Al contadino non far sapere quanto è buono il formaggio con le pere

vecchi-libri-e-pere-all-aperto-6225621

Leggo il commento di Bianca Stanco  sull’intervista rilasciata a Il Giornale, dal critico letterario Alfonso Berardinelli e trovo un continuo ritorno di giudizi lapidari del tipo:

“…impossibilità dell’esistenza di classici contemporanei”.
della letteratura è rimasto soltanto il nome. È l’ora dei velleitari, specie in poesia”.
“… la critica ha perso il ruolo trainante e militante”.
“… svuotamento intellettuale nel panorama editoriale contemporaneo, un declassamento della poesia e della narrativa …”.
“Narrativa e poesia si sono così dilatate da essere entità senza forma né confini”.
“È un caso disperato. … il 90 % della poesia che si pubblica non è né brutta né bella. È nulla. Nessuno potrebbe leggerla”.
La poesia “è diventata il genere letterario di chi non sa scrivere”…“i poeti mediamente non hanno idea di cosa sia un verso”.

Da brivido!, ma è davvero così?

No, non può essere così.

Con tutto il rispetto che sempre nutro per chi ha militato per anni nell’ambiente letterario e culturale che certamente ha molto da insegnare, soprattutto a me, ciò nonostante mi sento di dissentire. In questo nostro millennio la letteratura sta sicuramente soffrendo di ipossia dovuta al sovraffollamento, ma siamo sicuri che sia davvero un male?, non è invece uno stimolo alla ricerca, alla critica e alla curiosità?
Sento dire:
“Se l’editoria si rifiutasse di pubblicare almeno i due terzi di quello che pubblica, si riuscirebbe a fare un po’ di chiarezza”.
La campana stona un po’.
Si dà troppa importanza alle case editrici, in fondo sono “enti commerciali” che vivono e proliferano sull’attivo di bilancio. Non è sano conferire il potere di indottrinarci a chi ha troppi interessi da soddisfare. L’obiettività non è una virtù che appartiene al business. Un tempo si diceva: “Al contadino non far sapere quanto è buono il formaggio con le pere”, e oggi si vorrebbe che il contadino ci dicesse ciò che è buono? Ciò che piace lo decide il lettore non il venditore perché se così non fosse allora avrebbe ragione Sgarbi quando ci chiama capre. Siamo un popolo istruito, distratto forse, un po’ pigro, ma il popolo dei lettori è un popolo istruito e i mezzi di informazione non mancano.
Leggo sull’articolo di Bianca Stanco:
Il lettore medio non ha più le facoltà per scegliere e comprendere di cosa parla un libro.”
Rabbrividisco e m’indigno.
Io sono una lettrice media e non permetto a nessuno di dirmi che non ho la FACOLTA’ di scegliere e comprendere di cosa parla un libro. Un urlo mi squarcia dentro e mi sento ferita da questa affermazione.
È vero che l’enormità della produzione di libri (vado cauta e non definisco tutta la produzione in circolazione chiamandola: romanzo e neanche opera) può metterci in mano delle vere ciofeche e ciò può deluderci, può indignarci perché ci sentiamo frodati: pensavamo di poterci concedere un momento di bella lettura invece no; ma ciò succederà qualche volta, non sempre; certe lezioni si imparano e aiutano a raffinare le scelte; se si dovesse ripetere potrebbe essere solo per un difetto di distrazione. Ci stiamo abituando un po’ tutti a leggere gli incipit che spesso sono disponibili anche sulle biblioteche on line; abituiamoci a essere propositivi, costruttivi e critici. Abituiamoci ad ascoltare il consiglio di amici, il passaparola rimane sempre il miglior modo per scegliere con il minimo rischio.
Ancora: “da solo il lettore non capisce che sapore ha un libro”. Un’affermazione di questo tipo denota un orribile disprezzo verso i lettori considerati al pari di humus, frutto della degradazione e rielaborazione degli interessi commerciali delle multinazionali dell’editoria e buono solo come fertilizzante per far fiorire talenti senza talento e casi letterari senza caso.

Per quanto riguarda poi l’affermazione che: “I narratori hanno un solo obiettivo, ossia il Premio Strega”, e ancora “l’assenza di scrittori creativi, coscienti, in grado di rapportarsi con il pubblico e soprattutto consapevoli della cosa da raccontare” mi ariva come alibi e denota inerzia e pigrizia a conferma che chi vuole davvero fare informazione e critica letteraria deve armarsi di pazienza, falce e macete per avventurarsi nella giungla di edizioni che vengono sfornate ogni giorno. Il critico letterario non può più starsene seduto comodo sul divano e aspettare che gli arrivino i libri da leggere e recensire fidandosi del marchio editoriale impresso in copertina, oggi il critico letterario deve cambiare strategie e scavare con pazienza, intuizione e un pizzico di fortuna, come fanno e hanno sempre fatto gli archeologi.
Chi afferma che “La letteratura non ha più a disposizione un pubblico competente, né nell’ambito della narrativa né in quello della poesia. Non vi è più la ricerca di nuovi talenti, di curiosità.”, apparterrà forse a quella parte della critica stanca, che ha tanto operato nel settore d’aver esaurito l’amore per la ricerca della cultura il cui entusiasmo si è spento, soffocato dal peso delle troppe novità tecnologiche un po’ incomprese e un po’ pressanti che ora vorrebbe riposare sugli allori e invece gli allori riconosciuti sono inferiori alle aspettative?

M.B.

Davide Bottiglieri – Le cronache di Teseo

Carissimi amici oggi la famiglia di Letterando si allarga e accoglie un nuovo autore che vado a presentarvi.

PicsArt_10-17-08.10.31

Nome: Abraham Tiberius Wayne (alias Davide Bottiglieri)
data e luogo di nascita: 28 aprile del 1992. Salerno (Italia)
segno zodiacale: Toro
blog: Abram Tiberius Wayne
Nonostante la sua giovane età ha già una collezione di riconoscimenti di tutto rispetto:
– Premio Letteratura Italiana Contemporanea nel settembre 2014, indetto dalla Laura Capone Editore con la quale compie il suo esordio editoriale con la silloge Poeti Contemporanei.
– Nel 2014 viene inserito nella collana Riflessi della Pagine Editore.
– Nel maggio 2015 vince il XII Concorso di Poesia d’Amore ” Tra un fiore colto e l’altro donato” indetto dalla Aletti Editore.
– Nel luglio 2015 viene pubblicato nell’omonima silloge.
– Vince il concorso “Cronache dalle terre oscure”,con tre racconti brevi fantasy.
– Nell’agosto 2015 viene pubblicato nell’antologia Felicemente Horror vincendo la selezione proposta dal noto blog letterario Pegasus.
– Sempre nell’ottobre 2015 risulta finalista del concorso “E’ già autunno!” indetto dalla Montegrappa Edizione e viene inserito nella XVII raccolta antologica “Les cahiers du Troskij Cafè”.

Davide è nostro ospite perchè voglio presentarvi il suo libro:

Le cronache di Teseo

Racconti – Edizioni Les Flaneurs

Authore: Abraham Tiberius Wayne (Davide Bottiglieri)

€ 2.99

“Un libro che raccoglie sei racconti dedicati all’eroe greco Teseo. Un fantasy dall’anima ellenica”.

Un libro che raccoglie sei racconti dedicati all’eroe greco Teseo. Un fantasy dall’anima ellenica”.
È proprio così che si presenta questo libro che si legge veloce e con piacere. Davide ci racconta le prove che si trova a dover affrontare Teseo per dimostrare di meritare il trono in successione al padre.
È un viaggio fantastico che l’autore descrive poggiando sulle basi della mitologia classica arricchendo di particolari fantasiosi che ne alleggeriscono il peso e animano di avventura. Molti sono i nomi di dei, semidei, eroi, e altre figure, più o meno moti a tutti, che hanno popolato i racconti epici e che l’autore mette a intralciare il cammino dell’eroe, a volte per aiutarlo nelle sfide altre volte per mettere a prova la sua forza, la sua saggezza, la sua umanità e il suo valore di uomo e di guerriero al fine di forgiare la figura ideale di sovrano. È così che l’autore ci consegna l’immagine di un re esemplare: un sovrano ideale.
Le scene di lotta sono ben descritte e le atmosfere che ne emergono sono in perfetta sintonia con l’epoca riuscendo tuttavia ad evocare immagini fantastiche che scivolano in paesaggi degni della classica narrazione fantasy e quello che io definirei l’universo fantastico.

“La raccolta mira a interessare lettori adolescenti! La mitologia classica è bellissima, tuttavia non sempre la si fa apprezzare a dovere nei licei (io per primo l’ho amata tardi); inoltre c’è da aggiungere che non si tratta di una lettura semplice perché spesso appesantita dagli intervalli filosofici che ne rallentano un po’ il ritmo. Ho provato a riproporre degli episodi che ho trovato affascinanti, in una forma più appetibile all’adolescente di oggi (gli scontri e la violenza non sono mai mancati nell’epica classica), facendo attenzione a non alterare la storia e le caratteristiche del mito: in pratica, ho cercato di trovare una chiave di avvicinamento alla letteratura greca per chi non la digerisce ancora nella sua forma originale”.

.
Quindi un libro adatto a tutte le età, molto originale che noi di Letterando consigliamo e vi consigliamo anche di tenere d’occhio questo autore emergente che non mancherà di regalarci ancora sorprese e successi.

Blocco o non blocco…♫ ♪

by Monica Bauletti

by Monica Bauletti

“Sarà capitato anche a voi ♫

di avere una musica in testa, ♫ ♪

sentire una specie di orchestra ♫ ♪

suonare suonare suonare suonare, zum zum zum zum zum zum zum zum zum”♫♫♫

Cantava così Mina nel lontano 1967. Caspita!, ero “piccola, piccola, piccola così…”. Va be’, questa è un’altra canzone, non divaghiamo.

Quello che mi frulla per la testa non è una musica e non c’è un’orchestra che suona.

Non so se “sarà capitato anche a voi” di avere un’idea che ribolle dentro e che deve uscire. Deve in qualche modo liberarsi, ma è come se non trovasse la via, è come se ci fosse un ingorgo e la gola soffoca, la mascella si inchioda e una pressione spinge nelle orecchie perché qualcosa preme per uscire.

Viene da pensare che la viabilità interna sia mal organizzata. Potrebbe mancare la segnaletica, non c’è il divieto di accesso e la freccia direzionale.

Già!, le orecchie sono a senso unico, i suoni entrano non escono. Le orecchie sono il nostro ingresso audio. Le idee possono disporre di altre vie per uscire, attraverso la bocca, per esempio. Le mani sanno dare voce a idee immortali. Anche il corpo è espressione del mondo interiore, per non parlare degli occhi!, si dice o no che siano lo specchio dell’anima? Anche gli occhi sanno dire.

Va be’, però con tutte queste vie di uscita voler passare dall’unica impraticabile è tipico di chi deve fare le cose ‘contro’ a tutti i costi. O forse sono le idee che si ribellano?

Con tutte le banalità e ovvietà che si sentono in giro, i discorsi ‘piacioni’ recitati ad arte per incantare ora uno ora l’altro o, peggio, per abbindolare le platee di creduloni speranzosi è possibile che le idee cerchino una via d’uscita senza filtri e senza condizionamenti, allora sperimentano percorsi vergini e incontaminati.

Sì, questa ipotesi è plausibile, se non altro per l’originalità e l’inverosimiglianza.

Allora se un’idea che fa “, zum zum zum zum zum zum zum zum zum”♫♫♫ è così audace, ribelle e irrispettosa della regole, quanto potrà mai essere concepibile?

Al momento sembra più che altro irrealizzabile tant’è che mi trovo inguaiata ed è qui che arriva il blocco dello scrittore perché ho tre personaggi che mi guardano speranzosi e aspettano di esprimersi. Mi seguono insistenti e io non so come aiutarli:

– C’è una donna non più giovane che sta vivendo momento difficile della vita e vuole potersi sfogare.

– C’è un ragazzo/giovane-uomo che fa un lavoro pericoloso e si trova a dover gestire un dolore atroce. Il lavoro che gli piace moltissimo gli ha prima permesso di incontrare la donna della sua vita e poi gliel’ha tolta.

– C’è un ragazzino adolescente traumatizzato da una tragedia famigliare.

Che cosa avranno in comune questi tre personaggi Dio solo lo sa! Sono lì che mi guardano supplichevoli con i loro volti tristi e speranzosi che si ergono su un corpo invisibile come ectoplasma.

Questi “tre personaggi in cerca di autore” mi aleggiano intorno come palloncini un po’ sgonfi che l’atmosfera preme giù e l’elio non ha abbastanza forza per opporre resistenza e farli volar via, insomma sono un po’ sgonfi. Loro?

No, non sono loro a essere sgonfi. Quando ciò accade è l’autore a essere sgonfio.

Tanti sono i consigli per superare il “blocco”, tutti buoni e validi allo stesso modo. Proviamoli e troveremo prima o poi quello che funziona. Di una cosa però sono certa, la creatività non si doma. Si può usare la frusta e tirare le redini quanto si vuole, ma a incanalarla per esercitare il controllo e guidare, il risultato sarà pessimo.

La creatività ha bisogno di libertà, deve poter volare otre e lontano da tutto, il minimo attrito può compromettere il risultato, contaminare l’effetto e il prodotto rischia di diventare tossico.

Dalla coltura alla cultura. L’autore di oggi è ENRICO GROSSI

grossiCari amici di Letterando oggi vi presentiamo Enrico Grossi di Luzzara in provincia di Reggio Emilia che ora vive a Suzzara in provincia di Mantova.
Il nostro amico Enrico è un operatore agrario e, scusate la battuta ma non posso resistere, nel suo caso devo proprio dire: dalla coltura alla cultura! Ok, battuta scontata, ma pur sempre veritiera.
Enrico si occupa di giardinaggio, che è la sua qualifica, ma anche di molto altro infatti l’ospite di oggi è un personaggio dai mille talenti, nella sua biografia Enrico elenca tutto ciò:

Enrico: Scrittura come Hobby. Scrivo racconti dall’età di 15 anni. Mi sono cimentato anche nell’horror e Giallo. Svolgo l’attività di giornalista Free Lance con alcuni siti di cronaca locale, scrivo articoli di cronaca della zona di Suzzara MN, sport avvenimenti culturali e altro. Sono in possesso inoltre vari attestati di corsi di uso di computer e sono un autodidatta dell’assemblaggio di scripts in html e costruzione di siti web.

Tra tutte queste attività Enrico predilige la scrittura ed è a quella che aspira, ma si sa bisogna pur vivere e siccome al giorno d’oggi chi “scrive non mangia” il lavoro che sostiene è sempre un altro, vero Enrico?

Endico: Guadagni sulle attività sopracitate nulla infatti, lavoro come giardiniere con tosa erba taglia legna e altro, tra sterpaglie e segatura volante mi vengono della idee che poi metto nei file, un po’ come un ragazzo americano degli anni 70-80 che abitava a Caslte rock, posto non certo entusiasmante penso, come la bassa padana dove abito. Come diceva Guareschi, in riva al Po è un mondo a parte in estate ci sono 30 gradi e umidità al 120% frotte di Zanzare che sembrano aviogetti e oggi anche nutrie a volontà che rosicchiano gli argini, in inverno una nebbia tanto fitta che ci appoggi la bicicletta contro e resta in piedi.
Qua nessuno viene in vacanza anzi se si può si fugge. Per scrivere però di soggetti ce ne sono parecchi.

Bene, ed è di quello che ha bisogno uno scrittore, no? Che se ne fa di un’isola tropicale, mare limpido, sole splendente, e turisti che non fanno niente dalla mattina alla sera se non pensare a divertirsi? Scherzi a parte, chi scrive sta bene ovunque perché non è mai fermo da nessuna parte, la sua mente è sempre in viaggio. Quindi Enrico tu scrivi per evadere dalla realtà oppure perché la realtà in cui vivi ti offre sempre stimoli nuovi?

racconti grossiEnrico: Perché scrivo? Dirlo e piuttosto complicato. Non so se scrivo per altri che mi leggono o per me, eterno dubbio di chi scrive. In ogni modo non riesco a stare lontano dal testo scritto da quando avevo dodici anni.
Scrivevo piccoli racconti di fantascienza e gialli sui quaderni. Inizialmente erano ispirati ai telefilm come UFO o dai Gialli, uno su tutti: “Lungo il Fiume Sull’ Acqua”, “l’America di Nero Wolfe di Buazzelli” Poi dalle infinite letture in biblioteca pubblica, la mia seconda casa. Sono passato dalla scrittura a mano alle Olivetti e poi al Computer.
Un altro incentivo è stato lo sport. Da quando mi occupo di hockey pista, da dirigente, scrivo gli articoli sulle partite per i giornali on line. Scrivo articoli anche sulle partite di calcio per la cronaca locale, questo ha tenuto accesa in me la fiamma pilota della scrittura. Le idee mi circondano, non le cerco, arrivano da sole. Un paesaggio, una persona che compie un gesto, un fatto di cronaca, un mix che riempie il foglio bianco di word. Oggi sono nella parte discendente della vita però scrivere mi allontana l’ossessione del tempo che corre. Ogni giorno, mi alzo bevo un latte caldo accendo il personal computer e scrivo, lo faccio e basta. Oltre che per il magazine web, scrivo dei racconti. Ho scritto un romanzo, spero che qualcuno lo legga.

Te lo auguriamo anche noi caro Enrico, la scrittura è un vizio sano che non si deve perdere ma si deve coltivare e come tutti i vizi per prima cosa deve produrre soddisfazione sennò che vizio è?, se poi rende ricchi e famosi tanto meglio!

Con questa storia di vita da scrittore, cari amici di Letterando, noi vi diamo appuntamento al prossimo mercoledì, Alto scrittore, altra avventura. Buona settimana a tutti

Grazie Enrico per averci parlato di te e davvero tanti auguri per tutto.

GIUSEPPE DI BATTISTA, autore di: L’ALBA DI UN GIORNO NUOVO.

Giuseppe Di Battista

Giuseppe Di Battista

Carissimi amici di Letterando oggi ho il piacere di presentarvi Giuseppe Di Battista, un autore davvero simpatico. Leggendo le sue note non ho potuto che sorridere e mi sono sorpresa ad annuire spesso trovandomi d’accordo con le sue considerazioni. Il percorso che intraprende un autore emergente è formato da numerose tappe alle quali si arriva rimbalzando da una delusione all’altra sperando di infilare prima o poi la buca giusta pur senza crederci troppo. A fare gli autori, di questi tempi, si finisce col diventare filosofi, mi viene da dire. Bene, allora ecco cosa ci racconta di se Giuseppe (nome d’arte Joe Diba) in questa “autointervista” che simpaticamente ci regala

L'alba di un giorno nuovo

L’alba di un giorno nuovo

L’INTERVISTA ALL’AUTORE DELL’ALBA DI UN GIORNO NUOVO.

“MI E’ VENUTA L’IDEA DI UN’ INTERVISTA IMMAGINARIA TRA LE DUE ANIME DI ME STESSO.

GIUSEPPE DI BATTISTA INTERVISTA JOE DIBA SCRITTORE ALTER EGO AUTORE DEL ROMANZO.

COSI’, MI SONO DIVERTITO A FARE QUESTO GIOCO DELLE PARTI. “

GDB: Parlami della tua ultima opera L’alba di un giorno nuovo.

JOE DIBA: E’ un romanzo che ha avuto una lenta incubazione, Per spiegare il percorso che ha visto l’idea, la creazione e la finalizzazione di questo romanzo devo raccontare alcune cose di me.

GDB: Sono qui per questo, ti ascolto.

JOE DIBA: La mia attività di scrittore è cominciata nel 1993, dopo che due episodi mi hanno segnato la vita, uno negativo e l’altro positivo: la morte di mio padre in seguito ad una malattia, e la lettura de ” LA PROFEZIA DI CELESTINO” di James Redfield. Ho scritto un noir dal titolo IL SAPORE DELLA NOTTE. Ho partecipato a diversi concorsi e li ho fatti valutare da innumerevoli case editrici, ma non è andata bene. Sappiamo tutti come è difficile riuscire a farsi pubblicare. Per anni ho mollato un po’ la presa, poi ho deciso di proseguire a scrivere per il piacere di farlo e di autopubblicarmi, così recentemente ho partecipato al TORNEO LETTERARIO DI “IO SCRITTORE”, in cui mi sono divertito e ho ritrovato la voglia di scrivere, ed è in quel momento che è nata l’idea che ha ispirato L’ALBA DI UN GIORNO NUOVO…

GDB: E quale sarebbe questa idea?

JOE DIBA: Volevo unire il piacere di scrivere al mio percorso interiore, e di approfondire la conoscenza di alcuni temi esistenziali e dei misteri universali condividendoli con gli altri. Il romanzo così ha cominciato a prendere consistenza.

GDB: Beh, un po’ tutti gli autori scrivono per questo e amano farsi leggere.

JOE DIBA: Si è vero.

GDB: E allora dov’è la novità?

JOE DIBA: Il mio scopo è un po’ più profondo. Credo di avere raggiunto LA CONSAPEVOLEZZA e ciò mi ha aiutato a capire molte cose della vita e in parte anche il suo senso e voglio condividerlo con gli altri, non facendoli passare come verità assoluta ma confrontandomi con le esperienze degli altri. Anche perché ognuno di noi ha il suo OLEOGRAMMA DI VITA tutte le esperienze sono uniche e soggettive.

GDB: Credo di aver capito ma non voglio rovinare la sorpresa a chi leggerà il romanzo.

JOE DIBA: Ti ringrazio per questo. Poiché il romanzo è una specie di trhiller e molte rivelazioni vengono svelate capitolo dopo capitolo. Non voglio essere irriverente con il paragone, né essere presuntuoso ma L’ALBA DI UN GIORNO NUOVO è una via di mezzo tra la PROFEZIA DI CELESTINO ed il CODICE DA VINCI.

GDB: Wow, se le aspettative vengono rispettate è un romanzo da divorare.

JOE DIBA: Chi è interessato a leggerlo, lo potrà trovare in versione cartacea sul sito “IL MIO LIBRO” e presto può ordinarlo in qualsiasi libreria Feltrinelli, ed in versione e-book sul sito “LULU”. Per chi vuole approfondire i temi inerenti al romanzo, visiti il mio blog su libero ” IL VIANDANTE: VIAGGI NELLA FANTASIA.

GDB: Grazie per le informazioni e buona fortuna.

Grazie davvero Giuseppe/Joe. Ora che hai seminato una sana curiosità in noi che leggiamo di te, di te vogliamo sapere di più:

BIOGRAFIA. Giuseppe Di Battista (Joe Diba-pseudonimo) nasce il 24 gennaio del 1965 a Gonesse (S. et O.) in Francia da genitori italiani emigrati per lavoro. Trasferitosi a Torino, dove vive tuttora, frequenta le scuole dell’obbligo e poi frequenta l’istituto per geometra. Dopo il servizio militare entra alla Fiat e ci resta per quasi sei anni con diverse mansioni, da operaio generico a conduttore d’impianti di linea e infine collaudatore di vetture su strada, pista e rulli. Dopo la morte di suo padre a causa di un male incurabile Giuseppe entra in crisi e lascia la Fiat per andare a lavorare in un magazzino di ricambi. La tragedia della morte del padre lo porta a percorrere un percorso spirituale, comincia così la ricerca alle domande esistenziali. Si avvicina alla New Age, rimanendo fulminato dalle letture de “La profezia di Celestino” e “L’alchimista”. Sempre in questo periodo comincia la sua attività di scrittore e nasce così il suo primo romanzo “il sapore della notte” un noir che ha molti spunti autobiografici, seguito da “specchietto per le allodole” un thriller alla Die Hard, e Arma Letale. Un’operazione ambiziosa anche perché lo costringe a fare diverse ricerche e studi, poiché Giuseppe non è mai stato a New York, dove è ambientato il romanzo (Salgari insegna che si può scrivere con successo e attendibilità anche di luoghi mai visitati). Partecipa con questi due romanzi al premio letterario L’AUTORE con entrambe le opere, non vince ma gli viene proposta una pubblicazione con partecipazione. Giuseppe non accetta per motivi finanziari ma anche di principio, poiché se qualcuno offre un servizio, in questo caso, una storia da fare leggere, deve essere pagato e non pagare. Ecco che così negli ultimi tempi Giuseppe Di Battista decide di auto pubblicarsi, e nasce la nuova opera letteraria “l’alba di un giorno nuovo”. Ormai quarantanovenne sposato, con un bambino di sei anni e con un lavoro abbastanza sicuro come magazziniere da più di quindici anni, Giuseppe se non viene pubblicato se ne fa una ragione e scrive solamente per il piacere di farsi leggere. Attività recenti:

partecipa alle preselezioni per il talent sulla scrittura Masterpiece in onda su Rai tre, ma senza fortuna.

Ha partecipato a “Io Racconto”, a Pesaro e ad altri concorsi letterari per romanzi e racconti, alcuni ancora in corso, tra i quali questo di Casa Sanremo writer. http://blog.booksprintedizioni.it/news/item/678-thriller-a-casa-sanremo-writers L’alba di un giorno nuovo è stato auto pubblicato su Il mio libro e con codice ISBN su La Feltrinelli. Ha scritto due raccolte di racconti: Veli nella realtà e Joe Diba, il Narratore. Specchietto per le allodole fu scritto e terminato più di 20 anni fa, inviato a varie case editrici, ha avuto una buona valutazione da parte di una casa editrice prestigiosa, che però ha consigliato alcuni miglioramenti, e una variazione nel finale. Ripreso negli ultimi tempi da Giuseppe che ha fatto tesoro dei consigli ricevuti, questo thriller ha avuto una seconda vita. L’autore ha variato anche il titolo in Blackout-tutto ebbe inizio quella notte…, che gli ha portato fortuna, poiché fa parte dei 19 finalisti di Casa Sanremo Writer 2014.

Un percorso di tutto rispetto, mi inchino alla perseveranza, alla tenacia e alla capacità che dimostri nel saper distillare gli insegnamenti positivi da ogni esperienza quindi, ora ci regali una perla della tua saggezza?

Ragazzi i giudizi sono soggettivi e lasciano il tempo che trovano. Non bisogna abbattersi per un brutto giudizio, né esaltarsi per uno positivo. Si cerca di isolare il proprio ego e fare tesoro dei consigli del giudicante. Non importa che sia un addetto ai lavori o un lettore qualsiasi, in fondo chi pubblica un romanzo non fa la radiografia ai lettori, ma contano i numeri di vendita, la posizione in classifica e il denaro guadagnato. I concorsi servono per farsi conoscere e in caso di piazzamento per fare curriculum, quindi si prende tutto in modo disincantato. Ho fatto parecchia esperienza in vari concorsi più o meno prestigiosi e la polemica non è mai mancata. A Io scrittore giudicavano gli scrittori in gara basandosi solamente sull’incipit, e vi garantisco erano spietati. A Masterpiece avevamo fondato un gruppo e i commenti erano come qui, acidi, pieni di livore e invidia, ci chiamavano i Rosiconi. Chi vince va sempre sulla graticola. Per concludere a CasaSanremo Writers io sono arrivato tra i 19 finalisti su più di 400 autori, ho fatto un’intervista al Palafiori e mi sentivo quasi un divo. Il mio romanzo era inedito…e tale è restato. Dalle mie parti si dice, finita la festa, finito il brio. Buona serata a tutti.

Buona serata e buona vita a te Giuseppe e un sincero augurio di un futuro carico di soddisfazioni.

Il gnocco e altre oscenità.

gnocchi

di Coralba Capuani

E no, cari voi del nord, è inutile che vi nascondiate perché siete proprio voi a usare l’articolo sbagliato con la nostra bella pasta: lo gnocco. Che se poi volete fare un complimento a un ragazzo e gli dite “hey, lo sai che sei proprio un gnocco”, quello vi prende per ignorante e se ne scappa senza manco salutarvi.

E dopo è inutile che fingiate superiorità chiamandolo “il gnomo” per quanto è basso, sempre ignoranti restate. E pure single!

E no, e no, cari miei, un iettatore lo dite a vostra sorella, se voi non sapete usare l’articolo e che è colpa mia? Perché non cercate un bravo psicologo come vi ho suggerito, piuttosto? E non inventate sempre scuse! Ecco, mò avreste pure bucato lo pneumatico: ignurant!

Come dite? Che pneumatico vuole proprio l’articolo “lo” pure se non si può sentire?  Sapete che mi sa che stavolta avete ragione voi? Però rimane il fatto che ora che la smettiate e basta.

Come con cosa?

Ma con la brutta abitudine di chiamare la gente la Coralba, la Monica, perché, ve lo continuiamo a ripetere da anni ma voi proprio non lo capite, (che il Bossi con “ce l’ho duro” intendesse dire il comprendonio???) con i nomi di persona l’articolo non ci va!

Le disavventure di una precaria-scrittrice: Cecile Bertod.

foto Cecilie

C’era una volta Biancaneve, no…

C’ero una volta io, circa un anno fa, con in mano un plico di quasi seicento pagine stampate, convinta di essere la prossima Terry Brooks della situazione solo perché ero riuscita a terminare quel dannato fantasy che mi portavo dietro più o meno dalle medie. Sostenevo con tutti di essere destinata a diventare una scrittrice famosa (nota bene: non una scrittrice, ma una scrittrice famosa!), perché nata a quattrocentoquarantaquattro anni da Shakespere, che come me è venuto al mondo il 23 aprile, quarto mese dell’anno quindi quattro volte quattro, porto due, fratto tempo impiegato per consumare un pacco di Ringo, tolto il biscottino bianco che non mi piace e… e questa non può assolutamente essere una coincidenza fortuita, no? Cioè, che razza di coincidenza del cavolo sarebbe?

Ecco, io e le mie pie illusioni!

Ero convinta, ma proprio convinta, poi faccio bene i conti e scopro di aver letto male le date, dimostrando non solo la mia ignoranza, ma anche la mia scarsa attenzione durante le lezioni di letteratura e a quel punto, direte voi, che succede? Succede che mi resta in mano il plico e la certezza di dover continuare gli studi per potermi trovare finalmente un lavoro serio, perché la cultura non paga, figuriamoci il fantasy e figuriamoci, tra i fantasy, un fantasy scritto da me! Il punto è che a trent’anni hai finito. Puoi mai riscriverti all’università per la terza volta? Che tipo non bastano due lauree per finire in un grande magazzino a fare la commessa?

Ehm… No, non bastano. Soprattutto se le due lauree sopra hanno scritto a caratteri cubitali “lettere”. E’ un po’ lo spauracchio dei datori di lavoro: cosa? Lettere? No, mi spiace, ho fatto la vaccinazione a giugno.

Beh, puoi sempre metterti in proprio. Aprire un ristorante, un bar per scambisti, ma ce li hai almeno cinquantamila euro per far partire la cosa? No, niente. E dunque questo, ricomincio a fare la restauratrice senza nulla da restaurare e attendo che dall’alto delle mille CE a cui ho spedito il manoscritto arrivi comunque una comunicazione, un messaggio, un qualcosa che giustifichi tante ore spese davanti ad un computer a battere e ribattere avverbi, aggettivi e imprecazioni. In realtà non sono stata poi così sfortunata. C’è gente che aspetta un anno, altri tutta la vita. A me è successo tutto con una velocità quasi allarmante. La prima, per dire, mi è arrivata subito, mi chiedevano mille euro. La seconda un po’ di più. La terza addirittura quattromila e allora mi sono gasata, perché dall’alto del mio ottimismo, più mi chiedevano per pubblicare, più doveva valere il mio lavoro, no? Non fa una piega. Solo che tutti quei soldi non li avevo, anche perché noi restauratori, per chi non lo sapesse, lavoriamo principalmente per la gloria. Sì. Quando chiedi all’impresa che ti ha assunta quanto intende pagarti, fanno stranissime facce. Ti squadrano dall’alto in basso come fossi il più strisciante dei vermi striscianti e ti chiedono come osi essere così veniale da poter chiedere una retribuzione per le dodici ore giornaliere che passi su un trabattello molto mobile, anzi direi instabile, sette giorni su sette in chissà quale paese sperduto d’Italia, spaccandoti i polmoni con gli effluvi tossici dei solventi chimici. No. Che cazzo, almeno tu! Cioè, ti rendi conto che quella è arte, patrimonio dell’umanità? Capisci che è un tuo preciso dovere civico intervenire gratis, anzi, se hai qualcosa di soldi per anticipare gli stipendi agli operai che scaricano il materiale… Perché quelli no, quelli li pagano. Figuriamoci! Tu oseresti mai non pagare uno di due metri con due braccia grosse quanto un tronco di pino, la barba incolta e la scritta sulla maglietta “mamma si a vita mia” che ti fissa con le sopracciglia aggrottate mentre mastica rumorosamente una gomma? No. Lui lo paghi. A me “è un tuo dovere civico, patrimonio dell’umanità”. E allora ti chiedi, ma st’umanità ci pensa lei a pagarmi le bollette? Bella domanda. Fin ora non si è fatto avanti nessuno, ma non smetto di sperare. Ma che stavamo dicendo? A, già, sì, il libro. Ecco, dopo molti insuccessi e tentativi di truffa a mano più o meno armata, alla fine scopro il fantastico mondo self (e sto volutamente tagliando sul discorso “concorsi letterari”, perché lì si dovrebbe aprire un capitolo a parte!). Dicevo, scopro il mondo self e scopro Amazon. Un giorno a caso, così, navigando su Internet, con mio padre in sottofondo che continuava a sghignazzare perché io osavo ancora credere a quella assurda storia. Beh, lo scopro e decido di piazzare il mio libro e ricordo ancora la sensazione provata appena inserito. Io ero stra-arciconvinta che ecco, finalmente mi si era rivelato il cammino. IO STAVO PER DIVENTARE IL PROSSIMO FENOMENO EDITORIALE ITALIANO. Non c’erano “se” e “ma”. Io sentivo di essere lei, la nuova cinquanta sfumature bianco-azzurre all’italiana e avrei avuto una carrettata di soldi e con tutti quei soldi sarei andata da tutti i miei ex donatori di lavoro ad elencargli tutte le parolacce che conosco in ordine alfabetico, raggruppate per entità del danno augurato. Sì, c’ero. Ero lì ed ero pronta. Stava per accadere… Era solo una questione di minuti, poi è diventata di ore, poi ho deciso di essere ragionevole e ho iniziato a ponderare per il mensile, bimestrale e “Ma forse sarà un successo postumo”. Niente. Non avevo venduto neanche un libro. Com’era possibile? Doveva esserci un perché. La risposta l’ho trovata quando becco la classifica rosa e lì ho la seconda illuminazione della mia carriera, molto poco carriera, nel mondo self: non c’era il carciofo! Ecco, era tutto lì. Non avevo messo carciofi (o qualsiasi altro nomignolo attribuiate all’appendice retrattile che di norma condiziona ampiamente il pensiero medio maschile) in bella mostra, ma neanche nascosti. Che stupida che ero stata: scrivere un libro senza carciofi, quando sono la prima a nascondere harmony un po’ dovunque nella libreria, dietro enciclopedie, trattati mai letti sul fascismo italiano… Tsè, fantasy. Quando io per prima staziono ore al reparto rosa, nascondendo gli erotici tra i libri di Camilleri sperando di non essere beccata da nessuno mentre mi avvicino alla cassa. Sembro una di quelle che chiede i preservativi in farmacia, ho anche il mio repertorio di smorfiette “aumm aumm” per la commessa. E rosa sia! E carciofo sia e via libera a labbra umettate, capezzoli turgidi e spasimi d’amore in grande stile. Decisa a riprovarci un’ultima volta cambio genere, modo di scrivere e… E ci azzecco! Per la prima volta in vita mia imbrocco la strada giusta. Non so come, non so dove e dire che sono anche antipatica, ma riesco a creare un piccolo libricino non proprio indegno e… e inizio anche a vendere. Tra l’altro molto più di quanto avessi mai immaginato e ne approfitto, anzi, per ringraziare tutte le persone che mi hanno letta, davvero. Non ci credevo io, non ci credeva mio padre, non ci credeva neanche il mio psicologo!

Sì, lo ammetto, è stata una grandissima soddisfazione e, quando meno me l’aspettavo, alla fine è arrivata anche la CE e non l’ho neanche dovuta supplicare e, questi sono numeri!, non l’ho pagata io! Pura fantascienza!

E allora vai, allora ci sei. Bred Pitt tieniti libero perché stai per conoscermi! Robe così… che uno si aspetta cose grandi, immense, trombe al vento, rulli di tamburi e… E no, niente, ritorna tutto come prima per l’ennesima volta. Tu davanti al monitor che scrivi cazzate, i tuoi datori di lavoro che continuano a pensare che tu campi d’aria, Pompei che crolla, tua nonna che brontola, e dove hai messo i miei calzini? E porca miseria possibile che ho già finito il detersivo per i panni, da domani ci vestiamo tutti di carta! E niente. Sempre e inesorabilmente e ancora niente. La parola chiave è proprio quella: NIENTE! Forse tra un anno, magari due, i miei libri saranno in qualche libreria. Forse un passante ne noterà uno su una mensola polverosa di chissà dove e dirà: ma fammi vedere un po’ qua che c’è scritto! E per qualche minuto condividerà con te tutte quelle notti passate sveglia a sognare il principe azzurro nella tua stanzetta in subaffitto che non potrai mai permetterti senza l’aiuto dei tuoi, continuando a credere che un giorno sì, un giorno ci sarai anche tu su Wikipedia!

Per ora io sono a questo punto qui. Non so e non voglio sapere cosa accadrà domani. Troppo disfattista, ma una cosa ci tengo a dirla, e seria stavolta: scrivere me l’ha cambiata la vita. Davvero. Perché adesso continua a fare tutto sempre discretamente schifo, ma almeno ho trovato un mondo tutto mio dove ho le tette grosse, sono francese, ho almeno duecento uomini in fila sotto casa che aspettano con ansia decida di uscire con loro e in quel mondo fantastico i panni non si sporcano mai, i piatti si lavano da soli e Britney Spears pesa duecentoventi chili!

Di Cecile Bertod

Potete continuare a seguire le disavventure di Cecile (questa volta come scrittrice) su:

http://www.cecilebertod.it/

https://www.facebook.com/mycecilebertod?ref=hl

Mini (s)consigli lezione 2. Quando si dice che non capisci un’acca!

foto acca

L’acca, questa sconosciuta perfida e subdola che si nasconde all’udito, sembrando un inutile vezzo grafico. E invece no, cari i miei scribacchini, l’acca, non lacca, ma elle apostrofo acca, quel simboletto che indica la presenza di un ospedale, eh, proprio quello, non potete neanche immaginare quanto sia fondamentale nella nostra lingua. E poi, a dirla tutta, non è proprio vero che non si sente, provate a leggere anno e hanno, notato la differenza?

Premesso che alla vostra veneranda età di scribacchianti dovreste conoscerne l’uso, magari rifacendovi alla famosa filastrocca che a tutti i nati del Novecento e rotti è stata ripetuta fino allo sfinimento: «Con are, ere, ire la mutina va a dormire». Che poi chi ha mai capito davvero cosa cavolo volesse dire ‘sta filastrocca, mah…  In ogni caso però non potete dire che la filastrocca l’hanno propinata in un periodo dell’hanno in cui voi eravate assenti o, peggio, che le vostre maestre non anno avuto la pazienza di insegnarvela.  E poi è inutile fare quelle smorfie e tutti quei bhe e mha, non ti servirà fare l’indiano mio caro scribacchiante! Anche perché, se non ricordo male, si tratta di sanscrito, l’antica lingua sempre di quella zona (prof. di glottologia perdonami…)

A meno che non siate di Pizzo Calabro e lì, allora, un po’ di ragione ve la potrei anche concedere, che poi valli a capire come facciano ‘sti calabresi ad aspirare le consonanti. Vabbè, penso che ha questo punto habbiate capito il ruolo fondamentale che la piccola mutina esercita nella nostra lingua, ma se proprio non l’havete capito ho siete dei tonti oppure di questa storia dell’are, ere, ire non o capito nulla neanch’io.

Mini (s)consigli lez.1. L’accento

errori-grammaticali-bussare-il-citofono

Chi ci ha seguito sa che nel precedente (s)consiglio, Non commettere errori sgrammaticati, ci eravamo ripromessi di proseguire l’articolo data la mole di errori comuni. Da oggi, quindi, Letterando inaugura una mini rubrica di (s)consigli grammaticali.

Iniziamo a mettere l’accento su alcuni punti, perché, come si sa, alcuni non ci pensano proprio mentre altri sembrano non poterne fare a meno. I primi percio potranno obiettare che pero non e mica vero, mentre i secondi diranno ché , invece, è proprio così, mà sè non vogliono ammetterlò và bene stesso. Ma vaglielo a spiegare ai primi che se loro scrivono pero a quegli altri viene subito l’acquolina in bocca pensando ai succosi frutti. Se poi quelli li dovessero prendere a parole e dir loro: «ue tè, che vuoi chi ti conosce?», gli altri potranno pure pensare che stanno sempre lì pronti a riempirsi la bocca; e prima l’albero di frutta e poi l’orientale bevanda, manco fossero dei viceré! E se poi dovessero sentirsi male? Che si fa, gli si chiede di dire trentatré?

E vabbè, mal che vada gli si da un digestivo al di finché finalmente non diranno ché si, il mal di pancia è finalmente passato. E meno male perche non si voleva mica attirare l’attenzione su di se, ne finire la. Ma come la dove? Li, no? Laggiu insomma….