, farci belli e inventarci pose e modi originali per postare il pollice verso aderendo alla campagna per la causa giusta si è trasformato in un atto di sudditanza. Una battaglia vinta e comunque persa?!

L’altra me: già, questa è la beffa, ma il danno sai qual è?

Io: No dai! C’è pure il danno?! Vorresti dire che oltre alla presa in giro ci rimettiamo pure?

L’altra me: ebbene sì. Lo so che tu sei un’idealista e che i tuoi pensieri sono universali ma non devi mai dimenticare che i tuoi piedi calpestano il suolo italiano quindi devi sapere che le casse dello stato, già vuote, devono trovare il modo di compensare i 7,2 milioni di euro di minor gettito stimato per la riduzione dell’IVA sugli eBook, che poi saranno anche più di 7,2 i milioni, visto l’incremento delle vendite di eBook che c’è stato nel 2014, la stima infatti è stata fatta sulle vendite denunciate nel 2013 quando molti usavano solo gli eReader per leggere. Ora si può leggere su tablet e anche su smartphone. Io nel 2014 ho acquistato 40 eBook contro i 4 acquistati nel 2013, se posso rappresentare un indicatore di statistica credo che le CE si stiano fregando le mani fino ai gomiti pensando al maggior ricavo che realizzeranno nel 2015. Va beh, buon per loro, ma noi? Il nostro mancato beneficio quanto ci costa? Non lo so. Non lo so quantificare, posso solo pensare che la legge che ha regolato la stabilità del paese per premettere la migrazione degli ipotetici 7,2 milioni dalle sue casse a chissà quali tasche, avrà pensato di aumentare un po’ di aliquote di qua e di là e a ridurre qualche sevizio meno noto e ci troveremo tutti a pagare due volte il minor gettito per favorire la “cultura e la diffusione della letteratura” (scusa IO, ma il sarcasmo è d’obbligo).

Io: Sì, sì tu sei brava a trovare il ridicolo su tutto, ma intanto andiamo a rotoli e a chi, come me, ci crede ancora viene a mancare la terra sotto i piedi e si scoraggia, smette di produrre e si lascia morire nelle delusioni e la depressione dilaga.

L’altra me: perché tu investi tutta te stessa in ciò che credi e sbagli, devi mantenere sempre una parte vigile. Da bambina non hai mai giocato a palla quadrata?  La vita è così, devi imparare a schivare le bombe se vuoi sopravvivere. A proposito di bombe, credo ce ne sia una pronta ad essere lanciata. Te lo dico a bassa voce perché ho paura che ci sentano e se non l’hanno ancora pensato magari glielo ricordo: pensavo alla tassa SIAE, sui libri di carta si paga e ora che il digitale è da considerare un libro penseranno bene di applicarla pure lì, solo che questa volta non ci sarà la discriminate del codice ISBN, vedrai che se verrà imposta la dovranno pagare tutti gli ebook anche quelli con iva al 22, sempre perché l’Italia è sempre l’Italia.

Io: Ecco! Tutto il mio entusiasmo infranto e mi ritrovo schiacciata dal macigno delle disillusioni. Gli ideali non troveranno mai modo di affermarsi, devono sempre soffocare nelle gole dei puri di spirito e dei giusti sprigionando l’amaro della sconfitta qualunque siano le vittorie conquistate?

L’altra me: Ora non fare la melodrammatica. È solo un emendamento, sarà il primo passo verso una legge perfetta. Sì, dai! Mi viene da ridere mentre lo dico, ma noi siamo pur sempre italiani no? Non ci crediamo mai, ma continuiamo a crederci. Siamo degli idealisti concreti. Viviamo di speranze contraddette, è questa la nostra forza. Alla fine troviamo sempre il modo per consolarci, ci buttiamo dietro le spalle le sconfitte per iniziare una nuova battaglia perché siamo un popolo di conquistatori nati per lottare e chi se ne frega delle vittorie, quel che conta è avere una causa da perseguire.

Buona battaglia a tutti e, in questo caso, vi auguro di tornare vincitori qualche volta.   

 

Plagi, remake e rivisitazioni

vintage

di Monica Bauletti

Ok ragazzi, abbiamo capito che il vintage va di moda. Mia mamma mi ha sempre detto che la vita è una ruota e le mode ritornano, ma se mi parlate della gonna lunga che insegue la mini oppure della zampa di elefante che fa rabbia ai leggings (in Italia chiamati anche “leggins” o “pantacollant” o meno comunemente “pantacalze”), che fra l’altro fino a un anno fa erano fuseaux (a mio avviso più chic come termine), posso capirlo e posso anche tollerarlo. Anche il ritorno dei bellissimi nomi dal fascino retrò che fino a ieri sapevano solo di vecchia sdentata mi piace molto. Tutto il vecchio rivalutato e riproposto va bene, è un indizio di buonsenso e di parsimonia, in tempo di crisi è importante non perdere il contatto con le cose che contano ed evitare gli sperperi. Tutto questo rovistare nel baule della nonna è divertente per non parlare del fascino che diffonde e le atmosfere che rievoca. Però non è che adesso perché sfoggiamo la gonna a ruota della seconda metà del Novecento, la camicia col collo a punte lunghe e i basettoni torneremo anche a raccogliere le figurine di SPAZIO 1999 e caricheremo sullo smartphone tutto il meglio del festival di Sanremo degli anni 60-70, vero? Perché è certo divertente canticchiare “Papaveri e papere” e imitare Wanda Osiris che scende le scale distribuendo rose, tutto questa nostalgia è romantica, ma la nostra epoca rischia di finire in un loop senza fine prigioniera in una frase musicale che, arrivata alla fine, riparte automaticamente da dove è iniziata. Non vogliamo proprio produrre più niente di nuovo? Vogliamo rifare tutto quello che già è piaciuto per avere la garanzia di successo? “Se è piaciuto una volta piacerà ancora!” Il concetto ha una sua logica, come contrastarla? Ma allora lo spirito pionieristico che ci contraddistingue? Il popolo di inventori? Italianiiiii! Non avete più niente di originale da tirare fuori dal vostro cilindro???

Tutta questa pseudo predica di premessa per arrivare al punto che mi tormenta e che esaurirò con poche righe:

In questo 2014 ho letto libri scopiazzati che trattano storie riviste, riscaldate, propinate condite con salse piccanti o dolci e molto aromatiche per contraffarne il gusto, ma storie già lette e, ahimè, spesso peggiori dell’originale. Vero è che non si legge più, lo dimostra il fatto che i plagiati di libri famosi hanno lo stesso successo degli originali, ma forse sono io che sbaglio a indignarmi e non capisco che non si tratta di rifacimenti ma di ripetizioni che servono a fissare i concetti, da una prima lettura si possono perdere i messaggi profondi di un bel romanzo, invece riscritti e riletti si fissano meglio nella mente del lettore: repetita iuvant.

LE PARALLELE TRASVERSALI

tricolore

di Monica Bauletti

L’Italia dei tanti metri per un’unica misura! E rieccoci a parlare delle tante diseguaglianze che ci toccano e ci uccidono ogni giorno. Ci sono state delle notizie passate un po’ così, come dire, inosservate? “Insentite?” Ignorate? O, più semplicemente, assuefatte a una sensibilità domata che tutto accetta rassegnata all’inverosimile diventato verosimile con la consuetudine e per l’impotenza di vittime innocenti povere di potere e di denari. Ma Letterando che è vergine alla consuetudine e prende tutto alla lettera (LETTERAndo per l’appunto) non può non tirare dei paralleli sui fatti di un’Italia dove tutto sta diventando trasversale.

Veniamo dunque ai fatti:

I^ fatto: i boss casalesi e i loro avvocati nel 2008 minacciarono in aula durante il processo Spartacus lo scrittore Roberto Saviano. Da allora l’autore di Gomorra vive accompagnato dalla scorta. Una vita, la sua, fatta di paura e di limitazioni. Tutto il nostro rispetto per questo giovane ragazzo, bravo scrittore, che si trova suo malgrado a dover sopportare una violenza morale per aver voluto scrivere la verità e averla voluta esprimere attraverso un romanzo che, ahimè, per sua (s)fortuna è piaciuto tanto e ha fatto il giro del mondo. Roberto Saviano è stato giustamente protetto ed è potuto sopravvivere alle minacce fino ad arrivare ad assistere alla sentenza del processo emessa qualche giorno fa. Una sentenza amara, che non ha condannato i suoi aguzzini, assolti per non aver commesso il fatto (e per fortuna che non l’hanno commesso) solo perché Saviano era protetto da una scorta assegnatagli in forza di un pericolo reale e dichiarato. In compenso però è stato condannato l’avvocato che si è prestato come portavoce di chi ha minacciato di morte il povero autore. Ma, dico io, e la regola dell’”ambasciator non porta pena” che fine ha fatto? Comunque tutto è bene quel che finisce bene, in questo caso non si è aspettato che vittima fosse diventata vittima ma sono stati addottati mezzi preventivi per proteggere il nostro amato autore e alla fine una sentenza è stata emessa e a qualcuno la colpa è stata data. Be’, Roberto Saviano può ritenersi anche fortunato, poiché in Italia il rischio di veder ribaltare le parti è sempre più frequente, a volte capita che la vittima diventi colpevole e condannata, questa volta Saviano se l’è cavata, ma io sono ignorane e ci capisco poco di giustizia quindi mi è difficile cogliere il senso dei meccanismi complessi della giurisprudenza, perdonatemi.

Uno dei commenti di Saviano: «Questa sentenza, cioè che le parole hanno fatto paura al punto di minacciare morte… Il pm antimafia Sirignano oggi ha detto che indicare il nome di uno scrittore significa condannarlo a morte. Per me ha significato un brivido lungo la schiena, ma ha anche significato che sono vivo, continuo a scrivere contro quella alleanza fatta di zona grigia, di avvocati, imprenditori e giornalisti conniventi. Contro tutto questo mi batterò».

II^ fatto:Inizio modulo

Monella condannato in via definitiva a 6 anni e 2 mesi di reclusione per aver ucciso a colpi di fucile Ervis Hoxha, albanese di 19 anni che gli era entrato in casa per rubare con dei complici.”

L’altra faccia della giustizia mi viene da dire, e sempre perché son ignorane e che non capisco i meccanismi legali, faccio molta fatica a capire come possa succedere che io, trovando in casa mia degli estranei che mi vogliono portare via le mie cose, non possa fare niente per cacciarli via! Ebbene sì, perché se faccio loro del male sbaglio e commetto un reato, la legge non lo permette. È meglio che loro facciano del male a me e alla mia famiglia allora ho ragione io, morta o ridotta in fin di vita ma a ragione!  Ora di certo sbaglierò ne dire questo, ma io che sono mamma e che soffro del primordiale istinto di conservazione del nido se sento minacciata la mia prole divento leonessa e sbrano facendo a brandelli chi viola il mio spazio senza invito. Già, ma io non conosco la legge e nemmeno le buone maniere, perciò preferisco marcire in prigione piuttosto che sopravvivere a un sopruso col rimorso di non avere mosso un dito mentre la mia famiglia veniva violata e violentata.

Viva L’Italia, sempre viva?!

Amorecriminale

scarpe rosse

di Monica Bauletti

Pino Strabioli legge gli atti giudiziari: «Sabrina Blotti, donna di 45 anni residente a Cesena uccisa a colpi di pistola il 31 maggio del 2012 da Gaetano Delle Foglie detto Nino, padre della sua migliore amica Cinzia, che non accettava di essere rifiutato. Gli atteggiamenti morbosi del padre di Cinzia fanno sì che Sabrina si allontani da Nino per un breve periodo. Dopo aver capito che l’amica della figlia non vuole saperne di lui, Nino smette di corteggiare Sabrina e passa alle maniere forti, arrivando a minacciarla anche davanti ai suoi figli ed esternando la volontà di uccidere la donna anche al proprio medico curante, che avverte Cinzia, Sabrina e i carabinieri. A questo punto, Sabrina si vede costretta a sporgere denuncia contro Nino che intanto, a Bari, fa presente anche al figlio il suo folle piano: l’uomo arriva al punto di cacciare di casa suo padre, dopo che questo ha aggredito lui e sua moglie e li ha persino minacciati con un coltello. Lucidamente deciso a portare a termine ciò che già da tempo ha progettato, Nino prende la sua auto e guida per tutta la notte da Bari a Cesena, arrivando sotto l’abitazione di sua figlia Cinzia: qui trova Sabrina, che è stata proprio dalla sua amica a prendere un caffè dopo aver accompagnato i suoi due bambini, Christian e Diletta, a scuola. Sabrina respinge Nino ancora una volta comunicandogli anche di averlo denunciato, ma ciò non riesce ad arrestare la furia omicida dell’uomo, che ridurrà la donna in fin di vita con tre colpi di pistola. L’impegno dei medici e degli infermieri non riescono a salvare la vita di Sabrina, una donna descritta da tutti come gioviale, piena di vita e di interessi, sempre disponibile a dare una mano a chi ne aveva bisogno. Nino si dirige invece verso Cervia e si asserraglia dentro una chiesa, manifestando i primi segni di cedimento soltanto dopo quattro ore di trattative. L’arrivo di un esperto negoziatore da Bologna non riesce a evitare che l’uomo ponga fine alla sua esistenza sparandosi un colpo al cuore. Si conclude dunque nella maniera più tragica una vicenda che, però, non ha ancora avuto fine per la Procura di Cesena, che è stata citata in giudizio dalla famiglia di Sabrina Blotti per non essere stata in grado di assicurare la giusta protezione ad una donna che è andata incontro a una morte annunciata.

Nessuna protezione per Sabrina Borlotti, nessuna scorta a una madre di due bambini che ora cresceranno soli sapendo che la mamma è stata assassinata da chi ne aveva annunciata la morte e che è stato lasciato libero di agire. Nonostante le ripetute denunce arrivate da più parti e da voci autorevoli, la giustizia non ha agito in difesa di una donna minacciata da un aggressore malato e pericoloso. Il caso consueto di morte annunciata. La mia domanda, ormai inutile lo so: la legge sullo stalking che fine ha fatto e che cosa prevede? Qualcuno lo sa?

Il Decreto Legge nr.11/2009, convertito nella Legge nr.38/2009, ha introdotto il reato di atti persecutori (altresì definibile con il termine anglosassone “stalking”), inserendo l’articolo 612 bis nel Codice Penale italiano“

Scusate ma nessun commento vale quanto la descrizione dei fatti. Nulla da aggiungere, purtroppo.

Aderisci alla nostra campagna per dire no alla violenza sulle donne. Prendi un rossetto rosso e fatti un segno sul viso, poi posta la tua foto sui social network e scrivi #Letterando #noallaviolenzacontroledonne

Pesto alla genovese sulla luna?

luna

di Coralba Capuani 

Ieri sera, intenta a spalmare la crescenza sulla fetta di pane integrale, ho ascoltato una notizia a dir poco curiosa. Una cotonata inviata di Striscia la notizia intervistava un’astrobiologa presso il Laboratorio della Nasa Ames in California. Una pimpante Rosalba Bonaccorsi, questo il nome della ricercatrice italiana, illustrava il progetto denominato Luna Plant Growth che prevede l’invio di alcuni semi sulla luna. Sì, avete capito bene, i ricercatori della Nasa vogliono inviare sul nostro satellite alcune piante entro il 2015, sicuri della presenza umana sul pianeta entro il 2030.

Il progetto vuole verificare, attraverso l’uso di speciali serre, se sia possibile la crescita e lo sviluppo di questi semini, se, in breve, osservando il pallido astro durante le sere di plenilunio, potremo intravedere macchioline di verde; sintomo che i semini di senape, basilico e pomodoro – queste le piante che verranno inviate – avranno attecchito. Sfruttando poi l’anidride carbonica, spiegava l’astrobiologa, si spera di creare le condizioni per la produzione di ossigeno, favorendo così una vita più semplice per i futuri colonizzatori terrestri.

Ora, a parte la dieta miserrima a cui saranno costretti i tapini, io mi chiedo ma perché mai dovremmo andare a vivere sulla luna? Ci stanno forse nascondendo qualcosa? Che so, prevedono entro il 2030 la distruzione del nostro pianeta? Verranno gli alieni? Arriveranno i quattro cavalieri dell’Apocalisse? La disoccupazione arriverà a un punto tale che saremo costretti a spostare il nord sempre più a nord tanto da passare dall’emigrazione all’allunaggio?

E poi, sapendo che fine farà il Sole, non sarebbe meglio cercare un’altra galassia? Volete mettere togliersi il pensiero una volta per tutte senza dover affrontare il problema successivamente?  Ma no, questi vogliono andare proprio sulla luna, anche perché il progetto non è poi mica tanto costoso, al massimo oscillerà tra uno e tre milioni di dollari!

Ma, dico io, con questi soldi non si potrebbe dare una mano alla nostra povera Terra martoriata? Che so, eliminare un po’ d’inquinamento, aggiustare siti archeologici che cadono a pezzi, creare e incentivare l’uso di forme di energia pulita?

Non potevano inviare questi semini nelle terre desertificate dell’Africa, dove milioni di esseri umani muoiono ancora oggi di fame? Non potevano inventarsi un sistema per trasportare o creare l’acqua dove non c’è?

Sì, lo so che la ricerca è importante, che, da sempre, la molla della curiosità umana ci spinge a superare il limite di ciò che conosciamo, e che, proprio questa spinta, ci ha fatto evolvere trasformandoci da semplici homo erectus a homo technologicus. Ma resta il fatto che molta gente vive ancora in condizioni non troppo dissimili da quelle delle prime tribù. Si può quindi definire progresso un processo che coinvolge solo una piccola parte della popolazione?

E poi, parliamoci chiaro, il progetto è stato ideato da ricercatori italiani, italiani ho detto, e ve la immaginate la conquista della luna da parte di un popolo le cui strade ricordano il groviera e dove un’autostrada aspetta di essere terminata dal 1964?

#unlibroèunlibro POLLICE VERSO PER UN’ITALIA PIU’ EQUA.

pollice verso

di Monica Bauletti

E daje ce risemo!

Italia, Italia e Italia mia!

Italia dei controsensi, dei tanti metri per una sola misura, delle discriminazioni, delle assurdità.

Viva l’Italia diceva Francesco de Gregori nel lontano 1979

“l’Italia derubata e colpita al cuore…l’Italia che non muore…Viva l’Italia presa a tradimento… l’Italia assassinata dai giornali e dal cemento…l’Italia con gli occhi asciutti nella notte scura… Italia

l’Italia che non ha paura…l’Italia metà giardino e metà galera…l’Italia tutta intera… l’Italia che lavora…l’Italia che si dispera e l’Italia che s’innamora…l’Italia metà dovere e metà fortuna… l’Italia con le bandiere…l’Italia nuda come sempre…l’Italia con gli occhi aperti nella notte triste… l’Italia che resiste”

Lo diceva nel 1979.

No! Non è possibile, dai che mi sbaglio. Al massimo l’avrà detto qualche giorno fa. Va be’ facciamo pure qualche anno fa, ma di certo non decenni, come sarebbe possibile? Stiamo addirittura parlando del secolo scorso! Vorrebbe dire che in 35 anni non è mai cambiato nulla?

Ahimè! Non mi sto sbagliando. È tutto vero, ma è solo perché noi siamo attaccati alle tradizioni e non vogliamo che le belle abitudini si perdano. Già, dobbiamo mantenere sempre vivi i vizi e stravizi che ci caratterizzano. Oggi sul web, Twitter in particolare impazza, si parla di ILLOGICA, di CONTROSENSO, di CONTRADDIZIONE e la domanda è:

Per quale motivo sui libri si applica l’IVA in base al formato di divulgazione?

La legge impone IVA al 22% sul formato digitale: eBook e invece IVA al 4% sul cartaceo.

Perché?

E chi ce lo spiega? Nessuna logica può dare una risposta soddisfacente. Un romanzo, una storia, un libro non cambia se il supporto è diverso. La genesi è sempre la stessa, il contenuto rimane identico. Eppure la legge, difronte alla quale siamo tutti uguali, non riconosce l’uguaglianza di un’idea se diffusa in modo diverso. È come se il latte che è tassato al 4% dovesse scontare l’IVA  al 22% se lo andate a prendere in macchina piuttosto che a piedi!

Oh mio Dio! E chi lo dice a Gianni Morandi?

No, per carità, mandate le vostre figlie a prendere il latte sempre a piedi altrimenti se il fisco lo viene a sapere va a finire che aumenta l’aliquota?

Oggi è in discussione l’argomento e tutte le case editrici si sono unite per sensibilizzare l’opinione pubblica invitando tutti a postare un autoscatto con il pollice verso in segno di protesta.

Se volete potete aderire #unlibroèunlibro twittate e postate la vostra foto va bene anche su Facebook.

Bene, forse ce la faremo anche noi a dire VIVA L’ITALIA

Nozze arcaiche o new style?

fedi_nuziali_gioiellidi Coralba Capuani

Ho riflettuto a lungo se scrivere o meno questo articolo perché penso che nella nostra società ci sia una sorta di ipocrisia che spinge le persone a non contestare quello che si ritiene quasi un’ovvietà, se non un dogma vero e proprio.  So che mi attirerò parecchie critiche, anche feroci, ma visto che il nostro vuole essere uno spazio libero, uno sguardo disincantato e ironico sugli aspetti più disparati, anche quelli più seri, mi sono detta echissenefrega! Sì, proprio echissenefrega tutto attaccato. Io mi limito a esprimere la mia opinione o, meglio, le mie personalissime riflessioni, e che nessuno si senta offeso perché non è certo mia intenzione mancare di rispetto o ferire i sentimenti di chicchessia.

Parto da un argomento di cui si è molto discusso in questi giorni, vale a dire le unioni omosessuali.

Ora, dico io, con tutti i problemi che sta passando il nostro paese ma vi pare che uno possa star lì a preoccuparsi di regolarizzare i matrimoni gay celebrati all’estero o, addirittura, pensare di creare una legge ad hoc?

Ecco, già sento i fischi, le pernacchie e gli insulti tipo razzista, sessista, omofoba e chi più ne ha più ne metta. Ma no, io parlo di cose terra terra, di cose pragmatiche, che volete che me ne freghi se vi sposate o no (basta che non mi invitiate che non ho nulla da mettermi), io dico solo che ci sarebbero problemi un pochino, ma giusto un cincinino più gravi. Quali? Beh, tanto per cominciare la disoccupazione, e poi le fabbriche e i negozi decimati dalla crisi e così via.

E lo so, a questo punto potreste dire pure voi echissenefrega (e se lo dici tu, e pure tutto attaccato, e che noi no?). Eh, lo so che magari non vi frega tanto di ‘ste cose visto che per sposarvi (beati voi!) siete andati pure all’estero (guardate, io se volessi non potrei farlo manco qui visto la penuria di “euri”).

Che poi, dico io, mò come vi è venuto in mente di sposarvi? Con questa crisi? Non ci pensate ai poveri invitati che oltre agli inviti dei matrimoni classici avranno il patema quando si ritroveranno pure la vostra partecipazione nella cassetta delle lettere? E non è cattiveria questa?

Che poi io non posso parlare di matrimonio che per me ha un’unica accezione, quella classico-arcaica: uomo + donna + matrimonio in chiesa = 9 mesi e bebè.

Embè, e che vuoi che ce ne freghi a noi?, starete pensando. E che volete che me ne freghi a me, ripeto ancora.

Ma vabbè su, non litighiamo proprio adesso che sta finendo l’articolo e poi mi tocca continuare a scrivere e la gente si scoccia e molla la lettura a metà.

E allora che si fa?

Niente, direi io, tenetevi il/la vostro/a partner così com’è, senza dovervi per forza sposare. Se volete delle tutele ok, ci sto, quelle sono cose vostre, io che c’entro? Ma siccome nessuno di voi rischia la tortura, l’impiccagione, l’affogamento e robe simili per aver scelto una persona del vostro sesso, allora unitevi sì, tutelatevi sì, ma non chiamatelo matrimonio. Fatelo almeno per noi iene-femministe-classico-arcaiche che crediamo ancora nelle favole dove i principi azzurri si sposavano (solo) quelle come noi.

Visita a un museo non museo

Heming

di Monica Bauletti

Qualche settimana fa ho letto la notizia che a Bassano del Grappa c’è il museo di Hemingway e della grande guerra e io che abito a Padova, io che sono una lettrice incallita, io che amo la letteratura del secolo scorso, io che mi esalto tra libri e generi letterari originali, non lo sapevo!!! E ancor peggio, tutte le volte che sono andata a Bassano non ho mai avuto notizia di questo museo! Dovevo andare al più presto e quindi sacrifico una delle poche domeniche di sole di questa triste estate e vado. Vado a trovare il beniamino della letteratura internazionale. L’uomo che ha ottenuto la medaglia della stella di bronzo conferita per atti di eroismo, di merito e di servizio in zona di combattimento. Un uomo che ha vissuto con intensa partecipazione ogni evento del suo tempo. Presente dove il malcontento sfogava in conflitti e dove l’onore non chinava il capo alla prepotenza del potere illegittimo. Un uomo che ha sposato quattro donne innamorate. L’autore che, quando i premi avevano ancora il sapore di premio, ha vinto Il Pulitzer per la narrativa (1953 con “Il vecchio e il mare”) e (1954) il Nobel per la letteratura. Scusate, sto parlando di un premio Nobel per la letteratura!

Un museo a Bassano dedicato a questo grande letterato. Mica da tutti, no?

Premetto che sono contenta di essere andata, ma la delusione è stata grande. Il biglietto di ingresso di € 5,00 mi ha permesso di vedere un filmato ben descritto accompagnato da musiche gradevoli nel quale si racconta la vita di Hemingway, la stessa che trovo in qualsiasi enciclopedia, ma in questo caso c’era anche la colonna sonora e non ho dovuto faticare a leggere perché una voce mi diceva tutto quello che si sa dell’autore. Poi ho potuto visitare altre due stanze dove alle pareti c’erano dei poster che descrivevano alcuni passi delle guerre con riferimenti alla presenza del nostro amato autore, il tutto corredato da foto e da brani e articoli scritti dallo stesso. Gli unici reperti erano alcune prime edizioni dei libri pubblicati e altre raccolte. Ora, questa è la definizione di museo secondo la Treccani:

«Raccolta di opere d’arte, di oggetti, di reperti di valore e interesse storico-scientifico. I musei rientrano, insieme alle biblioteche, agli archivi, alle aree e parchi archeologici e ai complessi monumentali, tra gli istituti e luoghi di cultura. In particolare, l’ICOM (International committee for museology dell’International council of museums) ha definito il museo “un’istituzione permanente, senza scopo di lucro, al servizio della società e del suo sviluppo. È aperto al pubblico e compie ricerche che riguardano testimonianze materiali dell’umanità e del suo ambiente: le acquisisce, le conserva, le comunica e, soprattutto, le espone a fini di studio, educativi e diletto”».

Chiamare museo questo luogo dedicato al famoso scrittore mi pare decisamente un’ambizione esagerata. Se almeno mi avessero permesso di visitare il resto della villa e il parco in modo da poter vedere dove ha soggiornato l’autore durante la permanenza a Bassano, forse la visita sarebbe stata più gradevole, invece l’accesso era consentito solo alle poche stanze del seminterrato, umide e spoglie. Va be’ prendiamolo come un omaggio che Bassano, città ospitante, ha voluto fare al grande autore, un gesto di gratitudine per i racconti e romanzi che ha dedicato all’Italia, pace all’anima sua e che non veda gli spazi angusti, umidicci e ridotti che gli hanno dedicato e soprattutto che non veda come viene sfruttata la sua immagine.

Grazie Hemingway per esserci stato, per avere amato la nostra piccola e scalcinata nazione, per averci lasciato opere favolose, per non aver mai smesso di scrivere dimostrandoci che quando si ha una dote non si può non sfruttarla, non si può reprimerla, non si può tenerla nascosta con egoismo, ma bisogna liberare i pensieri e donarli a tutti.

Ehi, attenzione, ho detto: “quando si ha una dote” non quando ci si mette in testa di averla a tutti i costi, in questo caso i pensieri è meglio tenerseli per sé.

La dignità di Salvatore, venditore abusivo per caso.

Salvatore La  Fata

Salvatore La Fata

di Coralba Capuani

Questa è la storia di Salvatore, e non c’è nulla di ironico.

Salvatore è un uomo di mezz’età, vive a Catania, ha una famiglia, una moglie e dei figli, e lavora da anni nel campo dell’edilizia.

La sua vita procede tranquilla, tra i soliti alti e bassi che tutti noi attraversiamo. Poi arriva il 2008 che si porta dietro una nuova parola: crisi.

Per la prima volta dopo decenni di relativo benessere, il nostro paese è costretto a fare i conti con una pesante crisi economica che inizia a ingoiare fabbriche, soprattutto tessili, negozi, cantieri e posti di lavoro.

Anche il cantiere in cui Salvatore ha lavorato per più di trent’anni risente delle difficoltà del periodo, il lavoro inizia a calare, i guadagni sono scarsi e il suo datore di lavoro è costretto a licenziare il personale.

Salvatore finisce nella lunga schiera di disoccupati che si ingrossa anno dopo anno come un fiume in piena.

Salvatore ha cinquantasei anni.

Ma lui non è tipo da restare in casa a guardare la tv, è abituato a lavorare, lo ha fatto sin da bambino, allora inizia a inventarsi un modo per occupare il tempo. E la mente.

Non vuole pensare alla crisi che pare peggiorare di mese in mese, non vuole pensare alla sua età, non vuole credere che sia tutto finito, che resterà un disoccupato a vita. Così si procura qualche cassetta di frutta e verdura, poca roba: olive, cipolle, mele, fichi d’india.

Inizia a recarsi al mercato e, quando le cose vanno bene, racimola a malapena una ventina di euro.

Ma va bene, qualsiasi cosa è meglio di restare a casa a guardare la tv.

I giorni si susseguono e per Salvatore andare al mercato è diventata ormai routine; quasi un lavoro vero. Non può immaginare che un giorno qualsiasi verranno i vigili a multarlo perché è un abusivo e non può stare lì a vendere la sua roba.

Salvatore cerca di abbonire i vigili chiedendogli di non multarlo, né di sequestrargli quel poco di frutta e verdura, lui è disoccupato e se sta lì è solo per tenersi attivo, per non lasciarsi andare e cadere nel buco nero della depressione che si è portata via tanti come lui.

Ma ai vigili non interessa la sua storia, loro devono applicare la legge e la legge dice che se vuoi vendere frutta e verdura devi avere i permessi, quindi si apprestano a sequestrargli le cassette di ortaggi.

Salvatore si ribella e minaccia di darsi fuoco.

«Se ti vuoi dare fuoco fallo pure ma scansati», è quello che rispondono i vigili secondo alcuni testimoni.

È un attimo, Salvatore si getta la benzina addosso e accende un cerino. Qualcuno accorre, lo copre con una coperta, altri chiamano i soccorsi, accorre l’autoambulanza.

Salvatore sale sull’ambulanza con le proprie gambe. È vigile, sta in piedi, parla.

Per un momento quello che ha fatto sembra frutto della disperazione di un attimo, un gesto che poteva andare davvero male, e che invece, per fortuna, si è risolto bene.

È una nuova illusione; come quella di essere tornato a una vita normale mettendosi a vendere frutta e verdura al mercato.

Salvatore muore in ospedale qualche giorno dopo.

In tv qualcuno parla della sua storia – pochi – molti lo dimenticano in fretta.

Io non voglio dimenticarlo.

Ma quanto è buona l’Europa?

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di Coralba Capuani

È di qualche giorno fa la notizia che un detenuto verrà risarcito dallo stato per  detenzione in cella sovraffollata e «trattamento disumano e degradante». La decisione del giudice è il primo «rimedio compensativo» previsto nel dl 92 del 26 giugno 2014, che ha l’obiettivo di porre rimedio alla situazione del sovraffollamento delle carceri italiane, dopo la condanna della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo riguardanti i casi Sulejmanovic, del 2009, e Torreggiani, del 2013.

L’Italia è stata multata dai giudici europei perché non rispetta i limiti minimi di spazio per detenuto all’interno della propria cella, misure che la Corte ha stabilito debbano essere di almeno 3 metri quadrati. Per rimediare a una situazione che nelle nostre carceri è molto diffusa, il decreto legge prevede uno sconto pari a un decimo della pena rimanente 8 euro al giorno per ogni giorno passato in «condizioni di detenzione disumane». Proprio per evitare altre sanzioni dell’unione europea, quindi, lo stato italiano ha deciso di risarcire un carcerato albanese che stava scontando una condanna a 6 anni nel carcere di Padova per associazione a delinquereprostituzione minorile, violenza privata e falsa testimonianza.

L’uomo avrebbe vissuto gli ultimi 701 giorni della sua detenzione, prima della sentenza, in condizioni “disumane” a causa del poco spazio disponibile conseguente al sovraffollamento della sua cella, perciò verrà risarcito con 4.808 euro e rilasciato con 10 giorni d’anticipo.

Ora, tutto questo è molto «delicato» da parte dell’Unione Europea, ma sa, l’Unione Europea, che in Italia ci sono pensionati, che pur avendo lavorato una vita intera, vivono in una casa popolare di appena 40 mq. con pensioni che di solito si aggirano molto al di sotto dei mille euro?

Sa che esistono ospedali, spesso molto importanti, dove i ricoverati sostano nella promiscuità per giorni in corridoi sovraffollati, magari su barelle sgangherate? È arrivata la notizia dello stato in cui sono ridotte le nostre povere scuole? Scrostate, spesso non a norma, figuriamoci se antisismiche e sicure? Sa che c’è gente che vive da decenni in container ormai divenuti marci, dove il rivestimento di amianto si è già bello che sgretolato? Sa che questa gente è li da vent’anni con promesse, mai mantenute, di ottenere una casa che li risarcisse di quella persa durante i vari terremoti che ogni tanto sconquassano la nostra penisola?

E cosa dice la nostra amata Europa degli immigrati che sono costretti a sostare per anni in strutture adibite per l’accoglienza momentanea di poche persone? Perché non mostra per questi poveri disgraziati la «stessa delicatezza» che nutre per altre categorie? Perché insiste che debba essere il paese di sbarco l’unico che si debba accollare il loro sostentamento?

Ma non eravamo Europa? Un unico stato? Un’unione dove si decide insieme?

Cosa non abbiamo capito?

 

Basta che non ci ammazzi (troppo)

Laura Roveri ferita

di Coralba Capuani

In un periodo in cui la violenza sulle donne è in crescita, tanto che si è arrivati a coniare il termine femminicidio, cosa pensa di fare la Cassazione? Di aumentare le condanne per chi si macchia di questi crimini direte voi, e no, invece è notizia di oggi che a un marito, accusato di reiterato stupro nei confronti della moglie, sono state riconosciute delle attenuanti. E sapete perché? Perché il poveraccio, quando commise il fatto, era ubriaco.

Per la Cassazione, infatti,  «la tipologia dell’atto è solo uno degli elementi indicativi dei parametri in base ai quali stabilire la gravità della violenza, e non è un elemento dirimente. Il che, tradotto in parole povere, indica che non è più l’atto della violenza sessuale completa a indicare la gravità del reato ma tutta una serie di concause come «il grado di coartazione esercitato sulla vittima, le condizioni fisiche e mentali di quest’ultima, le caratteristiche psicologiche, valutate in relazione all’età, all’entità della compressione della libertà sessuale e al danno arrecato alla vittima anche in termini psichici». 

E chissà se ha frequentato la stessa scuola il giudice che ha messo agli arresti domiciliari Enrico Sganzerla. L’uomo, un commercialista di 42 anni, aggredì la sua fidanzata il 12 aprile scorso fuori da una discoteca di Vicenza. La donna, Laura Roveri, 25 anni, ha subito due interventi chirurgici a causa dei fendenti inferti dall’uomo, nessuno mortale per fortuna. Ma forse è stata proprio questa la sua “colpa”: le ferite non hanno colpito organi vitali e l’unica coltellata delle sedici inferte alla ragazza, ha solo sfiorato la giugulare. «Un buchetto», ha definito la ferita il giudice. E poi che volete che siano sedici misere coltellate se anche la madre dello Sganzerla lo definisce un bravo ragazzo insinuando che la Roveri si è fatta «solo» venti giorni in ospedale, niente di che dunque.

Perciò ragazze e donne che ci state leggendo, fatelo sapere ai vostri fidanzati, mariti, amanti: mi vuoi picchiare? Prendermi a sprangate? Accoltellarmi? Spararmi? Va benissimo, mica c’è problema, basta solo che le ferite non siano mortali. Per lo stupro invece basta che tu sia sbronzo o drogato.

Ma le ferite dell’anima, quelle sono messe in conto o sono state abbuonate come nei supermercati? Dieci bastonate e hai diritto a uno sconto di pena sulle cicatrici che lasci nell’anima della vittima. Proprio come i punti del supermercato.

AMO QUEST’UOMO!

 Richard Branson: 'subsidy junkie'.

di Monica Bauletti

Da ieri rimbalza sul web un articolo sulla rivoluzionaria idea di Richard Branson.

L’articolo lo trovo pubblicato su Il Fatto Quotidiano, e anche su La Repubblica. Il bel faccione di Richard Branson che se la ride di gusto m’incuriosisce e vado a leggere su Il Fatto:

“Virgin, Branson cancella l’orario di lavoro. ‘Contano i risultati, non le ore di ufficio”. Abolito anche il limite ai giorni di vacanza. Per l’imprenditore britannico “i dipendenti si possono assentare un’ora, una settimana o un mese, senza che nessuno debba potergli fare domande, perché una persone felice lavora meglio”. La nuova politica è stata introdotta negli uffici di Regno Unito e Usa

Bellissima idea, la promuovo, la sposo e la sostengo con tutta me stessa.

No, piano. Aspettate un momento. Ma dai! Questa non è mica una novità. Noi già lo facciamo da sempre! Questo Branson non ha mica scoperto nulla di nuovo. Gli italiani sono già il popolo più felice del mondo, leggi qua:

  •        33 indagati all’Azienda sanitaria di Siracusa, in piscina durante l’orario di lavoro
  •           San Marino. Dipendenti statali che escono a fare spesa durante l’orario di lavoro.
  •         Sette dipendenti dell’Istituto sperimentale zootecnico della Sicilia assenti, risultavano in servizio ma non si trovavano erano andati fuori regione
  •          BOLOGNA – Cinque impiegati della prefettura di Bologna…
  •          Caltanissetta, 32 impiegati del Comune …

  Altri esempi li trovi: http://www.repubblica.it/argomenti/assenteismo

“Richard Branson ha abolito l’orario di lavoro”. Dice il web.

Carissimo Richard, nel caso faticassi trovare dipendenti sappi che in Italia siamo già esperti e qualificati per le mansioni che offri. Noi siamo tutti specializzati.

Noi Italiani non abbiamo niente da imparare da nessuno! Siamo sempre un passo avanti, anzi più di un passo, quando si stratta di andare a divertirci facciamo chilometri e non lo diciamo mica a nessuno!

Che bisogno c’è di fare tanto baccano e far passare un’abitudine così consueta per una scoperta tanto eccezionale. Mah, e chi lo sa!

Viva l’Italia, nazione felice!

http://www.repubblica.it/economia/2014/09/24/news/branson_ferie_lavoro-96538636/?ref=search

http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/09/24/virgin-branson-cancella-lorario-di-lavoro-contano-i-risultati-non-le-ore-di-ufficio/1131887/

Gruber o non Gruber? Questo è un dilemma! Potranno mai gli italiani sopravvivere allo sbarco di Floris su La7?

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di Monica Bauletti

È l’emblema del nostro tempo. Eccellente esempio di come si spostano le poltrone per dare scacco matto o matto scacco? No, forse è giusto dire: dare di matto e basta! L’attenzione si sposta da ciò che conta a chi racconta e diventa più importante la voce.

Con tutto il rispetto cari presentatori, giornalisti, scrittori, autori ecc. ecc. scusate se non ricordo i titoli altisonanti e prestigiosi di cui, meritatamente, vi fregiate, ma noi popolo ignorante che fatichiamo tutto il giorno, che ci alziamo alle 6:30 e le nostre giornate non finiscono mai, sempre a correre dietro ai figli da portare a scuola, al capufficio che vuole il caffè, alla suocera che non vuole saperne della badante e alla bolletta del gas con la lettura effettiva tre volte il contatore, ci fanno anche ridere le vostre scaramucce. Insomma va bene! Azzuffatevi che almeno tra uno spread che cala e un Pil rivisto ci si diverte.

Certo però che la Lilli ha giocato pesante! Non si è limitata a tirare furi l’asso dalla manica ma è andata a scomodare il Santo Padre. Il nostro caro Francesco che è nato Santo ancora prima di essere padre solo per l’indulgenza che pone nel sopportare le pretese assurde che gli vengono rivolte.

Ebbene che cosa ti fa la Lilli?  Leggo su bliz  http://www.blitzquotidiano.it/blitz-blog/lilli-gruber-mistero-svelato-ferrara-stefania-giannini-floris-lha-scippata-1975163/

 “ha rilasciato un’intervista a Nuovo in cui ha parlato del suo incontro con Papa Francesco e di un invito in studio fatto al Pontefice. “L’ho invitato aOtto e Mezzo. Di recente ho avuto modo di incontrarlo e gli ho regalato il mio ultimo libro scrivendogli una dedica accompagnata dal mio numero di cellulare.”

Alla faccia dell’audacia! No, col santo padre non si parla più di audacia, qua si sfocia nella presunzione e nella mancanza di rispetto. Come può un comune mortale che si occupa solo alla propria carriera e a mantenere lucida la propria immagine, pensare che al santo padre possa interessare l’ultimo libro che ha scritto?  E gli mette su la dedica! La dedica a un Papa?  Siamo all’apoteosi dell’io gonfiato dall’ego! Ma non basta! Gli passa con nonchalance il suo cellulare! E che si aspetta la Lilli? Che il Papa la chiami e la inviti a cena? Magari poi la potrebbe anche portare al cinema o a ballare e chi lo sa?  No. No, lo invita lei:

“L’ho invitato formalmente e lui mi ha risposto che ha molto da fare. Io però non dispero”. E ancora: “Con il Santo Padre ho parlato del ruolo dei giornalisti. Lui sostiene che abbiamo tre doveri, ovvero bellezza, bontà e verità”.

E sei stata anche fortunata cara Lilli, chè il santo padre è davvero santo e umile e buono e comprensivo. Chè ha tollerato con molta indulgenza l’ardire e non ha convocato l’inquisizione.

Va be’! Cara Lilli hai tutta la mia solidarietà per il gesto poco galante subito per opera di Floris che cavaliere di certo non è. Io ho letto i tuoi libri e mi sono anche piaciuti, a me la tua dedica piacerebbe molto averla, il cellulare non serve non telefono mai.

Aspettiamo tue nuove. Su Rai tre staresti proprio bene. Dai torna da mamma Rai e lascia in pace Papa Francesco lui ha davvero molto da fare. A Floris farai rabbia lo stesso anche se Dio, per intercessione, non ti concede l’intervista e che il Signore sia lodato.

Secessione del Veneto 2: il punto di vista del sud.

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di Coralba Capuani

Ci risiamo, ecco che la Scozia indice un referendum per chiedere l’indipendenza dall’Inghilterra e il nostro Nord (leggi Veneto) che fa? Copia i “colleghi” scozzesi adducendo bislacche giustificazioni circa la necessità di autodeterminazione del popolo veneto/padano. Popolo? Padania? Forse i nostri connazionali nordisti, influenzati dalla lettura del Signore degli Anelli di Tolkien, hanno pensato bene di crearsi una Terra di Mezzo tutta per sé? (E perché i “mezzuomini” sì e noi no? E che siamo i figli della serva?).

E su quali presupposti, di grazia, l’Italia dovrebbe concedere a uno spicchio del suo suolo l’autonomia? Quali i presupposti? Cosa, in breve, divide questa porzione di popolo da tutti gli altri? E, soprattutto, il Veneto ha ragione?

Valutiamo alcuni punti su cui basare una giustificata richiesta di autonomia.

La ragioni storiche sembrano essere più forti riguardo il caso della Scozia che è un paese che fa parte del Regno Unito (United Kingdom), il che presuppone già un insieme di stati e non di regioni. Abitata in antichità dai Celti, conquistata dai romani solo nel 79 d. C., assoggettata all’Inghilterra nel 1265, ribellatasi sotto la guida di William Wallace (quello del film Braveheart con Mel Gibson per intenderci), segue poi, con varie vicissitudini, la storia dell’Inghilterra.

La Catalogna e il Veneto, invece, contrariamente alla Scozia, sono due regioni, quindi perché mai dovrebbero chiedere l’autonomia? Quali sono le basi su cui si poggia questa richiesta?

Per quanto riguarda la prima si potrebbe parlare di ragioni culturali e linguistiche. La lingua catalana e le sue varianti (valenziano, maiorchino, algherese, ecc.) sono lingue romanze occidentali molto diverse dallo spagnolo ufficiale (castellano).

Vediamo qualche esempio:

italiano spagnolo   catalano

fuoco      fuego        foc

uomo     hombre      home

bere        beber        beure

piccolo  pequeño  petit/xicotet

Anche lo scozzese (il gaelico scozzese) è una lingua. Imparentata strettamente con l’irlandese, il gaelico non è mai stato espropriato completamente del suo status di lingua nazionale, ed è tuttora riconosciuto da molti scozzesi, sia che parlino gaelico o meno, come una parte fondamentale della cultura nazionale. Alla fine del ‘400 in Scozia erano parlate 3 lingue: il gaelico scozzese, l’anglo sassone scots e il norn, mentre erano già estinte sia la lingua pitta che il brittonico. In seguito l’anglo sassone continuò ad espandersi a scapito delle altre due, anche se esistettero anche momenti di espansione del gaelico a danno del norn. Oggi l’anglo sassone “scots” è la lingua dominante in Scozia, mentre l’inglese comune è compreso dalla maggior parte della popolazione. Il gaelico possiede una ricca tradizione orale (beul-aithris) e scritta, essendo stato la lingua della cultura bardica dei clan delle Highlands per diversi secoli. La lingua soffrì a causa delle persecuzioni degli Highlanders, quando le loro tradizioni vennero perseguite dopo la Battaglia di Culloden del 1746.

Come si può comprendere già da questi brevi cenni le differenze tra le richieste della Catalogna, della Scozia e del Veneto sono evidenti.

Non solo la regione Veneto non si discosta dalla storia delle altre regioni d’Italia, come per la maggior parte di esse vede l’insediamento di un gruppo di tribù che in veneto sono i veneti, in Abruzzo per esempio sulla fascia costiera erano stanziati i Pretuzi al confine con i Piceni, più a sud i Vestini Transmontani, nellavalle del Pescara i Marrucini e, lungo la costa chietina i Frentani. A ridosso della Majella tra l’Aventino e il Sangro vi era il popolo dei Carrecini. I popoli dell’interno erano i Vestini Cismontani nella conca dell’Aquila, i Peligni nella pianura di Sulmona, gli Equi e i Marsi si dividevano l’alveo del Fucino, tra L’Aquila e Rieti vi erano i Sabini, mentre a sud dei Marsi, lungo l’alta valle del Sangro, verso il Molise, si trovavano i Pentri.

Giustificare poi la richiesta di secessione del Veneto sull’antica autonomia della repubblica di Venezia, poi, mi pare una scemenza, in quanto la succitata libertà o autonomia era una prerogativa di tutte le repubbliche marinare, quindi che fare? Se Genova, Amalfi e co. Ci chiedessero la secessione per gli stessi motivi? Per non parlare dei vari stati e staterelli in cui era divisa l’Italia, quindi di cosa si sta parlando? A meno che non si pretenda una regressione alla divisione medievale (si era già parlato di dogane in territorio italiano, vi ricordate?). p

Per quanto riguarda il fattore linguistico, infine, il veneto non è né più né meno di un semplice dialetto, non ha in pratica lo status di lingua in quanto deriva dal latino volgare parlato in quella zona, come accade d’altronde per la maggior parte dei dialetti italiani. È inutile dilungarsi in ulteriori discussioni linguistiche o storiche quindi, e anche se quasi mi dispiace (quando mai!) far sfumare l’illusione di una terra fantasmagorica come la Padania abitata da antichi e coraggiosi popoli nordici, no, niente da fare cari Veneti, leghisti e padani: la Padania non esiste proprio.

Chissà perché però, devo ammetterlo, mi sento come quello zio imbecille che rivela al nipotino che Babbo Natale non esiste….