
di Coralba Capuani
Chissà a quanti lettori sarà capitato di partecipare a un concorso letterario, di arrivare perfino tra i finalisti, di sperarci e invece sbam! Portone sbattuto in faccia per l’ennesima volta.
E allora a questo punto che si fa? Ci si può abbattere e iniziare a cospargersi il capo di cenere: mea culpa mea maxima culpa, che tradotto sarebbe: “vuoi vedere che il problema sono io e che non sono proprio capace?”. Oppure ci si può ribellare al giudizio della “giuria caprona e corrotta”, che tanto quelli chi sono e chi li ha visti mai e che caspita ci capiscono di Letteratura con la elle maiuscola e che, comunque, pure i grandi geni sono stati bocciati e quindi figurati se vanno a capire il messaggio intrinseco ed estrinseco del plot dell’intreccio che poi il flusso di coscienza unito al realismo magico alla Màrquez e che non l’avete riconosciuto?
E poi ci sono quelli che la prendono con la filosofia “viacolventesca” del domani è un altro giorno. Ma ci sono altri, pochi, che da veri scrittori come ti ribaltano la situazione? Facile, scrivendo un racconto, no? E magari tra le righe e un po’ velata – mica tanto – ci mettono pure la loro dolce vendetta. Questo è proprio quello che accaduto ad Antonio, un ragazzo che ho conosciuto tramite le pagine di Facebook perché abbiamo partecipato entrambi al Premio Letterario Nazionale Cinquantesimo Marcelli. In realtà eravamo entrambi presenti alla premiazione ma non ci siamo incontrati, ma questa è un’altra storia…
Credo di poter affermare che il racconto di Antonio sia nato come scherzo innocente, una piccola burla che prende in giro la seriosità dei vari concorsoni letterari. E così vorrei che la leggeste anche voi, che nessuno se la prenda, insomma, per quello che troverà scritto perché, vi avverto, avere a che fare con uno scrittore è come vivere con un registratore sempre acceso, non sapete mai quando il nastro verrà usato contro di voi!
Il Cinquantesimo Marcelli
di Antonio Milicia (2014)
Il primo segno sbagliato fu la stretta di mano del Marcelli.
Non era quella stretta salda e vigorosa che ti saresti aspettato da un uomo che si presentava all’apparenza così vitale.
Eppure tutti o quasi ebbero quella stessa vuota sensazione.
Era una stretta davvero poco stretta, subdola.
Sfuggente.
La sua mano era fredda e scivolava via subito, come un pesce furbo che non voleva farsi afferrare.
Quello fu il primo segno.
Anton però non lo colse. Perché a lui la mano il Marcelli la dette come si deve. La piantò ferma nella sua e lo guardò dritto negli occhi, aprendo il sorriso come una cerniera.
Non fu un caso però.
Anton si guardò intorno, e la sala lo circondò con la normalità del suo carico di speranze e aspirazioni, piantate su gambe così così.
Per la premiazione del concorso indetto per il suo Cinquantesimo il Marcelli aveva pensato in grande.
La location era a posto, gli ospiti e tutto quanto il resto.
Adesso Anton cercava di riconoscere qualche viso tra quelli visti su Facebook, ma non era facile. Molto meglio andarsi a sedere ed aspettare che qualcuno riconoscesse lui.
Vide Caterina, o la forse Caterina, tagliare la sala affiancata da un’altra donna, e la arpionò con un saluto accennato.
Era lei, e il suo fu il secondo sorriso del pomeriggio.
Il Marcelli aveva una pistola carica in tasca, duecento colpi nella sacca appesantita che aveva lasciato vicino al tavolo dell’accoglienza ed un piano folle in testa.
Detto così chissà cosa sembrava.
Ma era anche un uomo disperato.
Appena riconobbe Anton si rianimò di un pelo. Aveva fatto e detto di tutto per convincerlo a venire, ed era riuscito a solleticare la sua vanità giocando sul narcisismo che qualunque scrittore possiede.
Perché Anton era uno scrittore che sapeva come far scendere il lettore nel pozzo buio delle proprie angosce. Ne aveva avuto la dolorosa prova leggendo il suo Contrada, che come uno scalpello ben manovrato gli aveva graffiato le poche notti che aveva dedicato a quel manoscritto.
Anton era quello giusto, lo aveva capito subito.
Gli altri invece: già, gli altri. Era tutto scritto ormai. Chi vince, chi perde, le musiche, i canti, i balli. Le belle parole.
La cena.
La cena arrivò che la fame già bussava maleducatamente.
Nei tavoli del buffet si confusero presto la gioia dei vincitori e la delusione dei perdenti.
Anton aveva perso. Alla grande.
Caterina era andata via e lui non era riuscito neanche a salutarla. Per fortuna era riuscito a incontrare Lily.
Era stato difficile riconoscerla però. Solo le donne riescono ad essere così diverse pur restando uguali. Specialmente quelle belle come lei.
Si sedettero allo stesso tavolo, per appuntare un’amicizia dai contorni incerti, subito cementata dalla comune antipatia per il pesce.
Franca invece lo intercettò di ritorno dal primo giro di buffet, foderata in un abito da dea greca che ne esaltava la femminilità tutta calabrese.
Per un attimo riuscì anche a tirare Trapanese per la giacca e borbottargli qualche complimento, strappandogli un sorriso nella cornice della sua simpatica barba.
Seduti di fronte a loro, nello stesso tavolo, Andrea e Francesca. Lei, dolcissima, con gli occhi da sognatrice, raccontò loro del suo romanzo “particolare”, mentre il Marcelli faceva il giro dei tavoli, felice e tronfio per il successo della serata. Sarà stata una sensazione, ma più di una volta Anton ebbe l’impressione di avere i suoi occhi addosso.
Poi le cose cominciarono a cambiare.
Forse era la chimica nell’aria, ormai già satura di tossine, forse.
Francesca si sporse verso Andrea. Per baciarlo pensò Anton.
Ma era un bacio di morte. Gli portò via con un morso appassionato un largo brandello di carne dal collo. Nel varco rosso che si aprì una arteria recisa cominciò a gorgogliare.
Francesca non si fermò. E come lei tanti altri.
La sala si divise subito in cacciatori insaziabili e prede urlanti. Non si capiva bene quale fosse la regola che li distingueva. Anzi, forse ce n’era una: quella scivolosa del sangue che alla fine copriva ogni cosa.
Molti tentarono di scappare via. Ma era come in un film horror di serie B ormai, e qualcuno aveva sbarrato le porte.
Si capì presto quale fosse la nuova specialità della casa che più di ogni altra cosa piaceva gustare ai cacciatori.
Bloccavano in gruppi le prede per terra e con le mani nude strappavano loro la morbida carne del ventre per estrarre gli intestini e divorarli avidamente.
Presto la sala perse ogni traccia di umanità.
Anton e Lily si trovarono entrambi nel ruolo delle prede. Lui reagì subito però: a furia di ingerire orrore ne aveva assimilato gli schemi, e presa per mano Lily corse verso l’uscita, ma non fu una sorpresa trovarla sbarrata.
Si rifugiarono nei bagni vicino all’ingresso, e dalla sala sentivano provenire degli schiocchi, confusi in mezzo alle urla, che però si facevano via via sempre più vicini, mentre le urla piano piano diminuivano di intensità.
Lily piangeva invocando i propri figli, ma Anton non aveva modo di poterla tranquillizzare. Le disse però che soltanto evitando di fare rumore potevano salvarsi, come aveva imparato dai numerosi film sui morti viventi.
Perché di quello si trattava. Morti viventi.
Poi a poco a poco calò un silenzio innaturale. Ma non si illusero.
Sentirono aprirsi violentemente la porta dei bagni. Qualcuno entrò.
Appena la videro capirono subito che la sorte si presentava ancora una volta con la sua estrema ironia.
La vincitrice del concorso, trasformata in una affamata ed ansante maschera di sangue, emise un ringhio selvaggio nel vederli e si lanciò contro di loro con le mani ad artiglio.
La sua fu una parabola fatale, interrotta da uno schiocco secco che le fece esplodere il cervello.
Loro due non capirono. Poi entrò anche lui, con la pistola rovente in mano e la sacca nera a tracolla.
Siamo salvi. Si dissero. Ma era vero a metà.
L’uomo alzò la mano con la pistola e sparò in piena fronte a Lily. La sua bellezza si trasformò presto in un fiore rosso.
Anton pensò che il prossimo colpo sarebbe stato per lui.
Vuoto nella testa. Non lasciò nessun pensiero da colpire dietro la sua fronte.
Il Marcelli abbassò l’arma.
«Come ti senti Anton?»
«…»
«Tra poco arriveranno i soccorsi, ma avrò bisogno di te, adesso, ed anche poi…»
«Sei pazzo.»
«Assolutamente si, ma non pazzo. Disperato e tu mi devi aiutare.»
«Io?»
«Tu. Hai visto quello che è successo… lo hai vissuto anzi. Adesso lo puoi scrivere in un libro.»
«Io? Che significa tutto questo?»
«Nel pesce c’era diluita una droga micidiale, che trasforma per qualche ora una persona in un cannibale senza freni. È assolutamente proibita, ma non era serata da farsi scrupoli… tu me lo avevi scritto su Facebook che non mangi pesce, ero sicuro che saresti rimasto lucido.»
«Ma cosa vuoi da me?»
«Semplicemente che tu scriva un libro su tutto quello che è successo, a modo tuo, tu sei l’unico sopravvissuto, oltre me ovviamente. Ti rendi conto che sarà un best seller mondiale?»
Anton tremava ma cominciava a capire.
«Vedi… le cose stanno andando male ormai da qualche anno, la mia casa Editrice è ormai destinata al fallimento, non ci sono speranze per la piccola editoria, a meno che… non si faccia il salto di qualità, e tu rappresenti questo salto per me. Ho impegnato tutte le mie risorse personali ormai, e i miei ultimi sforzi li ho dedicati a questo concorso. »
«Ma non capisco… e la vincitrice del concorso?»
La risata stridula del Marcelli risuonò in mezzo ai lavabi con una nota quasi isterica. Faticò a riprendersi.
«Anton… Anton… ma tu davvero credi che con un romanzetto storico io possa salvare la baracca? La gente vuole tre cose ormai: sesso, sangue o soldi. Tu il sangue lo sai dare, eccome, e me l’hai dimostrato con il manoscritto che mi hai mandato. E adesso scriverai questa storia col sangue: il resoconto di una strage che la gente farà a pugni per acquistare. Tu diventerai famoso, e io mi rimetto in piedi, che ne dici? Lo facciamo l’accordo? Hai poco tempo per decidere, tra poco loro arriveranno, e la storia che gli racconterò funzionerà solo se tu dichiarerai quello che tra poco ti dirò, altrimenti, beh, mi dispiace, ma non potrò permettermi di lasciarti vivo.»
La mano ammonitrice del Marcelli cominciò a sollevarsi, e la pistola restò a mezz’aria, sospesa nell’incredibile, congelata nell’attimo fuggente che Anton impiegò per decidere.
Fine
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