di Coralba Capuani
Si dice che con la cultura non si mangia. Si dice che la cultura non è per tutti, perciò certe forme d’arte non funzionano in televisione. Il pubblico, si sa, non capisce e perciò bisogna adattarsi ai suoi gusti, non gli si può proporre il teatro impegnato, figurarsi quello greco! La musica classica? Va bene giusto a Capodanno o per qualche occasione rara e speciale (poca, pochissima per carità, anzi, meno ce n’è meglio è).
Queste sono più o meno le scuse che da anni ci vengono rifilate per giustificare un imbarbarimento ormai imperante, in televisione, come in altre sedi.
La cultura non riempie le saccocce quindi vai con spettacoli di labilissimo spessore culturale, spesso infarciti di volgarità, luoghi comuni e scopiazzature varie. Ma il tutto tritato e sminuzzato per renderlo digeribile allo spettatore medio, quello che fa coppia fissa con il divano e non capisce un tubo (catodico).
Ma esiste davvero questo spettatore medio o non è, piuttosto, la scusa di certi dirigenti mediocri che, per scusare la propria incapacità, si aggrappano a questi luoghi comuni pur di non sforzare la loro materia grigia, ormai arrugginita da anni di lauti stipendi e benefit sicuri?
Il pubblico non capisce, al pubblico va dato ciò che vuole, il pubblico è sovrano.
Ma siamo davvero sicuri che il pubblico voglia ciò che gli viene propinato, che davvero non sia in grado di capire qualcosa che, semplicemente, non conosce?
Non credo, anzi, non penso proprio. E la dimostrazione l’ho avuta ieri sera (per la verità un’ulteriore conferma) assistendo alla magistrale rappresentazione della Medea di Seneca a Nereto, minuscolo paesino di poco più di cinquemila anime. Perché sì, ci sono stati dei pazzi incoscienti che hanno avuto il coraggio di proporre un testo classico, non proprio alla portata di tutti, in un paesino del teramano che non ha nemmeno un teatro! Neanche uno piccolo piccolo – la rappresentazione si è tenuta in una saletta convegni superaffollata, praticamente un forno! Ma nessuno che si sia azzardato ad andare via, a sventolarsi, a fare il benché minimo rumore. Zitti: silenzio tombale. La stessa assenza di parole che si verifica di fronte a un evento prodigioso. O al talento.
Perché il talento azzittisce, paralizza, rapisce, ti porta via dalla tua vita giusto il tempo di un’esibizione, pochi minuti vissuti tra cielo e terra, tanto che poi tornare giù è difficile. Ed è proprio questo quello che ho provato assistendo alla rappresentazione della Medea del Maestro Paolo Magelli, interpretata dalla strabiliante Valentina Banci.
È bastato poco, un paio di pannelli neri come la pece, un rialzo, qualche candela, il buio e lei: Valentina-Medea. È stata lei sola a riempire una scena scarna arredandola con la forza della parola, con la duttilità della sua voce, la fisicità dei suoi gesti, tanto da far “recitare” anche le ombre delle sue braccia proiettate sul muro.
E il pubblico ha capito. Quel pubblico di presunti spettatori medi che si bevono tutto quello che gli si dà, hanno capito. Perciò sono rimasti in silenzio tutto il tempo. Rapiti dalla potenza del talento e della bellezza, portati via in un’altra dimensione giusto una manciata di minuti – il tempo di una rappresentazione.
Ed è forse in questa dimensione che devono vivere i “pazzi” che hanno avuto il coraggio di portare un testo così impegnato in un paesino di provincia, dove si suppone non si possa apprezzare l’Arte con la “a” maiuscola. E invece no, scommessa vinta. E quindi mi viene da fare una considerazione a questo punto: che i veri pazzi, gli incoscienti, siano proprio quelli che ostinatamente continuano a ripeterci che con la cultura non si mangia, ché la cultura non riempie le saccocce o le panze.
Perché, si sa, il pubblico non capisce, e il pubblico è sovrano…